25 maggio 2014

"Attraverso il Cilento" di Craufurd Tait Ramage: ai margini del Grand Tour

Tanti e affascinanti sono i resoconti che i viaggiatori stranieri del Grand Tour ci hanno lasciato, primo fra tutti Goethe. Napoli era una tappa obbligata per questi coraggiosi viandanti, che, alla ricerca delle vestigia del passato, non di rado si spingevano più a sud, fino a Paestum. Pochi, però, erano quelli che, lasciata l’antica Poseidonia, avevano l’ardire di proseguire oltre, fino agli argini del “nobile Alento”, in quel Cilento allora considerato la “terra dei tristi”.
Craufurd Tait Ramage, letterato e studioso di lettere classiche, nonché precettore dei figli del console inglese a Napoli, nell’aprile del 1828 intraprese un lungo tragitto, il cui racconto venne dato alle stampe col titolo di Viaggio nel Regno delle Due Sicilie. Attraverso il Cilento è un estratto di quest’opera, ed è stato di recente pubblicato in volume autonomo dalle Edizioni dell’Ippogrifo. Ramage si avventura nel Cilento alla ricerca delle rovine greche e romane e, più in generale, delle sopravvivenze classiche in un territorio così ricco di storia. La parte dedicata alla zona più meridionale della Campania è costituita da un centinaio di pagine, che ci offrono un resoconto fedele, perché scritto da uno straniero, di un popolo e di una terra che all’epoca doveva apparire a molti appena al di sopra delle soglie della civilizzazione.
Il letterato scozzese incontra persone di ogni ceto sociale, dai nobili ai contadini, uscendo indenne persino da un fortunoso (e comico) incontro con i briganti di Monteforte. Egli si avvicina con pregiudizio a questo popolo povero ma orgoglioso, tanto che in più occasioni, specie nelle prime pagine del libro, rivela al lettore la folle paura di poter essere in qualsiasi momento accoltellato e derubato dei suoi averi. In breve, però, ogni pregiudizio si rivela infondato; alcuni lo guardano con sospetto, ma la maggioranza delle persone che incontra sono gentili e disponibili, nonché curiose: egli riesce addirittura a parlare di costituzionalismo con i semplici avventori di una locanda di Torchiara. E quando si imbatte nei più umili, questi non esitano a voler dividere con lui il poco pane posseduto, per un innato senso dell’ospitalità. Certo egli non nasconde i difetti di questa gente, il pressappochismo e la mancanza di industriosità che regnano un po’ ovunque. Eppure, alla fine non potrà che concludere che: “tutto ciò che ho potuto osservare di questa gente mi piace; nulla può superare la bontà, la cortesia e l’ospitalità dimostratami senza distinzione, da tutti quelli che ho avvicinato”.
Ramage rimane affascinato dalla natura selvaggia che incontra, dal placido mare ai boschi scuri e secolari, attraversati da impetuosi torrenti. E arriva persino a dire che le opere naturali appaiono ancora più grandiose delle pur impressionanti vestigia dell’antichità, perché “anche se non avessi visto null’altro all’infuori del tramonto dalla cima del Monte Stella, mi considererei pienamente ripagato di tutti i disagi che ho fin qui sostenuto”.
Il viaggiatore scozzese dedica alcune riflessioni anche alla difficile situazione politica. Il 1828 è un anno cruciale, tanto che nei mesi successivi al passaggio di Ramage il Cilento sarà infiammato da un tentativo rivoluzionario, guidato dalla Carboneria e volto ad ottenere la Costituzione, represso nel sangue dalle truppe borboniche. Interessanti sono pertanto i riferimenti a questa situazione esplosiva, che ci danno anche un quadro di come il governo diffidasse apertamente di questo popolo, considerato avvezzo all’eversione e al tradimento.
Volevo infine segnalare che l’opera è ricca di citazioni classiche, greche e latine, che ci rendono simpatico questo misconosciuto viaggiatore dell’Ottocento, a cui ogni pietra parlava con le lingue di Cicerone o di Omero.

9 maggio 2014

C'è stato un tempo in cui i miei migliori amici erano i Ramones

Non c’è sito o rivista musicale che non abbia ceduto, almeno una volta, al fascino della “classifica dei dischi imprescindibili”, quelli “da portare sopra un’isola deserta”. Ricordo le classifiche di Rolling stones, le “pietre miliari” di OndaRock e gli elenchi del Mucchio selvaggio, pronto sempre a scansare, a torto o ragione, qualsiasi vago sentore di prog. Ogni volta, specialmente quando vengono pubblicate sulla rete, tali classifiche destano critiche feroci e acerrime rivalità, come se nel campo minato dei giudizi si potesse pretendere una verità assoluta.
Quello che segue è il mio personale elenco di dischi fondamentali. È soggettivo, parziale, incompleto e discutibile, anzi, discutibilissimo (soprattutto per la prevalenza di artisti italiani). 
Tra parentesi il supporto da me posseduto.
Il titolo è una citazione di Federico Fiumani ("Grande come l'oceano", 2012).
- Bluvertigo – Metallo non metallo (1997, MC), perché è la prima musicassetta che ho acquistato, a 12 anni. 26.000 lire e all’inizio pensai di aver fatto una cazzata, tanto era “diverso” quel suono. Da allora il nastro ha girato per ore ed ore, fino a consumarsi.
- Affinity – Affinity (1970, CD), perché ha la copertina più suggestiva che abbia mai visto.
- Area – Arbeit macht frei (1973, CD), perché è rivoluzione di suoni e di voce, improvvisazione e studio. Perché Demetrio svetta su tutti.
- Alan Sorrenti – Aria (1972, LP), perché è etereo e fuori dal tempo e dalle mode. Dentro c’è Londra, Napoli, il Mediterraneo, l’avanguardia.
- Consorzio suonatori indipendenti – Linea gotica (1995, CD), perché ho impiegato anni per capirlo fino in fondo. Materiale resistente.
- Clash – Give’em enough rope (1978, CD), perché c’è la rabbia dei vent’anni e tutto quello che bisogna sapere sul punk.
- Jefferson Airplane – Surrealistic pillow (1967, CD), perché c’era Grace Slick, in una stagione irripetibile.
- Napoli Centrale – Napoli Centrale (1975, CD), perché c’è sangue e tradizione, sudore e tecnica, perché ci sono le parole dei braccianti in lotta contro i padroni.
- Litfiba – 17 re (1986, MC), perché dà finalmente una forma definitiva al corpo informe del rock italiano.
- Claudio Rocchi e Paolo Tofani – Un gusto superiore (1980, LP), perché ci insegna quali sono le cose che contano davvero nella vita.
- Lucio Battisti – La batteria, il contrabbasso eccetera (1976, CD), perché c’è il ritmo, quello vero.
- Van der Graaf Generator – H to He who am the only one (1970, CD), perché mi ha insegnato quali straordinari voli si possano fare anche senza chitarra, quando si ha una voce che è più di uno strumento.
- The Beatles – Revolver (1966, CD), perché è l’inizio della rivoluzione, il disco che mostra cosa c’è oltre il velo.
- Diaframma – Boxe (1988, CD), per quella frase che dice tutto: “voglio stare ad aspettare e leccarmi le ferite, sotto un cielo di stelle”.
- Alberto Fortis – Alberto Fortis (1979, CD), perché è una rivoluzione nel quadro del cantautorato della Penisola.
- Pino Daniele – Nero a metà (1980, LP), perché sembra scritto negli Usa, e solo per una questione di lingua ti accorgi che non è così.
- The Smiths – The queen is dead (1986, CD), perché i riff di Johnny Marr e le liriche di Morrisey sono un connubio impossibile da non riconoscere.
La celeberrima copertina del disco di esordio degli Area

4 maggio 2014

"Varco le soglie e vedo" di Maurizio Agamennone: musica popolare e religiosa nel Cilento

L’elemento religioso è così intrinsecamente legato alla storia del Cilento da non poterne essere separato. Non a caso, la monumentale e mai troppo lodata opera omnia di Pietro Ebner sulla storia di questa terra si intitola Chiesa, baroni e popolo nel Cilento.
Partendo da questo legame tra popolo e devozione, il Professor Maurizio Agamennone dell’Università di Firenze ha dato alle stampe nel 2008 l’interessante saggio Varco le soglie e vedo (ed. Squilibri) sul canto confraternale nel Cilento antico. L’opera, che è il risultato di oltre vent’anni di studi e ricerche sul campo, offre spunti interessanti non solo per gli studiosi di etnomusicologia, ma per tutti coloro i quali desiderino approfondire un aspetto, forse poco conosciuto, ma certamente decisivo della storia cilentana. In un territorio policentrico, acefalo per mancanza di un centro dominante, i gruppi confraternali (le c.d. congreghe) hanno costituito per molti secoli una delle poche occasioni di incontro e scambio culturale tra individui, che, pur vivendo in casali posti a pochi chilometri l’uno dall’altro, raramente avevano occasione per comunicare tra loro. La dominazione del feudalesimo ha di fatto impedito l’affermazione nel Meridione dei Comuni, per cui lo spirito comunitario e di condivisione ha trovato proprio nel fenomeno religioso il suo naturale sbocco. Ad avviso dell’autore del saggio, l’ambito territoriale di indagine va ristretto al solo Cilento antico (o storico), vale a dire quell’area, limitata rispetto a quella dell’attuale Parco, che gravita intorno al Monte Stella, sulla cui sommità, con ogni probabilità, era un antichissimo insediamento di origine lucana, noto come Lucania o castrum Cilenti. È proprio su questo territorio che da secoli si compie quello che il professor Agamennone definisce il “piccolo rito penitenziale cilentano”, ovvero quella sorta di “pellegrinaggio che mette in movimento reciproco” durante la Settimana Santa “tutti i sodalizi attivi, estendendosi a coprire e marcare l’intera area del Monte Stella”. Tale “piccolo rito”, proprio per il suo carattere di ambulatorietà – le confraternite arrivano a coprire nell’arco di una sola giornata fino a nove chiese differenti – è fenomeno originale, che presenta tratti di peculiarità rispetto ad esperienze simili rintracciabili in altre parti d’Italia. La prima parte del saggio è dedicata alla descrizione dell’evoluzione storica di questo rito, dalle sue origini fino ai giorni nostri, passando per la legislazione eversiva dell’asse ecclesiastico e per l’esperienza totalitaria. Il tutto è esaustivamente documentato da preziosissime fonti; vengono richiamati e riprodotti, ad esempio, gli antichi statuti delle congreghe e le circolari ecclesiastiche, nonché testimonianze dal vivo e stralci di interviste agli stessi priori o confratelli. Nella seconda parte, di carattere più marcatamente tecnico, l’autore si dedica allo studio del canto e delle polifonie confraternali. All’opera è allegato un cd con registrazioni effettuate dal vivo. Si tratta di un libro interessante, che fa luce su un aspetto forse poco conosciuto della cultura del Cilento, ma davvero decisivo per incidenza ed originalità.
[ Questa mia recensione è apparsa anche su La Mandragola Blog e Sololibri.net ]