22 novembre 2012

L'insostenibile ansia della condivisione

L’altro giorno sull’autobus c’era una donna che, munita di una tavoletta elettronica di ultima generazione, scriveva i propri appuntamenti di vita e di lavoro. Il magico apparire dell’apparecchio del desiderio calamitava l’attenzione di molti dei presenti, che si mettevano tranquillamente a leggere gli appunti della signora. Anche io non sono riuscito a fare a meno di sbirciare, scoprendo così che la signora aveva per le ore 10 un appuntamento dal dentista e alle 17 avrebbe atteso l’idraulico a casa. Allora io mi sono chiesto se, qualora al posto dell’aggeggio elettronico da dieci pollici la signora avesse tirato fuori taccuino e penna, l’effetto sarebbe stato lo stesso. La domanda è retorica. Con una penna e un’agenda la privatezza della signora sarebbe stata tutelata, questo è certo, ma essa non avrebbe potuto condividere col mondo le proprie esperienze, cosa che faceva con parecchia disinvoltura, ben avvedendosi della presenza di estranei che sbirciavano i suoi affari.
Nel lontano 1973 Guido Morselli, anticipando con grande lucidità i mali (e la stupidità) del nostro tempo, scriveva: “non mi convince la tesi che ogni esprimere, anche il più privato, supponga un comunicare”. A distanza di quaranta anni, possiamo affermare con certezza che quelle parole hanno assunto una portata profetica. Il raccontare agli estranei le proprie faccende private, infatti, sembra essere oggi la forma più diffusa di comunicazione, se non quella esclusiva, almeno per molte persone. La massiccia diffusione dei telefoni portatili e dei c.d. “social network” ha ampliato la possibilità per tutti di comunicare, consentendo a chiunque, persino in strada o sull’autobus, di esprimere pensieri e raccontare vicende, che spesso non meriterebbero di essere condivisi, perché futili, discutibili, offensivi, banali. Il mezzo, certamente fenomenale, è stato così utilizzato male. L’ampliamento delle possibilità comunicative ha determinato una perdita di qualità del contenuto della comunicazione. Ho sentito persone parlare ad alta voce al telefonino dell’ultima di campionato di calcio, oppure litigare, o discutere animatamente, senza fare nulla per abbassare la voce o per non dare nell’occhio. Ci sono taluni che desiderano che gli altri ascoltino la loro conversazione, per far sapere quanti soldi hanno, quale lavoro svolgono, quale squadra tifano, dove andranno in vacanza. Un tempo le cabine telefoniche erano munite di porte e pareti, che salvaguardavano la segretezza della comunicazione e la voglia di non ascoltare dei passanti.
Oggi queste barriere sono scomparse: la condivisione, persino di vicende che dovrebbero essere confinate in ambiti di gelosa riservatezza, è divenuta la regola becera della modernità. Tutto deve essere lasciato in pasto alla rete, perché ognuno crede di essere innovativo, di avere pensieri o parole originali da diffondere. Senza pensare che, in molti casi, sarebbe meglio sussurrare, per un’istintiva forma di difesa.
 

Il "mi piace" di Facebook, simbolo dell'ansia della condivisione

3 commenti:

  1. Io credo che se al posto della tavoletta elettronica da 10 pollici la signora dell’autobus avesse estratto, dalla propria borsetta, agenda e penna, per esaminare i propri impegni, il risultato non sarebbe cambiato: la gente intorno avrebbe sbirciato comunque. Ma non è questo il problema. Certo, l’aggeggio elettronico ha la capacità di calamitare l’attenzione più di una normale agenda cartacea; intanto ti permette di verificare il modello e poi di fare un confronto con quello in tuo possesso, che è sempre superiore e tecnologicamente più avanzato. E ti sembra poco?
    Cambiano gli strumenti, ma l’uomo è rimasto sempre quello: un narciso superficiale e un impenitente guardone. Ama farsi guardare e soprattutto ama farsi sentire, perché è convinto di dire cose di estrema importanza, anche se consulta un’agenda elettronica o parla dei suoi malanni, con un telefonino.
    Il telefonino, poi, è il massimo dell’aberrazione umana. Se non parli con un telefonino tra la gente, non sei visibile, non esisti. Il telefonino ti fa esistere e ti dà visibilità. quella visibilità che oggi la gente cerca disperatamente, per strada, sui mezzi pubblici: dappertutto. Si può comunicare contemporaneamente con un interlocutore lontano e con tanti vicini. Più uno parla ad alta voce e più i potenziali interlocutori aumentano. E se qualcuno ti ascolta e ti guarda, tu ti senti importante.
    Vorrei portare un mio contributo alla tua riflessione.
    Ieri mi trovavo in treno: lo amo in maniera particolare questo mezzo di trasporto. Più della macchina.
    Attorno a me tutti avevano un telefonino – pare che sia una cosa normale - tranne il sottoscritto, evidentemente un anormale.
    Devo dire che a volte mi sento un alieno, uno fuori dal mondo; tantissime altre volte gioisco dentro di me, felice di appartenere ad una piccola schiera di privilegiati, non ingabbiati nel sistema isterico della telefonia mobile.
    Di fronte a me stava seduto un tizio dall’aria mesta, che cercava di darsi un contegno, una certa importanza, attraverso l’esposizione, in bella mostra sul tavolinetto, dei suoi tre telefonini di colore diverso (giuro, ne aveva tre!).
    Il silenzio regnava sovrano nello scompartimento, mentre il treno procedeva veloce la sua corsa, un piacevole silenzio che incoraggiava la lettura, la meditazione, la visione del panorama. Ma è durato poco, perché all’improvviso è iniziata una sinfonia di trilli toccando tutte le possibili sonorità: Mozart, Leoncavallo, il gallo, le campane a festa. Tutto questo, mentre l’altoparlante del treno avvertiva di abbassare la suoneria, per non disturbare gli altri viaggiatori. Ma chi sono, questi altri viaggiatori?
    Mi sono accorto che il mio dirimpettaio (quello con i tre telefonini colorati) – che nel frattempo leggeva uno di quei giornaletti per semianalfabeti che distribuiscono gratis nelle stazioni – ha cominciato a dare segni di impazienza: nessuno lo chiamava, nemmeno per chiedergli se il treno fosse partito. Si sa che il servizio ferroviario lascia molto a desiderare. Ogni tanto, sempre più nervoso, alzava lo sguardo dal “Times ” per vedere se c’era qualche segnale, invidioso degli altri viaggiatori che già erano tutti all’opera e che avevano intavolato dotte disquisizioni sul più e sul meno. Ma niente. E allora, in piena crisi di astinenza, stanco di aspettare, ha afferrato il primo telefonino che gli è capitato (quello di colore rosso), ha fatto il numero ed ha chiamato soddisfatto e sollevato: Pronto, dove sei?...io sono appena partito...” Stendo un velo pietoso sul resto della telefonata.
    Ciao
    P.

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  2. Che i mezzi pubblici (autobus e treni) siano una fucina di casi umani, degni rappresentanti della società in cui viviamo, è cosa nota a tutti. Lo sanno soprattutto quelli che, come me, sono costretti tutte le sante mattine a servirsi di questi mezzi per recarsi al lavoro. E visto che il post parte proprio da un autobus, per fare una riflessione sull’uomo dei nostri giorni che lo psichiatra Vittorino Andreoli definisce “uomo digitale”, vorrei raccontare quello che mi è capitato di osservare l’altro giorno su un autobus.
    Ebbene davanti a me non c’era la signora che smanettava su un’agenda elettronica, o esibiva l’ultimo modello di iPhone, e non c’era nemmeno quel tizio con i tre telefonini del commento precedente (i telefonini si sentivano, eccome si sentivano!) ma c’era invece un signore, all’apparenza normale e distinto, che ad un certo punto ha tirato fuori dalla tasca della giacca un malloppo di bigliettini legati con un elastico, unti e bisunti dall’uso, pieni di cancellature di tutti i colori, su cui erano annotati numeri di telefoni, indirizzi e quant’altro. Che strano!
    Nell’era della tecnologia più spinta, che ha modificato radicalmente il comportamento della gente, a volte in maniera negativa, questo signore non aveva saputo rinunciare a quell’antica abitudine di scrivere i suoi appuntamenti, le sue annotazioni, su dei semplici bigliettini di carta. Nel suo mondo, insomma, non solo non esistevano le tavolette elettroniche da 10 pollici, o tutte quelle innumerevoli macchinette che sanno fare tutto, ma non esistevano neanche quelle semplici agende di una volta, con la rubrica telefonica, che forse avrebbero potuto facilitargli la vita. Eppure, quel suo cercare qualcosa, sfogliando i suoi preziosi bigliettini durante tutto il viaggio, aveva attirato la mia attenzione e la mia curiosità – e non solo la mia - più di quanto avrebbe fatto se avesse esibito l’ultimo ritrovato della tecnologia.
    Questo per dire che non è lo strumento in nostro possesso che tutela la riservatezza delle persone, ma è il comportamento delle persone stesse, il modo di rapportarsi agli altri, la forma migliore per difendere la privacy e, nello stesso tempo, non recare disturbo ai vicini.
    Comunque, quel signore d’altri tempi, vistosi “scoperto”, ha cercato quasi di nascondersi, di scartabellare i suoi bigliettini senza farsi vedere, a differenza di quell’idiota che si trovava alle mie spalle che ci teneva a far sapere a tutti, parlando ad alta voce con il suo telefonino, che alle 9 sarebbe andato in pizzeria a farsi una pizza alle quattro stagioni.

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