6 maggio 2019

"La grande mattanza" di Enzo Ciconte: il Brigantaggio, male cronico del Meridione

Di libri sul Brigantaggio ne sono stati scritti molti, secondo le prospettive più disparate. Alla letteratura agiografica dei primi anni dopo l'Unità, tendente a dare un'immagine eroica e senza macchia del Risorgimento, hanno fatto seguito una serie di volumi più aderenti alla realtà dei fatti, attenti alla ricostruzione delle vicende per come sono state, senza edulcorazioni ideologiche. Ha poi avuto un certo riscontro la corrente revisionista di stampo meridionalista, se non addirittura neoborbonico, che sostiene la tesi – in parte condivisibile, a parere dello scrivente – secondo cui l'unificazione del Paese sarebbe avvenuta ad esclusivo danno del Sud, trattato al pari di una colonia. Indipendentemente dai punti di vista contrapposti, non bisogna tuttavia dimenticare che la società meridionale, già prima dell’Unità, era arretrata, stritolata da una borghesia miope e priva di slanci, da una burocrazia inefficace e corrotta, con larghi strati della popolazione che boccheggiavano appena al di sopra del limite della sopravvivenza. Mali oscuri, mali antichi, mai del tutto superati. Si dovrebbe partire da questi dati per costruire finalmente un “Meridionalismo intelligente”, slegato da prese di posizione aprioristiche di stampo “leghista”, capace di leggere oltre i dati statistici, in grado di affrontare un discorso più complesso e avvincente.
Il saggio di Enzo Ciconte, La grande mattanza, uscito nel 2018 per i tipi degli Editori Laterza, intraprende proprio questa terza strada. L'Autore studia il fenomeno del Brigantaggio senza prendere le parti di uno dei contendenti, mantenendo una stretta aderenza ai fatti. La sua è una prospettiva de-ideologizzata, che lascia al lettore ampia libertà di analisi. Ciconte segue la scia del sangue; già il titolo è in tal senso una chiara lettera d'intenti. La lotta contro il Brigantaggio è raccontata senza nulla tacere degli episodi più crudi: le fucilazioni sommarie, la decollazione dei nemici, l'esposizione dei corpi mutilati come monito, le torture, gli eccidi di massa come quelli tristemente celebri di Pontelandolfo e Casalduni.
Al di là del racconto postunitario, La grande mattanza è prevalentemente un'indagine retrospettiva. È la storia della repressione perpetrata in Italia contro banditi e briganti dal Cinquecento al 1870. Come efficacemente riassunto nella quarta di copertina, è «il racconto di tre secoli di violenze efferate compiute soprattutto nel Meridione». Il saggio può infatti essere diviso in due parti. Nella prima, vengono analizzati i primordi del fenomeno del banditismo, non solo al Sud, arrivando fino alle repressioni adottate dagli Stati preunitari. Nella seconda parte, più corposa, sono trattati gli eventi successivi al 1860. Grazie al confronto tra epoche diverse, l'Autore mette in evidenza le costanti del fenomeno, per quanto concerne cause e rimedi. È allora sorprendente scoprire che l'origine del banditismo è sempre la medesima in tutte le epoche: le rivendicazioni rurali dovute alla mancata distribuzione delle terre. Ugualmente sorprendente è scoprire le costanti dei meccanismi repressivi: stragi, processi sommari, corruzione, amnistie, tradimenti, uso indiscriminato del bastone o della carota. Sempre così, dagli Aragonesi ai Savoia, passando per i Borbone e Gioacchino Murat.
A mio avviso è possibile muovere due elogi e una critica al saggio di Ciconte. Il primo punto di forza è rappresentato dall'analisi degli aspetti giuridici; molto interessanti sono infatti le pagine in cui l'Autore concentra la sua attenzione sull'illegalità dell'operato dei militari piemontesi nel Sud Italia. Ciconte spiega esaurientemente la difformità delle procedure attuate rispetto alle norme vigenti e allo Statuto Albertino, nonché il pervicace contrasto tra magistratura ed esercito, la prima garantista e il secondo spietato e illiberale. Per approfondire gli aspetti giuridici, Ciconte fa ampio uso di stralci di lettere e memoriali dell'epoca; la trascrizione e il successivo commento di queste fonti è il secondo punto di forza del libro. D'altro canto, però, alcune parti del saggio soffrono di una carenza di approfondimento, in quanto si limitano a snocciolare una serie impressionante di dati, nomi e vicende, tanto che spesso ho avuto l'impressione di smarrirmi nella lettura, perdendo il filo del discorso complessivo.
Il libro può essere apprezzato anche da quanti hanno già letto tutto (o quasi) sul Brigantaggio, specialmente per l'excursus storico sulle origini del fenomeno, dal XVI secolo in poi. Quanti invece hanno conosciuto superficialmente tali vicende solo dai libri di scuola, dovrebbero leggerlo, per scoprire che la cosiddetta lotta al Brigantaggio è stata in verità una pagina infamante della storia italiana, una vera e propria guerra civile, un massacro in parte ingiustificato, mascherato dietro l'apparenza della ragion di Stato. Una vicenda esemplare, che purtroppo non costituirà un unicum nella nostra storia unitaria.

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