21 maggio 2017

"Aspettando noi": andare oltre Beckett

Confrontarsi con un classico del teatro contemporaneo, magari tentandone una personale rielaborazione, non è mai facile. Se poi ci si accosta ad uno dei testi più ostici e criptici del Novecento, il tentativo diventa un’impresa. Il Laboratorio GirasoliTeatro, composto da attori non professionisti (ma bravissimi), ha accettato la difficile sfida, rappresentando con successo l’opera inedita Aspettando noi nell’intima e suggestiva cornice del Teatro Piccolo Re di Roma. Il testo, liberamente tratto dal celeberrimo Aspettando Godot, è stato scritto da Helga Dentale, con monologhi degli stessi attori del laboratorio teatrale. L'interpretazione è stata impeccabile e coinvolgente, capace di trasmettere agli spettatori tutta la potenza del testo e delle tematiche trattate.
Audace la scelta della struttura dell’opera, che presenta almeno due punti di forza. In primo luogo, vi è una riuscita commistione tra brani di Beckett – come gli irresistibili botta e risposta tra Estragone e Vladimiro –, e monologhi originali, che hanno la funzione di adattare il testo di partenza alla sensibilità contemporanea, alle problematiche dei nostri giorni. In secondo luogo, sorprende la scelta di non assegnare il ruolo di Estragone e Vladimiro a due attori fissi, ma di farli interpretare a turno da tutti gli artisti della compagnia, favorendo così l’immedesimazione tra lo spettatore e i personaggi sul palco, come a voler dire che Gogo e Didi siamo tutti noi e che nessuno può sentirsi escluso dai loro discorsi e dalle loro vicende.   
Ma vi è di più: Aspettando noi rovescia nel suo contrario il senso di straniamento di Aspettando Godot. Si dice che il pubblico, uscendo dal teatro dopo aver assistito alle prime rappresentazioni dell’opera di Beckett, si domandasse cosa mai avesse visto, cercando di coglierne significati simbolici a valenza rassicurante. In questo caso, invece, l’effetto è diametralmente opposto: si esce dal teatro colpiti nel profondo, storditi ma al tempo stesso più consapevoli. Tutto questo perché Aspettando noi parla dell’uomo contemporaneo e delle sue illusioni, seguendo sì l’insegnamento del grande drammaturgo irlandese, ma al tempo stesso discostandosene, tracciando una via autonoma che valga per questi nostri giorni confusi. La guerra fredda è finita da un pezzo, le ideologie sono cadute assieme ai muri e lo smarrimento del Novecento, da condizione transeunte mitigata dai solidi appigli della dottrina, è divenuto regola che governa le nostre esistenze. Non a caso, precarietà, paura e attesa di tempi migliori sono le parole d’ordine del quotidiano. Ecco dunque che in Aspettando noi, ad esempio, la dinamica capitalista/sfruttato del binomio Pozzo/Lucky è solo accennata, mentre viene dato ampio risalto alla precarietà individuale, ai bisogni dell’uomo considerato nella veste imposta di marito, moglie, madre, bambino obbediente, studente o lavoratore. Se dunque la grandezza del testo di Beckett sta nella impietosa ricognizione della natura umana, in Aspettando noi si cerca di andare oltre: non vi è una passiva accettazione di tale condizione, quanto piuttosto la spinta per trovare una direzione, per uscire dall’illusione dell’attesa.
L’attesa di Beckett è una condizione perenne: si attende per aspettare, si aspetta per rimandare la scelta sulla forma definitiva del proprio stato. Nello spettacolo del Laboratorio GirasoliTeatro, invece, l’attesa è solo il punto di partenza per una ricerca di sé che non può essere rimandata. Nei monologhi, che si alternano efficacemente alle scene “beckettiane”, si parla di libertà, di ribellione al conformismo, di opposizione al bigottismo dominante, di ricerca di una dimensione che ci appartenga veramente. Ed è questo l’aspetto che coglie nel segno, stimolando lo spettatore alla riflessione: non si può vivere nell’attesa di qualcosa o di qualcuno, né si può condurre un’esistenza lungo gli stringenti binari della morale borghese e delle convenzioni sociali. La società è una gabbia e l’attesa di qualcosa di diverso è come la fioca speranza della grazia per l’ergastolano. Aspettando noi ci invita ad operare una scelta urgente, a non rimandare, perché la vita spesa nell’attesa equivale a rinunciare a vivere.
Uscendo dal teatro, riecheggiano allora nella mente le parole di una canzone scritta da Alice e Francesco Messina che, citando Shakespeare, contiene un prezioso avvertimento: «Mi svegliavi la notte dicendo anche spesso “To be or not to be”: hai scelto mai?».
La locandina dello spettacolo, con i nomi degli attori

4 commenti:

  1. Grazie per questa recensione che coglie pienamente il senso della nostra ricerca e del nostro lavoro.

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  2. Grazie Alfonso per questa bellissima recensione!

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  3. Bellissima. Mi hai fatto venire molta voglia di vederlo!

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