30 settembre 2020

"La rivolta dei tristi – I moti cilentani del 1828" di Benedetto D'Angelo: una storia di terra e libertà

In epoca borbonica il Cilento era definito “terra dei tristi”. La ragione di un tale appellativo risiedeva nella leggendaria e pervicace opposizione dei suoi abitanti a qualsiasi forma di potere costituito; tristi, dunque, nel senso di sciagurati, torbidi, malvagi, ingrati. In effetti i cilentani nei secoli si sono ribellati più volte, nella vana speranza di migliorare le proprie condizioni di vita liberandosi dal giogo del sovrano di turno, dei galantuomini schiavisti, di un clero bigotto e prono ai voleri dei potenti. Era così naturale che il vento delle nuove idee liberali e carbonare soffiasse anche in questa landa remota, traducendosi in un florilegio di sette segrete che si ispiravano ai principi egualitari della Rivoluzione francese. Dopo la Restaurazione del 1815, il Cilento si ribellò tre volte: nel 1820-21, nel 1828 e nel 1848. I libri di storia colpevolmente ignorano i moti del Cilento, dedicandovi al massimo qualche cenno distratto. Ma vi è di più: tali eventi sono praticamente sconosciuti al grande pubblico, spesso persino a livello locale. E se tutti sanno associare un pensiero patriottico all'udire i nomi di Pisacane o dei fratelli Bandiera, pochissimi hanno sentito parlare di Costabile Carducci o di Antonio Maria De Luca. Eppure non si tratta di vicende secondarie: le rivolte cilentane ebbero vasta eco ai tempi, anche all'estero, oltre a costituire un tassello importante della vicenda risorgimentale.
L'editore Galzerano di Casalvelino Scalo, che tempo fa ho ospitato su questo blog con un'intervista, ha fatto luce su queste vicende, dedicando ai moti del 1828 diverse pubblicazioni. La rivolta dei tristi – I moti cilentani del 1828, di Benedetto D'Angelo, è un breve saggio che persegue uno scopo divulgativo, sebbene l'Autore dichiari che l'opera non ha pretese di esaustività. Si tratta di un testo agevole e godibile, che tratteggia con sufficiente precisione e approfondimento l'insurrezione del 1828, soffermandosi altresì sul contesto storico, sulle cause, le conseguenze e l'eredità lasciata dai moti. D'Angelo fa pregevole opera di storico, prendendo per mano il lettore e guidandolo con pochi ma precisi cenni nell'Europa post Restaurazione. La sua attenzione è ovviamente incentrata sul Cilento, ma non dimentica di ricostruire il contesto in cui la rivolta nacque, contesto che supera i ristretti confini dell'area geografica di riferimento. Il lettore rimarrà stupito proprio da questo aspetto, che l'Autore rimarca: i moti cilentani maturarono in un magma ideologico (il pensiero liberale), settario (la Carboneria) e diplomatico (la Restaurazione) di grande fermento a livello europeo, in cui il Cilento si collocò come una sorta di laboratorio ove preparare le grandi rivoluzioni del domani.
Il saggio si sofferma su tutte le fasi della rivolta, dalla preparazione agli esiti. Grande attenzione viene dedicata alla feroce repressione e alle vicende giudiziarie, con una puntuale ricostruzione dei processi agli insorti. E proprio alle figure dei rivoltosi sono dedicate le pagine più intense del saggio, con precisi ritratti dei controversi fratelli Capozzoli, del canonico De Luca, dell'avvocato Teodosio De Dominicis, di Antonio Galotti e di altri personaggi minori.
Meno convincente è, a mio avviso, il deciso punto di vista antiborbonico – con tanto di giudizi tranchant – che emerge dalle pagine. Sia chiaro: bene fa l'Autore a ricordare la spietatezza del maresciallo Del Carretto nella repressione della rivolta, puntando giustamente l'indice contro il regime illiberale dei Borbone. Tuttavia, sarebbe stato opportuno precisare che le medesime raccapriccianti scene del 1828 si sarebbero ripetute trent'anni dopo, sotto i Savoia conquistatori del Sud. Le teste mozzate esposte in gabbie come monito, le fucilazioni dopo processi sommari, l'incendio e la razzia di interi villaggi, la negazione di ogni diritto costituzionale non sono stati, purtroppo, esclusivo appannaggio dei Borbone. Quelli che sono venuti dopo, calpestando proprio la memoria di quanti nel 1828 e nel 1848 si erano battuti per la libertà, forse hanno fatto pure peggio, perché nascosti dietro la maschera dei liberatori. Ritengo che il saggio, per dovere di completezza, avrebbe dovuto porre l'accento anche su questo aspetto, per quanto possa essere controverso. Difatti, la parola d'ordine dei rivoluzionari del 1828 non era “Italia”, quanto piuttosto “libertà”, al punto che nel famoso Proclama di Palinuro gli insorti si rivolgevano direttamente al Re, chiedendogli di concedere la Costituzione. A mio modesto avviso, il canonico De Luca, Galotti, De Dominicis e gli altri rivoltosi non possono essere definiti patrioti, quanto piuttosto “martiri della libertà”, perché la loro missione non era fare l'unità del Paese.
Far emergere la storia locale è sempre un bene; farlo in un territorio che spesso tende a dimenticare l'eroismo dei propri antenati è addirittura opera meritoria. Consiglio caldamente la lettura di questo saggio, non solo ai cultori della storia locale, ma più in generale a quanti amano approfondire le vicende italiane dell'Ottocento. Tenendo presente che solo chi sa scavare nelle radici è in grado di comprendere meglio l'età contemporanea.

18 settembre 2020

"La promessa" di Friedrich Dürrenmatt: la morte del romanzo poliziesco

Raramente leggo romanzi gialli, non sono mai stato un appassionato del genere, salvo qualche incursione fumettistica (Nick Raider, Diabolik). Per Dürrenmatt faccio volentieri un'eccezione, forse perché non era un giallista puro, né i suoi romanzi possono essere confinati entro i ristretti limiti di un genere. Si leggano due capolavori come Il giudice e il suo boia e La panne: il caso da risolvere c'è, ma è un pretesto per affrontare problematiche giuridiche tra le più profonde, quali il rapporto tra colpevolezza e punizione, o il conflitto tra la verità processuale e le ingarbugliate implicazioni del reale. La promessa merita invece un discorso a parte, perché lo scrittore svizzero scopre subito le carte in tavola e annuncia già nel sottotitolo di voler scrivere un “requiem per il romanzo poliziesco”.
Gli scrittori di gialli, sostiene Dürrenmatt, ignorano colpevolmente il ruolo che la casualità gioca nell'intreccio del reale. Credono ciecamente nella ragione, aderiscono fideisticamente al mito dell'intelletto, quale unica forza in grado di decifrare misteri apparentemente insolubili. Per loro l'indagine è un affare squisitamente umano, un balocco della ragione, che da sola e senza l'aiuto di circostanze esterne sa dipanare il garbuglio. Sherlock Holmes è l'esempio tipico di questa impostazione. E invece lo scrittore svizzero ritiene che tale approccio sia fallace, o comunque riduttivo e insufficiente.
«Alla realtà si accede solo in parte con la logica. […] Spesso solo la fortuna o il caso intervengono in nostro favore. O in nostro sfavore. E invece nei vostri romanzi il caso non interviene mai, e se qualche elemento sembra casuale lo si attribuisce a una coincidenza o al destino. È sempre stato così, voi scrittori la verità la gettate in pasto alle regole drammaturgiche. […] Di un fatto non si potrà mai venire a capo nel modo in cui si risolve un calcolo matematico, se non altro perché non arriviamo mai a conoscere tutti gli elementi necessari ma disponiamo solo di alcuni dati, per lo più marginali. E troppa importanza assumono allora il caso, l'imprevisto, l'imponderabile.»
Ne La promessa, per dimostrare questa teoria, Dürrenmatt costruisce un intreccio esemplare. Matthäi è uno dei più brillanti commissari di Zurigo, destinato a una luminosa carriera fuori dalla Federazione; i funzionari elvetici l'hanno infatti scelto per una delicata missione istituzionale in Giordania. Il giorno prima di partire per Amman si verifica un evento che muta completamente il suo destino. Una bambina, Gritli Moser, viene brutalmente assassinata in un bosco, come era già accaduto anni prima a due sue coetanee. Matthäi, giunto sul luogo del delitto, promette solennemente ai genitori della piccola che troverà l'assassino e lo consegnerà alla Giustizia. La promessa diventa ossessione, in grado di scardinare la mente razionale e fredda del commissario. Viene arrestato von Gunten – anch'egli un perfetto zero come suggerisce il nome –, un venditore ambulante già conosciuto dalle forze dell'ordine. Contro di lui ci sono indizi e persino una confessione (estorta), ma manca la prova della colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Matthäi non è convinto della responsabilità di von Gunten e inizia una sua personale indagine alla ricerca del vero assassino. In mancanza di appigli logici e non disponendo di elementi probatori da poter approfondire, Matthäi si affida al Caso, lasciando che sia quest'ultimo a lavorare per lui, a far cadere il vero assassino entro una tela di ragno meticolosamente tessuta. L'ossessiva ricerca del commissario va di pari passo con il suo abbrutimento fisico e morale, al punto che finisce per essere considerato un pazzo anche dalle persone a lui più vicine. E invece alla fine la sua intuizione si rivelerà azzeccata, e sarà per l'appunto la casualità a dare una risposta definitiva alle domande lasciate aperte.
Dürrenmatt era uno scrittore dalle intuizioni geniali, come dimostra anche questo romanzo. Per lui il mondo – e più in generale la realtà – era un mistero inestricabile, un codice solo parzialmente decifrabile dalla ragione. Ne La promessa questa tesi viene portata alle estreme conseguenze, nella parte in cui giustappunto si afferma che «la nostra ragione getta una luce insufficiente sul mondo; nella penombra dei suoi confini si insedia tutto ciò che è paradossale». Ecco perché i romanzi dello scrittore elvetico hanno il sapore di una scoperta per chi vi si imbatte, magari proprio casualmente. Sono così ricchi di significati reconditi che meritano di essere letti e riletti, magari a distanza di tempo. 

7 settembre 2020

Il silenzio perfetto alle sorgenti del Sammaro

Come ho già scritto più volte su queste pagine, il Cilento non è solo mare; nell'entroterra si nascondono suggestivi siti, assai piacevoli e godibili perché lontani dai grandi flussi turistici. Tra questi itinerari storico-naturalistici, meritano una visita le sorgenti del Sammaro, nel comune di Sacco. Il torrente Sammaro è uno dei principali subaffluenti del Calore Lucano, in cui sbocca dopo essere confluito nel Ripiti prima e nel Fasanella poi.
Per arrivare al sito partendo dalla zona costiera (o dall'autostrada), è necessario attraversare il celebre Ponte di Sacco: alto circa 170 metri, è una straordinaria opera di ingegneria, tra i ponti a singola arcata più alti d'Europa. Sporgendosi dal parapetto è possibile intravedere in basso una profonda fenditura che taglia il bosco: è lì che scorre il Sammaro, capace di scavare le rocce in secoli di paziente lavorio. Per raggiungere il sito naturalistico occorre svoltare a destra prima di entrare nell'abitato di Sacco. Si può lasciare l'automobile all'imbocco della strada asfaltata, oppure proseguire sino all'inizio del sentiero sterrato.
Il sentiero è largo, pulito e ben tracciato, abbellito da passerelle in legno e ponticelli. All'andata ci vogliono circa quindici minuti per arrivare alle sorgenti; al ritorno bisogna considerare il doppio del tempo, perché il percorso è tutto in salita. La discesa avviene in un silenzio perfetto, rotto soltanto dal chiacchiericcio delle acque, che avverte il visitatore che la meta è vicina. Si giunge a un'ampia piscina naturale contornata da alte rocce, dove le limpidissime acque sorgive del Sammaro si raccolgono prima di iniziare il loro corso. In inverno il torrente è impetuoso, ma anche in estate la portata è sufficiente a rendere il luogo assai suggestivo. Il percorso prosegue nella gola vera e propria, uno stretto passaggio incuneato tra le rocce, percorribile agevolmente per un buon tratto.
Per chi ha a disposizione più tempo, consiglio di visitare nei dintorni il paese abbandonato di Roscigno Vecchia e i ruderi di Sacco Vecchia.
Ringrazio Sara Nigro per le fotografie.
Il celebre Ponte di Sacco visto dalle sorgenti del Sammaro
La gola vista dal Ponte
Il sentiero che conduce alle sorgenti
La piscina naturale alle sorgenti del Sammaro
Le gole del Sammaro
Particolare del sentiero