Dalla lettura dell’interessante
saggio Fonologia del dialetto cilentano è nata l’idea di chiedere un’intervista
all’editore Giuseppe Galzerano, che mi è stata gentilmente concessa. La Casa
editrice Galzerano, con sede a Casalvelino Scalo, nel Cilento, è attiva dal
1975 e, come riportato sul sito ufficiale, “pubblica
i libri "dell'altra Italia": storia sociale e politica, anarchismo,
antifascismo, emigrazione, rivolte contadine, cultura popolare, questione
meridionale e Cilento”. Libri che hanno lo scopo di “dare "voce" ai ribelli e ai rivoluzionari, ai vinti e ai
sofferenti”.
Editore Galzerano: http://galzeranoeditore.blogspot.it/
Recensione del volume Fonologia del dialetto
cilentano:
http://www.sololibri.net/Fonologia-del-dialetto-cilentano.html
http://www.sololibri.net/Fonologia-del-dialetto-cilentano.html
Di seguito, l’intervista.
Domanda. Dottor Galzerano, come è venuto a
conoscenza dell’esistenza del testo del prof. Ondis? Come si è svolta
l’attività di ricerca successiva?
Risposta. A distanza di anni non
ricordo esattamente come venni a conoscenza della preziosa testimonianza sul
dialetto del Cilento di Lewis Amedeus Ondis, anche se certamente è avvenuta o
leggendo altri libri o frequentando le biblioteche italiane ed estere, in quanto
la Casa Editrice con le sue ricerche non si è mai chiusa in un mero localismo,
ma ha avuto sempre la capacità di condurre - pur con le poche risorse a
disposizione e nonostante le difficoltà economiche e linguistiche - ricerche in
Italia e all’estero, come testimoniano anche altri libri che abbiamo
pubblicato. Una volta venuto a conoscenza della Biblioteca americana che
possedeva il volume, ne chiedemmo una fotocopia. Poi chiesi a un mio amico,
Cosimo Corsano, docente universitario negli Stati Uniti, figlio di un emigrato
ebolitano, con il quale ero entrato in contatto per aver pubblicato anni prima
il volume di Antonio Margariti America! America!, che mi recensì, la
traduzione dell’opera, traduzione controllata da una giovane universitaria
salernitana. Una volta scoperta l’origine cilentana dell’autore, misi in moto la
ricerca per sapere da quale paese proveniva. Sono così entrato - anche grazie
alla collaborazione dell’avvocato James Segreto, figlio di emigrati cilentani,
che ho conosciuto personalmente - in contatto con i discendenti di Ondis (qualcuno
di loro è certamente ancora in vita) e
sono riuscito a ricostruire la sua vita di emigrante e di studioso, trovando
anche la testimonianza di una sua allieva, Marta E. Hesson. La ricerca, oltre
che in Italia e negli Stati Uniti, è stata fatta anche in Germania per trovare
la recensione in tedesco fatta da Gerhard Rohlfs all’opera di Ondis, pubblicata
in inglese nel 1932. Questa ricerca, della quale parlo anche nel libro, è stata
fatta quando si scrivevano ancora le lettere, non c’era internet né Facebook…
D. Nella prefazione al libro si
legge che Ondis è morto nel 1987, quando lei era già venuto in possesso del
testo. È riuscito a conoscerlo di persona?
R. Purtroppo, non solo non ho
conosciuto Ondis, morto ad Athens, nel 1987, a 93 anni, anche se ero già in
possesso del suo libro, ma non sono stato in contatto con lui neanche per
corrispondenza. Naturalmente mi avrebbe fatto grande piacere conoscerlo.
D. Il prof. Ondis è un emigrante
di successo che, come lei scrive nella prefazione del libro, ha dato lustro
alla sua terra natale ed alla sua nuova patria, l’America. Oggi in Italia si
discute molto dell’attribuzione del diritto di cittadinanza ai figli degli
immigrati nati nel nostro Paese (il c.d. ius soli). Ondis, senza il
riconoscimento civile della cittadinanza americana, probabilmente non avrebbe
potuto intraprendere una così luminosa carriera. Secondo lei, non sarebbe il
caso di riconoscere la cittadinanza italiana a quelli che, pur essendo originari
di terre lontane, sono nati e si sono formati in Italia?
R. Ho sempre pensato che
l’emigrazione sia una ricchezza per il paese che accoglie gli emigranti. Il
caso di Ondis lo dimostra in maniera eloquente, figlio di emigrati diventato
docente universitario, contribuendo così alla diffusione della cultura
americana, ma ha fatto anche conoscere il Cilento e la sua cultura. Il nostro è
un paese in ritardo, perché attraversato da una politica di destra, che nega la
cittadinanza italiana a chi è nato nel nostro paese. Naturalmente io sono per
il superamento della cittadinanza italiana, che dovrebbe essere acquisita
automaticamente alla nascita, perché mi sento e sono cittadino del mondo.
Ritengo che il mondo intero è patria di tutta l’umanità e penso che i confini e
le barriere fra gli Stati - creati dai governanti - dovrebbero essere superati
e aboliti. La storia dell’umanità è sempre stata una storia di emigrazione e di
meticciato e le emigrazioni hanno arricchito, non impoverito. Non si può stare
chiusi nel proprio guscio, ma bisogna confrontarsi, mescolarsi con gli altri…
D. I dialetti arretrano sotto la spinta dell’esterofilia dominante e dei nuovi linguaggi nati su internet. Anche i giovani, che pure si esprimono in dialetto, spesso hanno dimenticato molte delle parole che usavano i nonni. A suo avviso, si può parlare di un impoverimento del linguaggio dialettale, così come si è soliti parlare di un impoverimento della lingua ufficiale?
R. Senza alcun dubbio, stiamo
vivendo un forte impoverimento culturale e ci troviamo di fronte ad una
notevole perdita culturale ogni qualvolta dimentichiamo i termini dialettali
per descrivere nella nostra parlata alcuni oggetti, che magari non usiamo più.
Ricordo in proposito una bella e significativa poesia di Ignazio Buttita. Il
rincorrere vocaboli esteri e linguaggi internettiani è un male per la nostra
identità.
D. Nella prefazione all’opera di Ondis, definisce il dialetto la lingua dei “muti della storia”. La sua produzione editoriale dà spesso voce a questi “muti”; basti pensare alle biografie di Passannante o Bresci. Cosa ha significato per lei dare voce a questi personaggi, in opposizione alla retorica benpensante?
R. La ringrazio per questa domanda
e per questo interessante collegamento linguistico e politico. Parlando il
dialetto i cilentani sono stati esclusi dalla storia, ovvero la storia non si è
interessata delle loro sofferenze, delle loro rivolte… Ecco perché sono i “muti
della storia”. Aggiungo che sono muti della storia tutti i popoli, tutti gli
uomini e le donne dei quali la Storia non ci documenta le sofferenze, le
oppressioni patite, gli atti di rivolta contro il potere. Anche i regicidi
Giovanni Passannante e Gaetano Bresci, l’uno lucano e l’altro emigrante
toscano, dei quali mi sono occupato, erano ignoti alla storia e nelle biografie
che ho dedicato alla loro vita, alle loro lotte e ai loro attentati al re
d’Italia, quell’Umberto I, definito spesso «re mitraglia» per aver fatto
sparare sul popolo affamato, ho seguito la voce dei ribelli che intendono
liberare l’umanità dalla catene, nelle quali i potenti li tengono legati. E il
discorso è proseguito anche con quelli che hanno combattuto il fascismo. Poi per
riportare il discorso al Cilento, mi sono occupato anche dei rivoltosi e dei
combattenti della nostra terra, come i fratelli Capozzoli, Antonio Galotti,
Costabile Carducci fino a Carlo Pisacane, alcuni dei quali erano completamente
dimenticati e sconosciuti. Le mie ricerche, sempre documentate e mai affidate
alla fantasia, hanno fatto conoscere questi uomini e queste lotte.
D. Lei è un editore controcorrente, perché parla di storia locale, emigrazione e lotta politica in un’epoca in cui predominano i prodotti letterari sciatti e di facile consumo. Cosa ha significato portare avanti queste tematiche in Italia e soprattutto nel Meridione? Quali difficoltà ha incontrato?
R. Oltre che controcorrente, sono
un editore che crede nelle cose che fa, e le fa con passione e convincimento,
che non ha mai seguito mode commerciali. Naturalmente le scelte si pagano ed
anch’io ho pagato, ma non sono pentito delle mie scelte culturali e politiche.
Avrei potuto fare altri libri, inseguire la ricchezza, ma certamente avrei
fatto libri che non sarebbero durati nel tempo, invece i miei libri sono un
punto di riferimento nel panorama letterario ed editoriale italiano, oserei
dire anche all’estero, perché - oltre ad avere avuto clienti e lettori
all’estero - spesso mi capita di trovare le mie edizioni in importanti
Biblioteche estere.
D. Il revisionismo della vicenda risorgimentale è tornato di grande attualità, specie dopo il successo del libro Terroni di Pino Aprile. In questo dibattito si sono affermati anche orientamenti cosiddetti “neoborbonici”, con punte di estremismo che a mio avviso non aiutano sempre a comprendere fino in fondo la complessa vicenda storica. Come si colloca Giuseppe Galzerano in questo dibattito?
R. Non sono per il revisionismo,
lo ritengo un male, perché non si basa sulla storia e sulla documentazione.
Molti revisionisti ripetono affermazioni prive di fondamento, che hanno sentito
o letto da altri, che non hanno verificato, che non documentano. Frequentando
gli archivi non mi è mai capitato di incontrare i cosiddetti «storici
revisionisti », anzi qualche volta ho chiesto se alcuni di loro erano stati in
Archivio, ma non risultava nessuna loro presenza. Questa è una pratica che
qualche volta è seguita anche da alcuni professori universitari, i quali però,
pur non andando in Archivio, affidano le ricerche ai giovani laureandi, con il
rischio che i giovani possano tralasciare alcuni documenti. La storia invece si
fa trovando e analizzando i documenti, facendo confronti.
Le mie ricerche nascono da
un’attenta consultazione della documentazione archivistica, sempre citata nelle
note, e spesso per scrivere poche notizie dietro ci sono ricerche, lunghi
viaggi, giornate trascorse in archivio a sfogliare, leggere e trascrivere carte
polverose, magari consultate per la prima volta, letture di altri libri. Io mi
ispiro alla pratica: niente documento, niente storia. Per me, se manca il
documento, la storia ha necessariamente delle lacune e non potrebbe essere
diversamente; invece c’è chi riempie questi vuoti della storia ricorrendo alla
propria fantasia, in questo caso fa il romanzo non la storia.
D. Quali sono i nuovi progetti editoriali della sua casa editrice?
R. I progetti naturalmente e
fortunatamente sono tanti, ma siamo fermi anche per ragioni economiche, perché
si vendono sempre meno libri per la crisi che sta attanagliando il nostro
paese. Ma non ci lasciamo scoraggiare e andiamo avanti. E’ imminente l’edizione
di un’ampia ricerca sull’attentato di Paolo Lega all’allora presidente del
Consiglio, on. Francesco Crispi, avvenuto a Roma a giugno del 1894, sulla
repressione del dissenso e sulle leggi speciali votate dal Parlamento del regno
d’Italia che ridussero le già limitate libertà politiche che godevano gli italiani.
E’ un attentato sul quale non è stato scritto mai nulla, che ricostruisco
attraverso un’ampia documentazione archivistica e giornalistica.
Oltre a questo libro, ho anche
altre cose sul Cilento che attendono di essere pubblicate, come il viaggio di
uno straniero nella nostra terra, del quale ho pronta da tempo la traduzione,
saggi di varia natura, ecc. Ci piace conoscere e studiare, ci piace far
conoscere e far studiare il Cilento attraverso gli occhi e i sentimenti di chi
è venuto da un’altra cultura, da un altro paese a scrivere sulla nostra terra.
E lo ha fatto con obiettività, con verità e con sincerità. Anche per questo
siamo cilentani-cittadini del mondo!
L'editore Giuseppe Galzerano (foto tratta dal sito Giornale del Cilento)
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