15 marzo 2013

"Jacob Von Gunten" di Robert Walser: a lezione di servitù

“Ma una cosa so di certo: nella mia vita futura sarò un magnifico zero, rotondo come una palla”. Questa è la profezia del giovane Jakob, allievo dell’Istituto Benjamenta, una scuola per ragazzi che insegna ad essere dei servitori perfetti. Walser costruisce con questo romanzo (1909) un magnifico paradosso: mentre le scuole tradizionali, impartendo una pluralità di nozioni, insegnano come avere successo nella vita, l’Istituto Benjamenta imprime nei discenti le doti dell’umiltà e dell’ubbidienza, riducendoli di fatto a veri e propri zeri.
La scuola viene solitamente intesa come un’istituzione volta a formare e modellare la personalità individuale, per farla crescere e sviluppare in autonomia; Jakob von Gunten, invece, si trova in un istituto misterioso e guidato da fini imperscrutabili, in cui vengono impartite insulse e ripetitive lezioni che annullano l’individuo, ne azzerano peculiarità e senso critico, rendendolo un servo.      
L’Istituto Benjamenta, dove si svolge interamente questo originalissimo romanzo, è un’istituzione totale, al pari di un carcere o di un manicomio, cui viene talvolta paragonato dagli stessi personaggi. Nei bui corridoi dell’edificio, nelle misere stanzette e nelle sterminate aule di lezione si consuma la giovinezza di Jakob e degli altri allievi. L’Istituto è retto da una miriade di regolamenti, che i discenti non possono in nessun caso infrangere; questa vita da caserma, governata da regole imperative e indiscutibili, finisce per minare la loro libertà di autodeterminazione, fino ad annichilirne la personalità. Ad avviso di Walser, tuttavia, essere delle nullità non significa essere destinati ad una vita di infelicità, anzi, egli ritiene che proprio nell’uomo più meschino sia più evidente l’impronta del Creatore. Il servo, infatti, ha delle certezze inossidabili: egli è un nulla, al pari di un oggetto, in quanto esiste solo nella misura in cui può essere utilizzato. In questo senso, l’obiettivo ultimo che si pone la scuola Benjamenta non è affatto spregevole, anzi è il più alto che si possa immaginare: trasformare i propri allievi in zeri, ovvero in opere divine. Questo, in poche parole, il senso (se si può parlare di un senso) del magnifico paradosso di Walser.
Jakob, il protagonista del romanzo, è l’ultimo ad uscire dall’Istituto; con lui la scuola riesce a modellare una creatura perfetta. E così, senza dubbi o paure, egli potrà infine affermare, quasi con un senso liberatorio: “E se io andrò in pezzi o in malora, che cosa si romperà, che cosa si perderà? Uno zero. Io, come singolo individuo, sono uno zero”.
Jakob von Gunten è un romanzo originale, impossibile da ricondurre entro schemi predefiniti. Fu amatissimo da Franz Kafka e Walter Benjamin: credo che questo possa essere sufficiente per consigliarne la lettura.
[ Questa mia recensione è apparsa anche su Sololibri.net ]