Affermare che gli album solisti di Adrian Borland siano una mera
appendice dei cinque lavori a marchio The Sound sarebbe un giudizio
superficiale, oltre che ingiusto. Superficiale perché il Borland solista non ha
nulla a che vedere con la cupa new wave
dei Sound; ingiusto perché significherebbe oscurare l’originalità di un percorso
portato avanti con ostinazione e coerenza, nonostante lo scioglimento del
gruppo di cui era leader. Non si può negare che, con la fine dei Sound, Borland
abbia perduto compagni di viaggio in grado di offrire una sezione ritmica
invidiabile (Dudley & Bailey) e sognanti divagazioni alle tastiere
(Mayers). Ne ha però guadagnato la massima libertà creativa, la possibilità di
esplorare strade prima impensabili. Come ho detto, gli ultimi residui di dark wave vengono spazzati via, in
favore di canzoni semplici e ariose, dal taglio classico, spesso rette dalla
sola chitarra acustica, che occhieggiano ad un pop-rock raffinato,
comunque mai banale.
Beautiful ammunition (1994) è
il terzo album a firma Adrian Borland, dopo Alexandria
(1989) e il più conosciuto Brittle heaven
(1992). Pubblicato dall’etichetta Resolve, Beautiful
ammunition si avvale della collaborazione di un numero ristretto di
musicisti. Dominano le tastiere e le chitarre, suonate dallo stesso Borland. È
un disco piacevole, impreziosito dalla voce profonda del cantante che, pur non
spandendosi in particolari virtuosismi, trasmette la solita drammatica
emotività. Dimenticate il punk e la new wave! Si
tratta di sedici canzoni pulite negli arrangiamenti e curate nei testi,
prevalentemente acustiche. L’ascolto del disco consolida almeno due
convinzioni. La prima è che Borland aveva tanto mestiere nel songwriting; è vero che l’album manca
di pezzi davvero memorabili, ma molti autori venderebbero un rene pur di
saper scrivere perle come Break my fall,
Open door o la semplice ma efficace Simple
little love. In secondo luogo, Borland conferma di saper parlare d’amore in
un modo né scontato né lacrimevole. Si ascolti in proposito l’iniziale Re-United States of Love, oppure
l’orecchiabile Ordinary angel; sono
canzoni pop, è vero, ma portano la firma di un autore dotato di una
sensibilità fuori dal comune, capace di emozionare l’ascoltatore. Anche nei
toni cupi Borland regala perle di umana bellezza, come nella struggente Lonely late nighter.
Beautiful ammunition, a
distanza di quasi venticinque anni, resta un disco bello e intenso, nonché
una sorta di testamento anticipato. Cinque anni dopo la sua pubblicazione,
Adrian Borland si suicidò sotto un treno, la maledetta mattina del 26
aprile 1999. Il suo oscuro male di vivere trapela qui e lì anche nelle canzoni
di questo album, in cui lancia sommesse richieste di aiuto, come in White room («You’ll see how I crack / so don’t fade away») o nella splendida Break my fall («I see the ground / the place where I / know I am bound, / so break my
fall»). Eppure non è la disperazione che emerge dai brani, quanto piuttosto
la timida speranza di poterne uscire fuori. E quanto fa male, allora, ascoltare
i versi di Stranger in the soul,
lucidi e profetici. Borland afferma che c’è un solo modo di liberarsi dallo
straniero che sente nell’anima, ma che sarebbe preferibile
conviverci. E invece, appena cinque anni dopo aver vergato queste parole,
pur di non essere schiacciato dal peso dello “straniero dell’anima” che sentiva dentro,
decise di liberarsene per sempre.