6 novembre 2020

La terra di nessuno tra dolcezza e furore: "Big red letter day"

Leggendo i commenti degli utenti di YouTube sotto i video dei Buffalo Tom, ricorre spesso l'aggettivo “underrated”, ossia “sottovalutati”. In effetti il terzetto bostoniano, tuttora attivo sulle scene, rimane un nome di nicchia, ignorato dai più e ricordato al massimo con qualche breve trafiletto sulle enciclopedie del rock. Il periodo è quello che ha visto esplodere band come Dinosaur Jr. e Pixies, che hanno raggiunto la fama o comunque una certa notorietà. Pur rientrando nel medesimo calderone del rock alternativo di fine anni Ottanta / inizio Novanta, i Buffalo Tom non sono mai riusciti a salire alla ribalta, nonostante un pugno di buoni album e una manciata di ottime ballate. Si ascolti in proposito Summer, che pure appartiene alla stagione più tarda.
Il gruppo si è formato nel 1986 e ha mantenuto sempre la stessa formazione. Bill Janowitz (chitarra e voce), Christopher Colbourn (basso) e Tom Maginnis (batteria) avevano assimilato la scuola del post-punk e del nascente grunge, ma volevano ammansire il suono per adattarlo a un gusto meno estremo, soffusamente malinconico. Ecco allora canzoni che strizzano l'occhio alla melodia, pur indulgendo talora in selvagge bordate chitarristiche. È questo il suono dei Buffalo Tom, che partono da una matrice college rock profondamente americana per avventurarsi nella corrente alternativa del decennio 1990-1999, con le sue nervose divagazioni elettriche. I Buffalo Tom si muovevano coraggiosamente in questa terra di nessuno, troppo puliti per i più intransigenti, troppo alternativi per conquistare il grande pubblico dei passaggi radiofonici.
Il disco di cui voglio parlare, Big red letter day (1993), è il quarto della loro discografia, che ad oggi conta soltanto nove episodi. Abbandonata la supervisione e la produzione di J Mascis, con questo lavoro i bostoniani puntavano alla maturità artistica e (perché no) a qualche passaggio radiofonico con pezzi meno sperimentali e più orecchiabili. Il terzetto fa affidamento alla formula consolidata chitarra-basso-batteria, anche se non mancano innesti di organo hammond e persino cori femminili (in Tree house). La puntuale sezione ritmica di Colbourn/Maginnis è la base su cui si impongono le chitarre di Janovitz, ora melodiose ora disturbate. Quest'ultimo non ha la prestanza o la potenza della rockstar, ma una voce carica di espressività e pathos, che regala intense emozioni (I'm allowed su tutte).
In questo lavoro si evidenzia l'alternanza tra dolcezza e furore che, come detto, costituisce il marchio di fabbrica della loro maturità. Ci sono in egual misura pezzi tiratissimi e morbide ballate, a evidenziare le due anime del trio. Un'analisi traccia per traccia è superflua, perché di fatto tutte le canzoni si mantengono sullo stesso pregevole livello, senza tuttavia far gridare al miracolo. Spicca la stupenda I'm allowed, una ballata elettrica tra le più intense degli ultimi trent'anni, che meriterebbe di essere inserita in ogni raccolta di rock alternativo che si rispetti. Pregevoli le altre tracce “soffici”: Late at night, Anything that way e Would not be denied. Quando invece i Buffalo Tom premono sull'acceleratore, i risultati non sono sempre apprezzabili: promosse Sodajerk e Torch singer, poco convincenti Dryland e Tree house.
Big red letter day è un buon disco, diviso tra i poli antinomici della spensieratezza e della sottile malinconia. Terminato l'ascolto, ci si chiede per quale ragione non sarà facile dimenticare i Buffalo Tom, che avranno sempre un posto speciale nel nostro cuore. Sarà perché ci ricordano i tempi dell'università, qualcosa che abbiamo vissuto o avremmo voluto vivere, gli anni Novanta, la fine della prima giovinezza, l'amara scoperta di sé. Canta bene Janowitz in I'm allowed: «waited for an answer / but I waited for twenty five years; / they stopped my bleeding / but could never stop all those tears». Big red letter day non è facile da reperire, anche se è stato ristampato in vinile nel 2018, in occasione dei venticinque anni dalla sua uscita. Io ho trovato la prima stampa italiana del 1993, un LP in buone condizioni all'onesto prezzo di venticinque euro.

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