27 gennaio 2017

Gli otto mali della nostra civiltà secondo Konrad Lorenz

Ci sono saggi che, pur essendo strettamente legati all’epoca in cui furono scritti, mantengono un carattere di attualità anche a distanza di decenni. Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, di Konrad Lorenz, rientra nella categoria; anzi, si può affermare che le tesi siano ancora più valide oggi rispetto al 1973. Il libretto affronta, nella prospettiva etologica e biologica, otto mali della contemporaneità, flagelli che minacciano di distruggere la nostra società. Ad avviso di Lorenz, i “peccati capitali” sono una patologia dell’evoluzione, che non è riuscita a liberare del tutto l’umanità dagli istinti primordiali. Anzi, sarebbe erroneo qualificare l’uomo come un “essere dagli istinti ridotti”, in quanto sono proprio le fonti autonome degli impulsi primitivi ad aver creato disfunzioni nel normale processo di evoluzione della specie.
La prima minaccia è la sovrappopolazione (I), dissipatrice delle energie del mondo. Lo sviluppo tecnologico e scientifico tenderebbe, per un terribile paradosso, a favorire la rovina dell’umanità per auto-soffocazione. Ad avviso dell’Autore, taluni effetti deleteri sono già ravvisabili nell’indifferenza che regna nelle grandi metropoli, dove l’amore per il prossimo svanisce in favore di un istinto egoistico all’autoconservazione.
La devastazione dello spazio vitale (II) è una conseguenza diretta del sovrappopolamento. L’etologo austriaco, partendo dal presupposto della esauribilità delle risorse naturali, pone alla base del suo ragionamento il concetto di biocenosi, il processo di adattamento delle varie specie in un ambiente, che normalmente richiede milioni di anni. Tutte le modifiche che si instaurano lentamente, come ad esempio l’estinzione non indotta di una specie, non costituiscono in tal senso un problema, mentre lo sono le modificazioni improvvise prodotte dall’uomo: lo sfruttamento intensivo, l’uso di prodotti chimici e l’abuso delle risorse naturali rischiano di alterare i ritmi altrimenti millenari delle biocenosi, conducendo al disastro ecologico.
Terzo peccato capitale è la competizione fra uomini (III). Anche questo è un concetto in sé naturale, che rientra nella logica della concorrenza per la selezione. La società capitalistica ha invece importato una “anomala competizione specifica mostruosa”; la paura di vedersi superati e l’ansia di fare meglio del prossimo, soprattutto per finalità di guadagno, agiscono più di qualsiasi fattore biologico nella distruzione di tutti i valori propri dell’uomo.
L’estinzione dei sentimenti (IV), secondo Lorenz, ne è l’inevitabile esito. La società tecnologica, diretta univocamente alla ricerca del piacere ad ogni costo, favorisce l’eliminazione di ogni capacità introspettiva. Ciò conduce alla rimozione dello stesso concetto del dolore e del sacrificio; raggiungere il massimo impegnando il minimo diventa l’imperativo della civiltà dei consumi. Immediata conseguenza è pertanto il deterioramento del patrimonio genetico (V), con una crescita esponenziale del fenomeno dell’infantilismo.
Sesto peccato capitale della nostra civiltà è la demolizione delle tradizioni (VI). Lorenz era uno scienziato, eppure credeva fermamente nel valore della dimensione fantastica e irrazionale, per secoli patrimonio di ogni popolo e cultura. Oggi, invece, si crede che il sostrato di conoscenze debba basarsi esclusivamente su ciò che è scientificamente provato, abbandonando la tradizione, i miti, le credenze e la religione. La sottovalutazione del sapere tradizionale e, di contro, la supervalutazione della scienza razionale, porteranno inevitabilmente a un appiattimento culturale, a un uniforme e acritico egualitarismo, presupposto del pensiero unico.
Ciò renderà ancora più subdolo l’insinuarsi del settimo male, l’indottrinamento (VII). I mass media sono i principali rei, perché hanno la capacità di mistificare la realtà, instillando nelle masse lo stesso falso convincimento. Sarà la scienza a pagare il prezzo più alto, in quanto l’interesse delle masse verrà sempre più orientato verso le conoscenze che sono in grado di produrre molto denaro, molta energia o molto piacere, tralasciando quelle dirette alla realizzazione di obiettivi nobili e alti.
L’ultimo peccato capitale è il più distruttivo, anche se (forse) oggi meno attuale. Si tratta delle armi nucleari (VIII), strumenti di sterminio che attribuiscono ai leader della Terra un potere prima impensabile: annientare in un solo colpo tutte le forme di vita.
Nell’articolo ho semplificato estremamente il pensiero di Lorenz. Tuttavia, spero almeno di aver stimolato la curiosità di leggere il saggio integrale.

12 gennaio 2017

I Napoli Centrale cantano 'o sanghe degli ultimi

Gli anni passano, ma James non delude mai: ha deciso di stare con chi soffre e lo dice già nella prima traccia di questo meraviglioso ultimo album (2016, etichetta AlaBianca). ‘O sanghe è quello dei poveri, degli ultimi, degli emarginati, di coloro che vengono quotidianamente schiacciati da un sistema violento, da un potere che “non dà una carezza, non sa cos’è la gentilezza”. E se negli anni Settanta i protagonisti delle canzoni dei Napoli Centrale erano i braccianti meridionali, oggi il messaggio è universale perché la sofferenza dei popoli è globale. La denuncia delle ingiustizie del mondo è dunque il tema portante del disco, ma con una significativa novità. La rabbia è sempre la stessa, gagliarda e per nulla ammansita; rispetto al passato, però, non è più urlata, ma convertita in invocazione e preghiera. In questo senso il disco ha una componente religiosa non secondaria, sia pure filtrata attraverso una visione personale e non clericale; nella title-track, ad esempio, Senese rivolge la sua preghiera direttamente a Dio, chiedendogli di porre fine alle guerre che insanguinano il pianeta colpendo sempre i più deboli. Se dunque nei precedenti dischi predominava, sia pure in senso figurato, l’imprecazione, O’ sanghe è invece un atto di devozione.
Ritratto in forme tribali in copertina, Senese è sempre più il deus ex machina della longeva formazione, oggi composta da Gigi De Rienzo al basso, Ernesto Vitolo alle tastiere e Fredy Malfi alle pelli. Va poi segnalato il gradito ritorno dello storico co-fondatore del gruppo, il batterista Franco Del Prete, che ha suonato in qualche brano e collaborato ai testi. Il sax di Senese segna la strada maestra, accarezza l’ascoltatore con piacevoli melodie e lo graffia con acuti lancinanti che racchiudono tutta l’angoscia del creato. Il resto della band gli viene dietro egregiamente, costruendo un tappeto ritmico su cui si staglia la calda voce del leader. Il risultato è una cifra stilistica unica, non riconducibile ad un solo genere, che fonde il folk, la world music, il jazz, il funk e il rock.
Apre le danze il groove della struggente Bon voyage, dedicata agli emigranti di ogni razza e religione. Senese canta di una terra ingrata, che costringe a partire anche chi vorrebbe tanto rimanere, di persone che attraversano il mare piene di speranze e vedono miseramente naufragare il sogno di migliorare la propria esistenza. Si raggiungono alti livelli con la quarta traccia, Il mondo cambierà, un canto di speranza retto da un basso trascinante e un testo immediato che si manda subito a memoria. I ricordi di vita vissuta di Mille poesie, poi, sono uno dei momenti più felici del disco. Sostenuto da una incisiva chitarra funk, il brano è un’autobiografia in versi di James, un uomo che sa bene “quant’è amaro il pane”, ma che nonostante tutto il dolore vissuto è ancora in grado di emozionarsi di fronte ad un cielo stellato. Ma soprattutto, è una dichiarazione d’amore verso la musica, palliativo di ogni dolore umano, ragione di vita a cui James deve non solo il successo, ma la forma stessa del proprio essere. Di grande impatto Povero munno, con una base strumentale funky cadenzata e incalzante. Davvero ispirato il testo, in cui Senese riesce a parlare di senzatetto, anziani negli ospizi e crisi dei valori senza indulgere nel patetismo. Il suo è un lamento rabbioso, la dura invettiva di chi non ha paura di metterci la faccia e dire le cose come stanno, anche se scomode ai più. L’ultima traccia è una vera e propria chicca dedicata ai collezionisti. Addo’ vaje non era stata mai incisa fino ad ora, sebbene facesse parte del repertorio dei Napoli Centrale da tre decenni; è infatti il brano che viene suonato nel famoso film “No grazie, il caffè mi rende nervoso” (1982), in occasione della comica intervista che un impacciato Lello Arena tenta di fare a James.
‘O sanghe è davvero un disco sorprendente, oltre che attuale. Con cinquant’anni di carriera alle spalle non è facile reinventarsi, né proporre inediti di buona qualità. I Napoli Centrale ci sono riusciti, e in questo lavoro hanno piazzato almeno cinque o sei perle destinate a durare nel tempo; la Targa Tenco 2016 per il miglior disco in dialetto ne è la definitiva conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Clicca qui per leggere l'intervista a James Senese in occasione del tour di 'O sanghe

1 gennaio 2017

A scuola di pop-rock: "Simpatico!" dei Velocity Girl

Per quale ragione certi validi gruppi siano destinati a non lasciare alcuna traccia nella memoria musicale collettiva rimane certamente un mistero. Soprattutto se si pensa a quanti musicisti non propriamente all’altezza siano invece passati ai posteri e abbiano goduto del beneficio di vedere i propri dischi ristampati in continuazione. Gli americani Velocity Girl hanno avuto un discreto successo intorno alla metà degli anni Novanta, per poi scomparire rapidamente dalle cronache. Eppure avevano le carte in regola per sfondare nel mondo del pop/rock: talento, melodia, presenza scenica, un’etichetta importante alle spalle (la benemerita Sub Pop), e persino una certa somiglianza con i Cranberries, baciati dalla dea bendata e incoronati da pubblico e critica.
Il gruppo si è formato nel 1989 nel Maryland e ha pubblicato tre album prima di sciogliersi: Copacetic nel 1993, Simpatico! nel 1994 e Gilded stars e zealous hearts nel 1996. Il nome lo avevano preso da un lato B di un singolo dei Primal Scream. I componenti erano la cantante Sarah Shannon, Archie Moore alla chitarra e ai cori, Brian Nelson alla seconda chitarra, Kelly Riles al basso e Jim Spellman alla batteria. Dopo lo scioglimento, la Shannon ha iniziato una non troppo fortunata carriera solista, Moore ha fondato altri gruppi, mentre Spellman è diventato un noto giornalista della CNN. I Velocity Girl si muovevano sull’onda dell’indie/power pop, proponendo un suono asciutto ed essenziale, senza troppi virtuosismi, con piacevoli melodie al servizio di una bella voce femminile mai sopra le righe.
Simpatico!, il loro secondo album, è da tempo esaurito, tanto che risulta non disponibile sul sito della casa discografica. Non so quale sia l’effettiva reperibilità sul mercato italiano; dalle notizie disponibili sulla rete, sembrerebbe che in Europa sia stato stampato in sole mille copie. Io ho trovato la versione americana in LP a pochi euro in un mercatino dell’usato. In copertina c’è un semplice collage di riquadri colorati; sul retro i crediti e una piccola foto del gruppo, mentre mancano i testi. La versione europea è invece arricchita da un adesivo e un singolo aggiuntivo in vinile da 7 pollici.
Il disco è stato registrato in due settimane (dicembre 1993/gennaio 1994) negli studi di Falls Church in Virginia; dura poco più di mezz’ora ed è costituito da dodici tracce, di cui l’ultima strumentale. Simpatico! scorre via piacevolmente, grazie a melodie semplici e orecchiabili, arricchite da riff di chitarra elettrica di stampo quasi surf e da un ritmo sempre sostenuto. S’impone subito al primo ascolto come un ottimo lavoro, efficace dall’inizio alla fine e senza cali di concentrazione. Alcune canzoni del lato A sono veri e propri gioielli, da antologia del pop/rock: si pensi alla botta d’energia iniziale di Sorry again, agli spunti shoegaze della meravigliosa Drug girls, all’incedere di There’s only one thing left to say. Il secondo lato si apre con la sanguigna Rubble, prosegue con l’ottima Labrador e si chiude con il potente muro del suono di What you left behind, cantata da Archie Moore. È un disco elettrico ma pulito, attento alla melodia ma mai mellifluo, a parte la sognante Hey you, get off my moon, in cui la band si concede un momento di quiete.
C’è da rimanere di sasso nel pensare che i Velocity Girl siano spesso etichettati come una band “minore”. Simpatico! dimostra esattamente il contrario: intrattiene e diverte quanto basta sin dai primi solchi, trasuda energia e passione in ogni traccia: c’è forse bisogno di altro?
I Velocity Girl e la copertina di Simpatico!