9 aprile 2020

Svitol e Giulio Manieri, naufraghi sull'isola che non c'è (più)

Era da tempo che avevo programmato la visione di Maledetti vi amerò (1980), film d'esordio di Marco Tullio Giordana, regista che ho avuto modo di conoscere ai tempi del liceo con la proiezione de I cento passi. L'evento che infine mi ha spinto ad attuare il proposito è stata la recente scomparsa del grande Flavio Bucci, che ne è l'assoluto protagonista. E in effetti non è possibile pensare ad un interprete migliore: il suo volto asimmetrico e l'espressione stralunata sono perfetti per rendere l'alienazione del personaggio principale.
Riccardo, detto Svitol, ritorna nella città natale di Milano dopo sei anni di esilio volontario in Venezuela. Non ci è dato sapere il motivo del suo allontanamento dall'Italia: forse la volontà di evitare guai con la giustizia, sebbene non abbia che piccole segnalazioni di polizia. O forse, più verosimilmente, la scelta di cambiare aria per respirare altrove un sogno di libertà e rivoluzione impossibile nel Belpaese. Svitol è stato uno dei protagonisti del Sessantotto, un irriducibile “compagno”, di quelli che credevano davvero di poter cambiare il mondo. Ma l'Italia che trova al ritorno non è più quella che ha lasciato. Sono passati solo sei anni, ma eventi luttuosi hanno stravolto gli equilibri e scavato in profondità nell'animo dei cittadini: le stragi senza nome, gli opposti antagonismi, i ragazzi ammazzati di destra e di sinistra, l'assassinio di Pasolini, le Brigate Rosse e quelle nere, i tentativi di golpe, i servizi deviati, l'omicidio di Aldo Moro.
Svitol prova a riappropriarsi del suo mondo, ma deve amaramente convenire che per lui non c'è più posto. Da temibile rivoluzionario è diventato un reietto, un personaggio privo di spessore come un disoccupato qualunque, ignorato persino dal sistema che si era illuso di combattere. Inizia allora un estenuante andirivieni per la città, alla ricerca degli amici di un tempo, nella speranza che almeno loro non siano cambiati. Scoprirà invece che quanti stavano con lui sulle barricate hanno in un modo o nell'altro tradito i vecchi ideali: c'è chi è diventato agente di borsa, chi si è arricchito più o meno lecitamente, chi è schiavo dell'eroina e chi campa con piccoli commerci di articoli usati. Nessuno ha proseguito sulla strada dell'intransigenza, tutti si sono arresi di fronte all'amara constatazione che «ne ammazza più la depressione che la repressione». Sconfortato e deluso dai vecchi compagni, Svitol, per un incredibile paradosso, diventa confidente e amico di un commissario di polizia, interpretato da un gigantesco Biagio Pelligra, attore mai sufficientemente lodato. Anche il commissario è un personaggio ai margini, che ha perso entusiasmo nel proprio lavoro da quando ha scoperto il filo rosso che unisce apparati deviati dello Stato ed eversione. Pure lui è solo, perché «alle donne che piacciono a me, non piacciono i commissari».
Maledetti vi amerò è un film del 1980, figlio dei suoi tempi e per questa ragione un po' invecchiato. Vale certamente come testimonianza storica di un'epoca complicata e decisiva; è dunque uno strumento di analisi più immediato ed efficace di tanti libri sull'argomento. All'epoca se ne discusse molto, e se ho deciso di scriverci qualche riga è per una certa somiglianza con un vero e proprio capolavoro del nostro cinema, San Michele aveva un gallo dei fratelli Taviani, interpretato dal compianto Giulio Brogi. Non sono il solo ad aver notato il parallelismo tra Svitol e Giulio Manieri, come ho avuto modo di verificare navigando sulla rete. Manieri è il protagonista del lungometraggio dei Taviani; è un anarchico individualista, condannato a una lunga e solitaria detenzione dopo il fallimento di un'azione insurrezionale. Anche in questo caso il suo unico amico è un pietoso secondino (Daniele Dublino). Dopo anni di isolamento in cella, è trasferito in un altro carcere; durante il viaggio ha modo di conoscere un gruppo di rivoluzionari socialisti, con cui cerca di stabilire un contatto. L'esito è infausto, perché Giulio si rende conto di essere un relitto storico, di non comprendere le parole dei suoi compagni di prigionia e di non essere compreso da loro. I suoi ideali e il suo linguaggio sono irrimediabilmente vecchi, superati, inutili; il suicidio diventa allora l'unica strada possibile. Identica dinamica per Svitol, che invece si fa ammazzare dall'amico poliziotto, piuttosto che farla finita da solo. Se dunque ne estrapoliamo il senso profondo e universale, anche attraverso un'analisi comparativa, Maledetti vi amerò è un film che può uscire dal recinto ideologico in cui altrimenti sarebbe confinato. È il racconto lucido e disincantato della fine di un'epoca, che porta con sé, come è ovvio e naturale che sia, la fine dei suoi protagonisti e ideali, destinati ad arrendersi al vento del cambiamento.
Il commissario (Biagio Pelligra) e Svitol (Flavio Bucci) sulla locandina

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