31 gennaio 2014

"Fonologia del dialetto cilentano" di Lewis Amedeus Ondis: riscoprire la lingua degli avi

Fonologia del dialetto cilentano (pubblicato in Italia da Galzerano Editore) è un saggio di sicuro interesse per almeno due ragioni: per la straordinaria vicenda umana del suo autore, il professor Lewis Amedeus Ondis (nato Luigi Amedeo Ciuccio), e perché si tratta di uno dei primi e più compiuti studi sul dialetto della parte meridionale della provincia di Salerno, il Cilento.
Grazie alle accurate ricerche di Giuseppe Galzerano, che firma la prefazione dell’opera, veniamo a conoscenza di un uomo che “partito solo e povero dal Cilento […] riuscì a conquistare la docenza nelle università americane, onorando così se stesso, la sua terra e la sua gente”. Ondis era figlio di poveri emigranti, trasferitisi da Cicerale a Providence. Fino a diciassette anni non ricevette un’istruzione regolare, ma grazie alla sua tenacia e ad una straordinaria forza di volontà riuscì a conseguire la laurea, fino a divenire stimato professore presso diverse università americane e canadesi. Morto nel 1987, ha vissuto un’esistenza per certi aspetti irripetibile, incarnando in pieno il cosiddetto “sogno americano” e riuscendo a sfuggire al destino di miseria e di emarginazione cui spesso gli emigranti sono stati condannati.
Fonologia del dialetto cilentano è la sua tesi di dottorato, pubblicata nel 1932 nella prestigiosa collana dell’Istituto di Studi Francesi di New York. L’opera, dedicata alla moglie e all’anziana madre, rappresenta un sentito e ideale filo conduttore con la terra d’origine, che il professor Ondis continuava ad amare, sebbene non gli avesse dato che miseria. Nella prima parte, l’autore fa una breve ricognizione sulla millenaria storia del Cilento, evidenziando come le invasioni succedutesi nei secoli abbiano lasciato il segno nel suo dialetto; non è raro, pertanto, trovare parole di origine araba, francese, spagnola, latina, greca o persino germanica. Quindi, egli si occupa di rimarcare le differenze tra il dialetto cilentano e quello di altre zone dell’Italia meridionale. Nei tre successivi capitoli, dedicati ai suoni, alle vocali e alle consonanti, il professor Ondis svolge la parte più tecnica della sua tesi, studiando approfonditamente la fonologia del dialetto (es., sul c.d. “raddoppiamento consonantico”).
Si tratta di un’opera che può essere letta a due livelli: per gli studiosi di fonologia è un imprescindibile strumento di studio e ricerca; per tutti gli altri, è un libro utile soprattutto per conoscere l’etimologia di alcune parole.
Si segnala questa edizione, oltre che per il citato saggio dell’editore Galzerano, perché riporta in appendice la recensione del professor Rohlfs dell’Università di Tubinga, uno dei massimi studiosi dei dialetti dell’Italia meridionale.

20 gennaio 2014

La cultura dell'uva fragola e della pasta e fagioli

C’è una vecchia canzone dei Napoli Centrale che si intitola A musica mia che r’è. I primi versi recitano: “A musica mia che r’è? È vino e’ fravulelle e pasta e fasule” (Cos’è la mia musica? È vino di uva fragola e pasta e fagioli). Raramente ho letto o ascoltato una così precisa descrizione della poetica di un artista. I Napoli Centrale, forti di un nutrito seguito di pubblico e degli apprezzamenti della critica, avrebbero potuto utilizzare parole diverse, più alla moda, avrebbero potuto citare il free-jazz, l’improvvisazione, Miles Davis o il suono mediterraneo e il folclore. Eppure nessuna frase sarebbe stata più incisiva di questa, nessuna citazione sarebbe stata in grado di rendere l’idea meglio del vino fragolino e della pasta e fagioli. Queste poche parole, anche se semplici, possiedono una straordinaria forza evocativa, che trascende il dato meramente letterale e richiama alla mente una dimensione umile ma dignitosa, ove custodire un geloso canto di privatezza. L’immagine usata riporta ad un ambito domestico quieto, al paese natale, alla casa dove si è nati, alle abitudini semplici che ci appartengono. Vino e pasta e fagioli finiscono così per diventare una metafora della propria cultura di appartenenza, meridionale e contadina.
Il gusto oggi imperante nell’arte, nella letteratura, nel cinema e in televisione sembra aver dimenticato questa cultura. Volutamente la rifiuta, la considera ingombrante retaggio da accantonare. Il vino e la pasta e fagioli ci parlano di un universo dove ogni cosa ha uno spazio ben definito e dove il trascorrere lento del tempo non è un ostacolo all’incedere roboante della modernità, ma costituisce la naturale dimensione in cui collocare la vicenda umana.
Nella nostra epoca, invece, i libri sono diventati un prodotto commerciale da consumare in fretta, meglio ancora se viene eliminato il supporto materiale che da sempre li ha contraddistinti, la carta. Le opere di successo ci parlano sempre meno di quello che siamo veramente, e sempre di più di quello che vorremmo essere: supereroi, vampiri, poliziotti dal fiuto infallibile, conquistatori di successo, manager spietati o archeologi del mistero. Per tale ragione questi libri (o film, o altro genere di opere) sono destinati ad una rapida obsolescenza, programmata e voluta da chi li ha concepiti come prodotti di consumo e nulla più. Chi usufruisce di questi prodotti crede di capire il mondo, di essere un cittadino universale, di non rinchiudersi in una cultura di appartenenza ritenuta limitata e di angusti orizzonti. Il risultato è che le culture di origine cedono sempre di più il passo all’esterofilia dominante, ad una piatta uniformazione di linguaggi e contenuti che ci impoverisce anziché arricchirci.
Ci vorrebbe, nelle librerie, nei cinema e in televisione, un ritorno al vino fragolino e alla pasta e fagioli, metafora di un patrimonio di conoscenze apparentemente limitato, ma che in realtà aiuta davvero a capire chi siamo. Vale a tal proposito quello che Camus disse di Silone, quando lo definì “uno scrittore legato alla sua terra natale eppure talmente europeo”. Ecco, forse Silone ci parla del vino e della pasta e fagioli, ma dentro le sue pagine di vita semplice e contadina si nasconde l’uomo.


I Napoli Centrale (foto tratta da http://classikrock.blogspot.it/

9 gennaio 2014

"Il segreto di Luca" di Ignazio Silone: un caso di coscienza e di impegno civile

Luca Sabatino, scontati ingiustamente quaranta anni di carcere, di cui dieci in isolamento, fa ritorno al paese natale dopo aver ottenuto la grazia. In breve scopre che nulla è mutato nella mentalità dei suoi compaesani, e che meschinità e grettezza sono ancora i tratti caratteristici di quella gente. Nessuno vuole più avere a che fare con lui, sebbene molti siano consapevoli della sua innocenza; solo tre persone gli rivolgono la parola e si interessano, seppure in maniera diversa, al suo caso. Il primo è il giovane Toni, che, nonostante la sua semplicità, dimostra di saper vedere oltre le apparenze e di saper indagare nel cuore degli uomini meglio di tanti che si ergono a giudici. Il secondo è don Serafino, parroco del villaggio al tempo del processo, che si prende cura dell’ex ergastolano per aver avuto a suo tempo una parte importante nella dolorosa vicenda. Infine, c’è il socialista Andrea Cipriani, che ritorna al paese natale dopo aver trascorso dodici anni in esilio per la sua fiera opposizione al fascismo. Andrea, che riveste un incarico importante nel partito a Roma, delude le aspettative dei suoi compaesani, rifiutandosi di dispensare favori e raccomandazioni. Egli, infatti, disdegna gli incontri politici e si dedica anima e corpo alla vicenda di Luca. Da bambino, infatti, aveva scritto per conto dell’analfabeta madre di Luca le lettere che questa inviava al figlio in carcere. L’aver partecipato, sia pure in veste di mero scrivano, ad un caso così drammatico, ha rappresentato per Andrea il primo e confuso approccio con il dolore dell’esistenza. Per questo motivo, ciò che soprattutto gli preme è il ristabilimento della verità, che diventa una sorta di necessità.
In particolare, Andrea vuole sapere per quale motivo al processo Luca avesse rifiutato di difendersi, finendo per accettare con animalesca passività la condanna all’ergastolo. Davanti ai giudici, pur proclamando la propria innocenza, egli non aveva mai voluto rivelare dove aveva trascorso la notte in cui era stato commesso l’omicidio di cui era accusato. Ha inizio così per Andrea Cipriani una vera e propria indagine personale, in cui si scontra con pregiudizi, superstizioni, omertà e con l’irriducibile silenzio dello stesso Luca. La scoperta della verità ha il sapore di una rivelazione, che trascende il caso individuale per imporsi come metro di valutazione della natura umana. Il segreto di Luca, infatti, altro non è che la strenua difesa di un amore platonico, un amore contadino per cui sacrificare persino la propria libertà.
Il segreto di Luca è un grande romanzo di impegno civile, che scandaglia nel profondo il conflittuale rapporto tra diritto e onore, tra legge e sentimento. Luca Sabatino, pur nella sua estrema semplicità di contadino, aveva compreso che la risposta a taluni drammatici casi della vita non si può trovare negli impersonali commi del codice, ma in una dimensione intima che vale come autentica prova di innocenza.

Copertina di una vecchia edizione Oscar Mondadori