25 agosto 2017

"La banda dei brocchi" di Jonathan Coe: amore e lotta di classe

Il pittore Oreste, personaggio del romanzo Una lunga rabbia di Carlo Castellaneta, afferma che nella vita contano soltanto due esperienze: l’amore e la lotta di classe. L’idealista Oreste si spinge persino oltre, fino a unificarle in un’unica cosa: amore e lotta di classe finiscono per diventare facce della stessa medaglia, le uniche ragioni per cui vale la pena vivere. Il primo perché trasforma e completa l’individuo, la seconda perché vorrebbe tramutare la società in una dimensione più giusta ed egualitaria. In un certo senso, sono questi i due poli de La banda dei brocchi di Jonathan Coe, edito per la prima volta nel 2001 e pubblicato in Italia da Feltrinelli. Si tratta di un romanzo corale, un fedele e dolceamaro ritratto del Regno Unito negli anni Settanta, epoca di grandi contraddizioni, di battaglie e ideali, di lotta di classe e amore, appunto.
I Settanta hanno rappresentato per il Regno Unito, come d’altronde per l’Italia, un difficile periodo di transizione. Erano gli anni degli scioperi selvaggi, della guerriglia nelle piazze, delle bombe dell’IRA, della debolezza dei governi laburisti e dei dissidi fra gli opposti nazionalismi. D’altro canto, però, si è trattato anche di un periodo assai fecondo per le arti, la letteratura e la musica. Coe evidenzia tutti questi aspetti e ricostruisce l’atmosfera dell’epoca, marcandone le contraddizioni con naturalezza e seguendo una prospettiva de-ideologizzata, il più possibile obiettiva.
Non a caso il romanzo è ambientato a Birmingham, città natale dello scrittore, ma soprattutto sede dello stabilimento di Longbridge della British Leyland, storico marchio inglese di automobili. La fabbrica è il vero cuore pulsante della città, dal punto di vista economico, lavorativo e persino identitario. Gli stessi personaggi del romanzo vi sono legati a filo doppio, perché tutti lavorano o hanno un congiunto impiegato nello stabilimento. Tuttavia, non può affermarsi che si tratti di un romanzo “operaio”: sebbene i personaggi abbiano una diversa estrazione sociale, Coe ha scelto di narrare la sua storia seguendo principalmente un punto di vista elitario, quello degli studenti di una scuola privata, il King William.
Come ho anticipato, si tratta di un romanzo corale, senza un vero e proprio protagonista. I personaggi principali sono quattro studenti del King William: Trotter, Anderton, Chase e Harding, alle prese con i problemi e le passioni di tutti i ragazzi della loro età. Sarebbe tuttavia riduttivo qualificarlo come un romanzo di formazione. Coe racconta il percorso scolastico dei quattro ragazzi, ma lo fa scandagliando nel contempo la vita delle loro famiglie, entrando nelle case e mettendo a nudo quanto queste nascondono in termini di violenza, chiusura mentale e tradimento, ma anche di sincero affetto, passione e calore umano.
La banda dei brocchi è un romanzo appassionante, anche se la complessità dell’intreccio, resa dal continuo succedersi dei narratori e intersecarsi dei punti di vista, rende talvolta macchinosa la trama. Il libro è assai interessante anche per un altro aspetto, perché racconta un Paese, il Regno Unito, che affrontava negli anni Settanta gli stessi problemi dell’Italia, pur con le dovute differenze: le lotte sindacali, il terrorismo, gli scontri di piazza, i governi deboli e una strisciante crisi economica. Leggerlo non può lasciare indifferenti, perché, in un certo senso, è come specchiarsi in uno stagno.

19 agosto 2017

"Le rovine in attesa": il booktrailer

Su YouTube è stata pubblicata una breve presentazione del mio romanzo Le rovine in attesa, nella forma del booktrailer. Il filmato è visibile CLICCANDO QUI.

6 agosto 2017

"I sotterranei" di Jack Kerouac: un linguaggio febbrile come il jazz

I sotterranei è un romanzo che va letto tutto d’un fiato, senza soffermarsi tanto sul senso delle parole, quanto piuttosto assaporandone la musicalità, la melodia che si sprigiona dalle pagine di un monologo denso e martellante. Non a caso è il manifesto della prosodia bop, la tecnica di scrittura che cerca di riproporre sulla carta l’ininterrotto flusso dei pensieri, lo stream of consciousness di joyciana memoria, al ritmo della musica jazz. Si tratta di una fondamentale evoluzione del percorso letterario di Kerouac, che soltanto otto anni prima aveva esordito con un romanzo dall’impianto e dal linguaggio tradizionali, La città e la metropoli.
Il titolo non si riferisce ad un luogo: era infatti chiamato “i sotterranei” un gruppo di giovani artisti, spesso di scarso o nessun talento, che vivevano febbrili esistenze promiscue, trascinandosi nella notte tra locali e abitazioni di una San Francisco vivida e frenetica. I loro idoli erano poeti e musicisti, droghe e alcool la loro benzina.
C’è tanto di autobiografico in questo romanzo: il protagonista, Leo Percepied, è lo stesso Kerouac, mentre la seducente Mardou è Alene Lee, che fu unita allo scrittore da una breve e tormentata relazione. Leo e Mardou si incontrano a casa di un amico comune e vivono una veloce ma intensa stagione d’amore prima di separarsi, apparentemente senza rimpianti. Il loro è un amore sconveniente per molte ragioni, prima fra tutte il diverso colore della pelle: Mardou è infatti nera, per giunta libera e anticonformista, in un’America ancora profondamente razzista. La storia si dipana in un macchinoso monologo, ma soprattutto è un arguto ritratto di quella gioventù beat di cui Kerouac è stato il capostipite. I personaggi del romanzo sono dunque la trasfigurazione di persone reali; ad esempio, Adam Moorad è Allen Ginsberg, mentre Gregory Corso si nasconde sotto i panni dell’infido Yuri Gligoric.
Come ho già detto, il libro è importante più per lo stile che per la trama. Henry Miller, che a sua volta fu un innovatore, ne riconobbe immediatamente l’importanza, affermando con un’acuta metafora che I sotterranei avevano avuto la capacità di violentare la lingua, al punto che la letteratura americana non sarebbe più stata in grado di riacquistare la verginità perduta. In Italia il romanzo ha avuto una vita editoriale tormentata, prima di affermarsi al pari di un classico: è stato sottoposto a processo per oscenità, ma il collegio giudicante non ha potuto che riconoscere la bellezza lirica del linguaggio, tale da elevarlo ad opera d’arte, anziché degradarlo a sceneggiato pornografico come reclamavano i detrattori.
Resta comunque un libro a tratti ostico, proprio per le caratteristiche della scrittura bop. Probabilmente andrebbe letto in lingua originale, per poterne apprezzare al meglio le sottili sfumature. Ritengo sia adatto soprattutto a chi ha già una conoscenza abbastanza approfondita dello scrittore statunitense; consiglio di acquistarlo dopo aver letto i più celebri Sulla strada, I vagabondi del dharma e Big Sur. Iniziare la conoscenza di Kerouac partendo da I sotterranei potrebbe infatti rivelarsi un pericoloso fraintendimento.