18 dicembre 2019

Il satanismo di maniera dei Black Widow

Ci sono opere sempre attuali, in ogni luogo ed epoca, e altre contingenti, strettamente legate al tempo in cui furono prodotte. Così è per l'arte, la letteratura, la musica, e più in generale per ogni creazione umana. E se possiamo certamente affermare che Revolver dei Beatles o Forever changes dei Love siano figli del loro tempo, ciò nonostante sarebbe sacrilego definirli "vecchi", o peggio ancora "sorpassati". Viceversa, un disco come Sacrifice (1970) degli albionici Black Widow, pur restando a detta di molti una pietra miliare, a mio avviso risente del tempo passato.
I Black Widow nacquero dalle ceneri dei Pesky Gee, gruppo blues-rock di discreto successo; cambiato nome, il sestetto inglese decise di scatenare un piccolo terremoto nella scena musicale dell'epoca, pubblicando Sacrifice. La sinistra copertina e i disegni interni richiamavano atmosfere luciferine, come pure i testi, densi di riferimenti all'esoterismo, all'occultismo e al satanismo. In un'epoca in cui il genere rock era ancora identificato con le divagazioni psichedeliche del beat, i Black Widow apparivano innovativi e scandalosi; se a ciò si aggiungono alcune leggende metropolitane, come i presunti sacrifici animali sul palco, il piatto è servito. Assieme a Coven e Black Sabbath furono i pionieri di un genere destinato a fare proseliti, anche se, a differenza delle due band citate, si muovevano principalmente nei terreni del progressive.
Sbaglia chi appoggia la puntina sul vinile aspettandosi qualcosa di duro: Sacrifice è un LP folk-rock dalle venature prog, in cui a farla da padrone sono i fiati di Clive Jones e l'organo di Zoot Taylor, mentre le chitarre suonate da Jim Gannon non sono mai invasive. La formazione era completata dalla precisa sezione ritmica di Clive Box alle percussioni e Bob Bond al basso, mentre a cantare ci pensava Kip Trever. Come ho già detto, il confronto inevitabile è con i Black Sabbath, che nello stesso anno pubblicavano il loro primo, maestoso e omonimo album; ed è proprio quest'ultimo a vincere su tutta la linea in un ipotetico confronto con Sacrifice. Si pensi ai solchi iniziali: mentre i Black Widow accolgono l'ascoltatore con un organo sinistro ma comunque legato alla vulgata beat, Ozzy & co. lo terrorizzano con gli scrosci di un temporale e il lugubre incedere di una campana a morto.
Sia pure con alcuni passaggi interessanti – su tutte, l'iniziale In ancient days –, il lato A scorre senza particolari sussulti. Quel che manca, a mio avviso, è la costruzione di un'atmosfera realmente gotica o nera. I Black Widow si affidano a testi persino più audaci ed espliciti di quelli dei Black Sabbath, eppure appaiono un po' incerti e manieristici. Si ascolti in proposito la celebre Come to the sabbat, in cui l'invocazione corale al demonio assume, per uno strano paradosso, un carattere del tutto innocuo, quasi parodistico.
Decisamente superiore il lato B, impreziosito dalla lunga title-track, una cavalcata progressiva di oltre sette minuti, che resta la parte più convincente del lavoro. Qui i Black Widow si cimentano in lunghe improvvisazioni strumentali, con i fiati e l'organo che si inseguono sul tappeto martellante delle percussioni, a dare l'idea di una messa nera.
Dopo ripetuti ascolti, sono giunto alla conclusione che Sacrifice è un disco innovativo nelle intenzioni, se non altro per le tematiche trattate, eppure ingenuo negli esiti. Fulminante la recensione contenuta nel volume Progressive dell'Atlante musicale Giunti, in cui si parla di «un suono che non ha retto il peso degli anni, privo forse di quelle sincere connotazioni dark tipiche di altri gruppi», caratterizzato da «un po' di occulto, accenti moderatamente ossessivi e satanismo quanto basta». Dispiace avere bistrattato un disco che molti considerano seminale per tutta la scena a seguire, ma ritengo che risenta particolarmente il peso degli anni. In conclusione: è un LP rivoluzionario per l'epoca in cui fu concepito, ma esagera chi lo eleva a capostipite di un genere.

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