21 gennaio 2013

"Il sangue del Sud" di Giordano Bruno Guerri: una storia negletta

La complessa vicenda storica nota con il nome di Risorgimento è stata oggetto, nel corso del secolo e mezzo di storia unitaria, di valutazioni diverse, spesso contrastanti. Ai toni agiografici e celebrativi dei primi anni, rafforzati dal ventennio fascista che considerò il Risorgimento un totem di cui era vietato parlar male, sono poi succedute opinioni critiche, tese a negare la presunta inferiorità del Sud e soprattutto ad evidenziare le storture ed i soprusi commessi dai Piemontesi invasori. Negli ultimi anni la corrente di pensiero meridionalista sta vivendo un’inaspettata reviviscenza, grazie soprattutto alla pubblicazione di opere, destinate non più solamente ad una ristretta cerchia di studiosi, che portano a conoscenza di molti una serie di vicende spesso neglette. In questa corrente “neomeridionalista” o, comunque, revisionista, si colloca l’opera di Guerri. L’autore ritiene che l’Unità sia stata un processo storico inevitabile, da compiersi necessariamente; tuttavia, erronee sono state le modalità attraverso le quali è stata realizzata. Il processo unitario si è nei fatti tradotto nell’espansione di uno Stato, il Piemonte, a discapito delle legittime pretese di altre popolazioni, quelle del Meridione in particolare. Guerri condivide le tesi di coloro che, come Zitara o Alianello, hanno definito l’Unità quale nascita di una colonia. L’autore di questo saggio si spinge oltre, non esitando a qualificare “guerra civile” quella che impropriamente era stata definita “lotta al brigantaggio”, espressione volta a negare qualsivoglia riconoscimento ufficiale a coloro che combatterono per la libertà della propria terra. Questi ultimi, delegittimati dai vincitori, vennero marchiati come briganti.
Guerri, che non esita a parlare di genocidio quando descrive le stragi perpetrate dai Piemontesi, è accurato specialmente nell’analizzare la genesi sociale del c.d. brigantaggio, da lui inteso come  la ribellione di quanti, soprattutto contadini, avevano sperato in un miglioramento della propria condizione, ma che di fatto si erano ritrovati più servi di prima.
Sono pagine dense di eventi e personaggi, scritte con uno stile lineare, adatto alla divulgazione. Il merito dell’opera è certamente la completezza, anche se spesso l’autore si avvale di schematismi al fine di riassumere in poche pagine vicende complesse. Il lettore ignaro della “vera” storia dell’unificazione troverà tutto quello di cui ha bisogno per farsi un’idea: la descrizione del contesto storico, le figure dei principali “briganti”, le manovre politiche, il rapporto Chiesa-Borbone, le stragi, le fucilazioni sommarie, l’infame legge Pica, gli inganni e le bugie. Per chi conosce già bene le vicende narrate ed i capisaldi del pensiero meridionalista, si tratterà invece di un utile ripasso.

[ Questa mia recensione è apparsa anche su Sololibri.net ]

2 gennaio 2013

"Tutti giù per terra" di Giuseppe Culicchia: produci, consuma, crepa

Il talento di Giuseppe Culicchia venne scoperto dal grande Pier Vittorio Tondelli, che proprio agli scrittori giovanissimi dedicò il suo ambizioso progetto “Under 25”. L’incontro con Tondelli è raccontato in questo romanzo autobiografico, che ha rappresentato l’esordio letterario di Culicchia.    
L’opera narra le vicende di Walter, giovane irrequieto e insoddisfatto che nei primi anni Novanta vive il drammatico passaggio dalla scuola al mondo del lavoro. Sono anni di profonde trasformazioni storiche e sociali: il muro di Berlino è caduto e con esso il sistema alternativo di ideali che esso rappresentava, mentre in Occidente inizia ad affacciarsi un’altra terribile crisi, quella del capitalismo, che mostrerà la vacuità del sogno degli anni del boom economico e si trascinerà, con sempre maggiore drammaticità, fino ai giorni nostri. Proprio per questa ragione consiglio di leggere questo romanzo, perché racconta esperienze, quali il lavoro nero, l’emigrazione, la precarietà economica e affettiva, il crollo degli ideali, che sono quanto mai attuali. Si potrebbe anzi dire che Culicchia, raccontando il proprio presente, abbia in qualche modo anticipato il futuro. Il protagonista del romanzo rimane così impresso nella mente del lettore contemporaneo, specie se giovane e assillato dall’incubo della precarietà. Walter non è infatti figlio dei gommosi anni Ottanta, né dei sogni rivoluzionari del ’68; egli è il reduce della guerra scatenata da chi lo ha preceduto, minacciato dai mostri del capitalismo, del debito e del consumismo. La famiglia e il luogo di lavoro rappresentano il suo fronte, la scrittura e l’agognato amore l’impossibile riscatto.
La sua ribellione all’asservimento dei mezzi di comunicazione di massa ed alla massificazione imperante è però destinata a fallire. Alla fine anche lui, senza nemmeno capire come, si troverà rinchiuso in quella gabbia da cui aveva cercato eroicamente di sfuggire.
“Produci-consuma-crepa” cantavano più o meno in quegli anni i compianti CCCP di Giovanni Lindo Ferretti. Sarebbe questa la giusta colonna sonora del romanzo, che non esiterei a definire punk fin nel midollo.