9 maggio 2014

C'è stato un tempo in cui i miei migliori amici erano i Ramones

Non c’è sito o rivista musicale che non abbia ceduto, almeno una volta, al fascino della “classifica dei dischi imprescindibili”, quelli “da portare sopra un’isola deserta”. Ricordo le classifiche di Rolling stones, le “pietre miliari” di OndaRock e gli elenchi del Mucchio selvaggio, pronto sempre a scansare, a torto o ragione, qualsiasi vago sentore di prog. Ogni volta, specialmente quando vengono pubblicate sulla rete, tali classifiche destano critiche feroci e acerrime rivalità, come se nel campo minato dei giudizi si potesse pretendere una verità assoluta.
Quello che segue è il mio personale elenco di dischi fondamentali. È soggettivo, parziale, incompleto e discutibile, anzi, discutibilissimo (soprattutto per la prevalenza di artisti italiani). 
Tra parentesi il supporto da me posseduto.
Il titolo è una citazione di Federico Fiumani ("Grande come l'oceano", 2012).
- Bluvertigo – Metallo non metallo (1997, MC), perché è la prima musicassetta che ho acquistato, a 12 anni. 26.000 lire e all’inizio pensai di aver fatto una cazzata, tanto era “diverso” quel suono. Da allora il nastro ha girato per ore ed ore, fino a consumarsi.
- Affinity – Affinity (1970, CD), perché ha la copertina più suggestiva che abbia mai visto.
- Area – Arbeit macht frei (1973, CD), perché è rivoluzione di suoni e di voce, improvvisazione e studio. Perché Demetrio svetta su tutti.
- Alan Sorrenti – Aria (1972, LP), perché è etereo e fuori dal tempo e dalle mode. Dentro c’è Londra, Napoli, il Mediterraneo, l’avanguardia.
- Consorzio suonatori indipendenti – Linea gotica (1995, CD), perché ho impiegato anni per capirlo fino in fondo. Materiale resistente.
- Clash – Give’em enough rope (1978, CD), perché c’è la rabbia dei vent’anni e tutto quello che bisogna sapere sul punk.
- Jefferson Airplane – Surrealistic pillow (1967, CD), perché c’era Grace Slick, in una stagione irripetibile.
- Napoli Centrale – Napoli Centrale (1975, CD), perché c’è sangue e tradizione, sudore e tecnica, perché ci sono le parole dei braccianti in lotta contro i padroni.
- Litfiba – 17 re (1986, MC), perché dà finalmente una forma definitiva al corpo informe del rock italiano.
- Claudio Rocchi e Paolo Tofani – Un gusto superiore (1980, LP), perché ci insegna quali sono le cose che contano davvero nella vita.
- Lucio Battisti – La batteria, il contrabbasso eccetera (1976, CD), perché c’è il ritmo, quello vero.
- Van der Graaf Generator – H to He who am the only one (1970, CD), perché mi ha insegnato quali straordinari voli si possano fare anche senza chitarra, quando si ha una voce che è più di uno strumento.
- The Beatles – Revolver (1966, CD), perché è l’inizio della rivoluzione, il disco che mostra cosa c’è oltre il velo.
- Diaframma – Boxe (1988, CD), per quella frase che dice tutto: “voglio stare ad aspettare e leccarmi le ferite, sotto un cielo di stelle”.
- Alberto Fortis – Alberto Fortis (1979, CD), perché è una rivoluzione nel quadro del cantautorato della Penisola.
- Pino Daniele – Nero a metà (1980, LP), perché sembra scritto negli Usa, e solo per una questione di lingua ti accorgi che non è così.
- The Smiths – The queen is dead (1986, CD), perché i riff di Johnny Marr e le liriche di Morrisey sono un connubio impossibile da non riconoscere.
La celeberrima copertina del disco di esordio degli Area

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