25 dicembre 2020

Dieci anni del blog, lunga vita al blog!

Questa è una delle rare occasioni, se non l'unica, in cui il blog parla di sé. Lungi da qualsivoglia intento celebrativo, sono felice di annunciare che tra pochi giorni Inveni portum taglierà il simbolico traguardo dei dieci anni. Il primo post è datato gennaio 2011, in concomitanza con la presentazione del mio primo romanzo, Percezione dell'inverno. La promozione della mia modesta produzione letteraria è stata la molla che mi ha spinto ad aprire questo piccolo approdo nel mare magnum della rete. 
Nel corso degli anni il blog ha cambiato veste, grafica, contenuti e nome, fino ad assumere la forma attuale. Finora ho pubblicato circa duecentocinquanta articoli, per oltre ottantamila pagine visitate. Numeri forse modesti, se si pensa che qualsiasi famoso influencer riesce a raggiungerli in pochi giorni (e con poco sforzo), ma la cosa non mi preoccupa. Inveni portum sa tenersi a galla, sa farsi apprezzare, riesce a farsi notare, anche nel lungo periodo. Basti pensare alle volte che, cercando la recensione di un libro o di un disco, il blog appare nella prima pagina dei motori di ricerca. Piccole soddisfazioni, che danno lo stimolo per andare avanti. 
Alcuni articoli hanno avuto un certo successo, tanto da essere citati da siti ben più autorevoli, altri hanno ricevuto apprezzamenti sui social o dai soggetti direttamente coinvolti. Ho poi avuto l'onore di intervistare personaggi del calibro di Massimo Zamboni, Lee Fardon, Miro Sassolini, Dante Maffia e altri. E ancora, su Inveni portum vengono spesso pubblicati contenuti lontani dalle mode del momento, contribuendo a far luce su autori, musicisti, pellicole e luoghi dimenticati o meno noti. 
Inveni portum dichiara orgogliosamente di professare un “pensiero non allineato”. Massima libertà di contenuti, dunque, e nessuna preclusione ideologica. Così è stato nei primi dieci anni e così sarà in futuro. E allora, ringraziando tutti i lettori, i commentatori, i detrattori, gli estimatori, e quanti sono stati ospitati idealmente e concretamente su queste pagine, posso solo dire: “Tanti auguri al blog, lunga vita al blog!”. 
Ne approfitto per augurare a tutti voi un buon Natale e un felice anno nuovo.

12 dicembre 2020

"Eureka Street" di Robert McLiam Wilson: la voce della maggioranza silenziosa

Leggendo Eureka Street (1996) mi sono reso conto di quanto fosse superficiale la mia conoscenza dei cosiddetti Troubles. È una parola generica e pregna di un'ironia tipicamente britannica, traducibile come “problemi” o “disordini”, che indica in gergo il conflitto nordirlandese che si è combattuto tra il 1969 e il 1998. Le ragioni storiche del lungo bagno di sangue che ha opposto cattolici e protestanti, repubblicani i primi e lealisti i secondi, sono complesse e non basta un romanzo per spiegarle fino in fondo. Purtuttavia, il libro di McLiam Wilson è riuscito a darmi un'idea più precisa della guerra a bassa intensità combattuta in Ulster, grazie anche a un utile glossario aggiunto dai curatori dell'edizione italiana. 
Nel caleidoscopio di personaggi che popolano le pagine di Eureka Street, Jake e Chuckie sono i principali. Il primo è cattolico e tira a campare con lavoretti occasionali, cercando un amore che dia un senso profondo alla sua esistenza. Il secondo è protestante e ha una personalissima e strampalata vena per gli affari, che lo porterà inaspettatamente al successo. Nonostante la differente confessione religiosa, sono amici da una vita e non hanno mai sentito la necessità di scontrarsi sul terreno della politica. Le loro giornate sono scandite da tappe fisse e uguali da anni: il lavoro, le serate al pub con gli amici di sempre, i goffi tentativi di conquistare le ragazze. 
Eureka Street cala il lettore nell'atmosfera infuocata di Belfast; è un viaggio nei quartieri borghesi e nei sobborghi proletari, entrambi teatro di un conflitto che non è solo religioso, ma anche economico e sociale. McLiam Wilson racconta l'anima profonda della città e nulla nasconde: i murales, le sigle sui muri, gli scontri, la strisciante miseria, la violenza fisica e verbale, le bombe. Belfast è di fatto la vera protagonista del romanzo; nelle pagine di maggiore intensità lirica, assume quasi le sembianze di un essere vivente, dotato di una propria sensibilità. E non è un caso che il romanzo sia di fatto diviso in due parti, il cui spartiacque è il crudele episodio della bomba a Fountain Street. L'attentato, descritto in tutti i suoi particolari più crudi, segna una cesura narrativa e stilistica. La prima parte si mantiene su toni leggeri e umoristici perché i Troubles sono sullo sfondo: le scritte sui muri, i posti di blocco, i bollettini alla radio che elencano i feriti del giorno. Nella seconda parte, invece, irrompe la Storia, che ha il volto violento di una terribile esplosione. Immediatamente la narrazione cambia: il romanzo assume toni plumbei, mentre una cortina di dolore e amaro stupore cala sul cuore dei personaggi. Il dolore è palpabile e colpisce come un pugno allo stomaco persino i lettori meno impressionabili. 
Eureka Street è un libro profondo, e non solo per l'impegno civile che traspare dalle sue pagine. La lezione di McLiam Wilson va oltre il dato socio-politico: lo scrittore nordirlandese vuole dirci che esiste una maggioranza silenziosa, fatta di cattolici e protestanti, che desidera solo vivere la propria vita in pace, senza impantanarsi nelle ragioni – spesso astruse – del conflitto. È una maggioranza fatta di tanti Jake e Chuckie, che non propugna idee oltranziste, che non predica la morte sui muri e non semina odio per le strade e nei pub. Questa maggioranza risponde solo alla legge universale dell'amore e della fratellanza, a cui anela. Ecco perché alla notizia del cessate il fuoco, anche le pagine del libro recuperano i toni ariosi e umoristici della prima parte, sino al sofferto ma catartico lieto fine. 
Le recensioni e i commenti della critica sono pressoché unanimi, spesso addirittura entusiastici. La mia opinione è in parte diversa: lo ritengo un buon libro, che fa sorridere e riflettere, ma non ha l'appeal di un'opera di culto. L'ho trovato un po' lontano dalla nostra esperienza, strettamente legato a una realtà locale che, per quanto nota a tutti, non può avere una valenza universale. Semplificando, si potrebbe dire che è un romanzo dalla forte impronta ideologica, che non potrà mai essere compreso fino in fondo da chi non ha vissuto sulla propria pelle la realtà di Belfast, città divisa da un odio secolare. È dunque il grande affresco di un'epoca che (si spera) non tornerà più, di sicuro interesse per quanti vogliano approfondire una delle pagine più sanguinose della storia recente europea.