7 maggio 2015

Ultravox: i nuovi romantici alla scoperta di Vienna

L’intensità drammatica di Vienna, parlo della canzone che dà il titolo all’album, sta tutta nella versione live registrata a St. Albans nell’agosto del 1980, per fortuna disponibile su YouTube. Il gruppo è in stato di grazia e sfodera una prestazione emozionante, arricchita dalla presenza scenica di Midge Ure, il quale, praticamente immobile per tutta la durata del brano, alla fine alza il pugno al cielo, in un gesto liberatorio e suggestivo.
Mi è sempre stato simpatico Midge: sarà per i baffetti alla Fred Buscaglione, per la cravatta slacciata o per le scarpe bianche anni Cinquanta. In lui, l’immagine fa più delle pur indubbie qualità artistiche.
È proprio con l’arrivo del nuovo cantante che gli Ultravox voltano pagina, tirando fuori un disco a tratti discontinuo, ma che molti considerato il loro migliore. L’album è caratterizzato da testi dalle atmosfere rarefatte e suoni algidi, che costruiscono un importante tassello del pop elettronico degli Anni Ottanta. A distanza di oltre trent’anni può apparire datato per alcuni aspetti; però, è indubbia la perfetta sincronia tra i componenti del gruppo. Midge Ure (voce, chitarre e sintetizzatori), Warren Cann (batteria elettronica), Billy Currie e Chris Cross (sintetizzatori), definiscono e approfondiscono il suono Ultravox, aggiustano il tiro volgendo lo sguardo all’Europa del Nord e specialmente ai Kraftwerk. Ma soprattutto, è la nuova calda voce di Midge a contraddistinguere prepotentemente il lavoro.
Nove le tracce, di cui due strumentali. Il lato A è certamente il migliore, perché contiene alcuni pezzi serratissimi, come New Europeans, forse il più convincente dell’album per l’eccellente amalgama tra il suono prepotente delle chitarre elettriche e quello cupo dei sintetizzatori. Altre canzoni degne di nota sono Private Lives e Passing strangers, caratterizzate da un perfetto connubio tra elettronica e sezione ritmica. Chiude la prima facciata Sleepwalk, brano dalle venature disco.
Il secondo lato si apre con un lungo e poco convincente strumentale, Mr. X, dagli spunti buoni ma eccessivamente frammentati. Segue Western promise; qui il canto si fa recitato e si veleggia su atmosfere orientali sospese tra il reale e l’onirico. Infine, la title-track Vienna, bellissima e glaciale, dove la voce di Midge Ure raggiunge il massimo dell’intensità e del patetismo teatrale.
Al di là delle definizioni che se ne possono dare (synth-pop, new romantic, new wave) e, soprattutto, al di là delle mode che vanno e vengono, resta un dato: gli Ultravox con l’elettronica ci sapevano fare. E bene.
La band sul retro del disco

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