21 novembre 2016

La perfetta strategia del ragno, che tutto avviluppa e niente rivela

Che la verità abbia mille volti, che spesso si nasconda dietro un velo di apparenza, che possa essere raccontata da cento voci secondo cento diverse cadenze, è fatto noto. Meno scontato è il comprendere che non si tratta di un discorso astratto, filosofico o peggio ancora ozioso. Sostenere che l’apparenza potrebbe non essere rispondente al vero, non è un balocco intellettuale. Per asseverarlo, però, servono prove che abbiano la capacità di mettere spalle al muro lo scettico.
Questa sorta di straniamento è la sensazione che si prova dopo la visione di Strategia del ragno, lungometraggio del 1970 di Bernardo Bertolucci, interpretato, tra gli altri, da Giulio Brogi e Alida Valli. Il film è coraggioso, e non solo per la tematica trattata, ma per la precisa contestualizzazione storica ed emotiva in cui la stessa è calata. Per dimostrare la sua tesi, ovvero la capacità del vero di nascondersi e di assumere multiformi e stridenti volti, Bertolucci coinvolge addirittura la Resistenza, quale evento collettivo alla base del contemporaneo vivere democratico, totem intoccabile che non può che essere raccontato ad una sola voce. Il regista, invece, rovescia coraggiosamente questo indiscutibile principio, penetrando oltre il velo delle verità acriticamente accettate, come già aveva tentato di fare lo scrittore Beppe Fenoglio.
Un giovane, dopo molti anni di lontananza, ritorna a Tara, sua città natale, per scoprire la verità sull’assassinio del padre, che portava il suo stesso nome. Athos Magnani è un eroe per la cittadina: a lui sono dedicati la via principale, un circolo ricreativo e un busto in piazza davanti alla chiesa. Da tutti è ricordato e venerato quale martire della Resistenza, ucciso dai fascisti per rappresaglia durante la prima del Rigoletto. La morte, oltre a trasformarlo in eroe, ha dato linfa vitale al movimento antifascista, fungendo da traino morale per quanti non avevano ancora aperto gli occhi di fronte alla violenza del regime. I responsabili del delitto, però, non erano mai stati individuati, anche perché il processo era stato una vera e propria farsa. Per questo, il figlio di Athos decide di ritornare a Tara, per scoprire chi ha ucciso il padre e, magari, consumare una personale vendetta. A questo punto si attua la strategia del ragno, perché è la stessa comunità cittadina ad ordire una fitta trama di rimandi e corrispondenze volti a nascondere la verità, che nessuno vuole accettare. Si viene così a sapere che forse Athos aveva tradito i suoi compagni, ed aveva chiesto loro di ucciderlo, facendo ricadere la colpa sui fascisti, perché «un traditore è dannoso anche morto, mentre è molto più utile un eroe, un eroe che la gente possa amare». Si viene a disegnare un piano complesso: costruire un martire, una vittima del regime, il cui luminoso esempio indichi agli altri la via da seguire.
Il figlio è sconvolto dalla rivelazione, al punto da non riuscire più a determinarsi. Due sono le strade possibili: tacere e lasciare imperituro il ricordo del padre, oppure gridare ai quattro venti quello che ha scoperto, offuscando per sempre la memoria di un mito. Nessuna soluzione viene presa, perché la tela del ragno tessuta intorno al giovane non ne imbriglia soltanto i movimenti, ma ne ottunde il cervello e la capacità di ragionare. Anzi, la tela è talmente perfetta che anche quando il figlio, giunto ad odiare il padre, compie l’immondo gesto del vilipendio della sua tomba, l’evento non fa che rinnovare nel paese l’ammirazione per il paladino dell’antifascismo.
Alla fine nessuna domanda ottiene risposta e nessun dubbio viene sciolto. Chi era veramente Athos Magnani: un traditore, un eroe, o forse nessuno dei due? Athos era quello che irrideva in pubblico i fascisti ballando allegramente sulle note di Giovinezza, oppure quello che ha rivelato ai Carabinieri il luogo dove era nascosta la bomba per uccidere Mussolini? E soprattutto, se anche ha tradito, per quale ragione l’ha fatto? Semplicemente per umana paura, oppure per non mietere vittime innocenti assieme all’odiato tiranno? Queste e altre le domande che restano insolute, congelate nella perfetta strategia del ragno, che tutto avviluppa e niente rivela.
Athos Magnani (Giulio Brogi) balla sulle note di Giovinezza
(foto tratta da Wikipedia, pubblico dominio)

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