23 marzo 2021

"Coral Glynn" di Peter Cameron: un giorno questo dolore troverà un senso?

Ci sono libri volutamente ambigui, dal sapore incerto. Terminata la lettura, risulta difficile esprimere un giudizio definitivo, si è dubbiosi sul come rispondere alla domanda più classica e banale: mi è piaciuto oppure no? Coral Glynn (2012), per quanto mi riguarda, rientra a pieno titolo nella categoria. Per giunta, come ho avuto modo di verificare, la mia non è un'opinione isolata; i lettori sono divisi e le recensioni oscillano tra recise stroncature, giudizi entusiastici, valutazioni incerte e dubitative. Molti lo paragonano ad altri lavori dello scrittore americano, giudicandolo inferiore. L'unico mio metro di paragone è costituito da Un giorno questo dolore ti sarà utile, letto qualche anno fa e presto dimenticato, nonostante sia considerato un libro di culto. Ritengo invece che Coral Glynn mi abbia lasciato un segno più profondo, forse proprio per la sua ambiguità, che lo rende difficile da classificare. 
La trama in sé non è particolarmente originale, anzi ha quasi il sapore del melodramma o del romanzo d'appendice. Coral ha poco più di vent'anni e da due è infermiera a domicilio; non ha nessuno al mondo, eccetto una zia con cui non ha rapporti. L'unica persona che ha amato, il fratello, è morto in guerra. Nella primavera del 1950 accetta l'incarico di assistere la signora Hart, gravemente malata e prossima alla fine. L'anziana vive a Villa Hart, una sorta di claustrofobico mausoleo dove tutto sembra asettico e immoto, ma basta aprire i cassetti per cogliere le tracce di una vita amara e dolorosa. Nella magione dimora anche il figlio della padrona di casa, il maggiore Clement Hart, un uomo reso solitario e spigoloso dalle ferite rimediate in guerra. Sarà lui a chiedere a Coral di sposarlo, più per alleviare le reciproche solitudini che per reale sentimento. Da questa improvvida proposta si scateneranno una serie di eventi che stravolgeranno l'esistenza dei protagonisti, fino al sorprendente finale. Questo è in parole povere l'intreccio, senza voler svelare troppi particolari. 
Cos'è allora che rende memorabile il libro? La risposta è semplice: i personaggi. Tutti, dai protagonisti alle figure di contorno, sono caratterizzati da una irresolutezza profonda e invincibile, che impedisce loro di orientarsi verso il meglio negli affetti, nelle scelte di vita, negli ideali. Sono figure tridimensionali, più sfaccettate dei caratteri da feuilleton. Sebbene siano degli irrisolti, non hanno la maturità di cercare una strada che li elevi, ma si arrendono passivamente alla loro condizione (Coral), o al massimo cercano artificiosamente e senza convinzione di mutarla (Clement). C'è poi chi arriva finanche a forzare la propria natura (Robin), o chi nasconde il proprio fallimento dietro un'esistenza di facciata (Dolly). Sono figure amare e grigie, che non trovano nell'amore una forza consolante per andare avanti e dare un senso all'esistenza; anzi, è proprio nel mettere alla prova i propri sentimenti che sperimentano il senso profondo del fallimento. Coral è l'emblema di questa triste condizione umana; è un personaggio novecentesco, che si lascia vivere senza domandarsi le ragioni di ciò che le accade intorno, salvo qualche slancio emotivo che non va al di là della sterile vendetta o della negazione immotivata di una serenità a portata di mano, che tuttavia non sa comprendere né afferrare. È dunque scontato che personaggi così volubili e poco incisivi siano destinati a cozzare contro il muro di una realtà spietata, che non ammette incertezze e disincanto. Il finale è all'apparenza consolatorio, sembra volerci dire che il dolore è una tappa intermedia nel tragitto per la realizzazione di sé. Ma è davvero così, oppure avanzano ombre anche sull'apparente serenità infine raggiunta dai personaggi? La risposta non è data, spetta a ciascun lettore cercarla. 
Coral Glynn è un romanzo che si legge tutto d'un fiato, soprattutto perché Cameron ha preferito i dialoghi secchi alle lunghe descrizioni. E tuttavia non sfuggirà al lettore attento che proprio nelle parti descrittive vengono raggiunti i punti più alti del libro, mentre i discorsi dei personaggi hanno sovente accenti manieristici, quasi grotteschi, che li rendono poco credibili. Una storia del genere, dai marcati tratti drammatici, potrebbe rendere bene sul grande schermo, e anzi forse ne guadagnerebbe in espressività. Un consiglio ai registi: fateci un pensiero!

10 marzo 2021

"Un album poetico, romantico, emotivo": intervista a C.F.F. e il Nomade Venerabile in occasione dell'uscita di "E sia"

C.F.F. e il Nomade Venerabile è una delle formazioni più interessanti e originali del panorama musicale indipendente degli ultimi vent'anni, soprattutto per la capacità di unire generi diversi, dalla new wave alla tradizione cantautoriale italiana. Il prossimo 15 marzo uscirà l'ultimo loro disco, intitolato semplicemente E sia. Si tratta dell'ottava pubblicazione della formazione pugliese, tra LP, EP e raccolte. Come dichiarato nel comunicato stampa ufficiale, «l'album raccoglie e mescola le diverse influenze dei componenti dei C.F.F. e il Nomade Venerabile (new wave, post punk, musica d'autore, indie rock e musica elettroacustica) e si divide idealmente in due facciate: il lato A, contenente quattro canzoni di natura acustica; quello B, che ne contiene altre quattro ma di stampo elettrico ed elettronico». 
Da segnalare la presenza di un ospite d'eccezione: Andrea Chimenti, che impreziosisce con la sua voce il brano La veglia. Inoltre, tutti i titoli e i testi delle otto nuove canzoni sono tratti da una silloge della poetessa Grazia Procino, a voler rafforzare la commistione tra diverse forme d'arte. I C.F.F. hanno adottato una scelta controcorrente, preferendo stampare il disco in sole trecento copie, nonché di non pubblicare le canzoni sulla rete per il download o l'ascolto in streaming. Una decisione che dimostra la volontà di perseguire una linea coerente: preferire il supporto fisico e caldo a quello immateriale e freddo. 
È possibile prenotare l'album scrivendo a ventunonervi@libero.it
L'imminente pubblicazione di E sia è stata anche l'occasione per scambiare due chiacchiere con Vanni La Guardia (voce e basso), Anna Maria Stasi (voce, scenografie), Anna Surico (chitarre e synth) e Guido Lioi (batteria e percussioni), che ringrazio per la disponibilità.

Domanda. Inizio con una curiosità. Se non sbaglio, il vostro precedente album, Canti notturni, era stato licenziato semplicemente a nome C.F.F. Adesso ritorna "Il Nomade Venerabile"; posso chiedervi il motivo di questa scelta?

Risposta (Vanni). Sì, non sbagli. Nel 2014 si è aperta una parentesi, nella storia dei C.F.F. e il Nomade Venerabile, che necessitava di un abbreviamento del nome, in considerazione del fatto che, da quell'anno fino a tutto il 2018, ci siamo ridotti a un trio elettroacustico che, oltre ad avere rivisitato in quella chiave parte del repertorio dei C.F.F. e il Nomade Venerabile, ha pubblicato l'EP Al cuore e l'album Canti notturniÈ stata certamente una parentesi felice, ricca di nuovi incontri molto stimolanti, umanamente e professionalmente, di numerosi concerti, di palchi importanti e premi prestigiosi (su tutti, ricordiamo sempre con particolare emozione la vittoria del “Premio Pierangelo Bertoli”); tuttavia, con l'ingresso in formazione del batterista Guido Lioi (ex One Way Ticket), ci è sembrato naturale tornare al nome esteso e recuperare anche i lati più elettrici, distorti e punk-wave dei nostri background musicali.


D. Già in Canti notturni era evidente il rapporto tra musica e poesia, riproposto in maniera ancora più evidente nel nuovo lavoro. Quanto è importante per i C.F.F. la commistione tra diverse forme d'arte?

R. (Anna Maria). In un progetto come il nostro la multidisciplinarietà è congenita, è parte essenziale della nostra identità. Ci siamo sempre sentiti un po' stretti nelle maglie della sola forma-canzone, i nostri percorsi creativi e compositivi finivano inevitabilmente per traboccare in altri campi. Così abbiamo fatto di questa esigenza espressiva la nostra cifra stilistica. Fin dagli esordi, nel 1999, abbiamo portato sul palco video-installazioni e teatro-danza, affidando ad una performer, membro della formazione a tutti gli effetti, al pari di voce e strumenti, il compito di “dare corpo” ai testi delle nostre canzoni. Abbiamo inoltre musicato la poesia Spleen di Charles Baudelaire nella canzone intitolata Un jour noir contenuta nell'album Lucidinervi, abbiamo scritto e suonato dal vivo le musiche di scena per lo spettacolo Il mio inv(f)erno...vita da zingaro sulla storia del pugile sinti Johann “Rukeli” Trollmann che osò sfidare il regime nazista, passando da campione dei pesi medi a deportato nel lager di Neuengamme. Alla sua vicenda è, tra l'altro, ispirato il testo della canzone Come fiori contenuta in Canti notturni. Ci fa piacere ricordare inoltre che, proprio di recente, la cooperativa sociale “Progetto promozione lavoro”, che si impegna nella promozione ed ideazione di progetti artistici rivolti alle persone diversamente abili, nell'ambito del progetto “Musical-Mente: Sfumature Sonore”, ha lavorato sulla nostra rilettura di Ho visto Nina volare di Fabrizio De André, con la partecipazione dei cari amici Yo Yo Mundi. Gli ospiti della cooperativa hanno guardato il videoclip di animazione della canzone, realizzato da Ivano A. Antonazzo, realizzando degli elaborati, sulla base delle suggestioni ricavate da immagini e testo. La commistione migliore resta sempre quella tra l'arte e la vita.


D. Se doveste definire questo nuovo album con tre aggettivi, quali usereste?

R. (Anna). Poetico, perché i testi dell'intero album, per la prima volta, sono delle vere e proprie poesie tratte dalla raccolta E sia (da cui prende il nome anche l'album) della poetessa Grazia Procino. Romantico, perché gran parte delle suddette poesie sono canti d'amore di una bellezza struggente ed i suoni e le melodie che li accompagnano, soprattutto nella prima parte dell'album (il lato acustico), avvolgono ed amplificano questa attitudine romantica. Emotivo, perché questo album è figlio di un tempo strano, vuoto, fermo. Un anno fa non immaginavamo neanche lontanamente uno scenario del genere. 


D. La veglia è impreziosita da Andrea Chimenti, tra le voci più intense della new wave, e più genericamente del rock nostrano. Com'è stato lavorare con lui?
R. (Vanni). La partecipazione di Andrea Chimenti nel brano La veglia è nata in punta di piedi, per poi travolgerci emotivamente. Da quando lo abbiamo composto, abbiamo immaginato il suo meraviglioso timbro, lo trovavamo particolarmente consono alle atmosfere musicali e alle parole del testo, al punto che ci sembrava di sentirlo cantare! Una mattina mi sono deciso a scrivergli, allegando alla e-mail il file audio del brano e chiedendogli se avesse avuto piacere di aggiungere la sua voce. Sarei stato molto felice anche soltanto di un suo parere, anche perché era la prima persona che lo ascoltava, oltre a noi del gruppo. Mi ha presto risposto che il brano era bellissimo e che accettava subito, senza nulla in cambio, sottolineando quanto fosse (e sia) importante supportarsi a vicenda, tanto più in un periodo complicato e difficile come quello che stiamo attraversando. Senza retorica alcuna, posso tranquillamente affermare che quando abbiamo ascoltato per la prima volta la sua voce su La veglia, ci siamo commossi. Andrea è un artista straordinario ed eclettico, oltre ad essere una persona dalla sensibilità speciale e preziosissima.

D. Questo periodo è durissimo per chi vive di musica, perché le occasioni di suonare dal vivo si sono praticamente azzerate. Come state vivendo, come band, questa lunga emergenza?

R. (Guido). La stiamo vivendo di certo non bene. Per noi artisti è fondamentale potersi esibire di fronte ad un pubblico, perché è proprio sul palco che il lavoro di mesi trova la sua massima espressione. Ci auguriamo di poter ritornare a calpestare quei tappeti e quelle pedane il prima possibile, per noi è una necessità. Non parliamo poi dei problemi di natura economica che tutti gli operatori del settore stanno subendo. La situazione è davvero precaria, è difficile vivere senza sapere cosa succederà nel prossimo futuro e in attesa di fantomatici sussidi che sembrano più un'elemosina. Non ci resta che sperare che lo sforzo che noi tutti stiamo facendo possa riportarci al più presto alla “normalità”.

C.F.F. e il Nomade Venerabile (2021)

3 marzo 2021

La nuova alba di Martin Mystère

Nel 2022 Martin Mystère taglierà l'invidiabile traguardo dei quarant'anni. Ne è passata di acqua sotto i ponti dal lontano aprile 1982: il Paese è cambiato (in peggio), il mondo si è trasformato e anche Martin si è evoluto, senza perdere i caratteri che lo hanno reso celebre. A quasi otto lustri dallo storico esordio in edicola, la testata è arrivata al n. 373, dopo un cambio di periodicità con l'albo 279, che ha segnato il passaggio alla bimestralità. A distanza di quindici anni dal primo cambio di periodicità, Alfredo Castelli ha annunciato per questo 2021 un ritorno alle origini. Nelle anticipazioni apparse sul sito della Bonelli, infatti, il creatore della serie ha ufficializzato che si tornerà alla mensilità a partire dal numero 375 di maggio, nel classico formato bonelliano di 98 pagine. Si tratta di una notizia splendida per lo zoccolo duro dei fan della prima ora, a cui Castelli si rivolge apertamente, parlando di “bei tempi andati” e “mysteriofili”. La rotta sembra tracciata, chiara è l'intenzione da parte della Casa editrice di non rincorrere tanto i nuovi lettori, preferendo fidelizzare i vecchi, che da diverso tempo invocavano una linea editoriale coerente con la tradizione e al tempo stesso votata al futuro. In tal senso depone la scelta di proseguire la numerazione, anziché ricominciare da capo. 
Il ritorno alla mensilità, e dunque presumibilmente alla suddivisione delle storie in due albi anziché in uno autoconclusivo, non è l'unica novella. Lo dimostrano i due albi preparativi al cambio di periodicità, il numero 373 attualmente in edicola (intitolato Incubi!) e il seguito che uscirà il 10 aprile (Il ritorno della dea). Non si tratta di piccoli cambiamenti, ma di un drammatico stravolgimento: Java è stato ucciso e il suo assassino è Martin! Prima dell'uscita dell'albo la notizia era già trapelata da fonti ufficiali, sebbene molti fossero scettici e parlassero di una finta morte, di un equivoco, di una prevedibile resurrezione, o addirittura che si trattasse di un sogno e non di realtà. Nelle anticipazioni, Castelli ha sgombrato il campo da ogni equivoco, precisando che «i proiettili sono veri, il sangue è vero, il cadavere è vero, l'obitorio è vero, il riconoscimento è vero, la confessione di Martin è vera, e così lo sgomento e l'incredulità degli amici». Tutto confermato dalla lettura della storia, che lascia anche noi lettori sgomenti e increduli, addolorati per la perdita dell'amato neandertaliano e preoccupati per le sorti di Martin. Nulla aggiungo rispetto a quanto era già stato annunciato, per non rovinare la sorpresa. 
Sono un lettore assiduo della testata e non ho mai pensato di abbandonarla, sebbene negli ultimi anni alcune storie non mi abbiano convinto; eppure devo riconoscere che la trepidazione con cui attendo le novità in arrivo va al di là dell'incondizionata fedeltà al personaggio. C'era la necessità di una svolta, anche nel senso di un ritorno alle origini, come concorderanno quasi tutti gli appassionati. Sembra che gli appelli siano stati ascoltati: la partenza di Incubi! è già col botto e lascia presagire esiti inaspettati. Quel che ci aspetta non possiamo saperlo, perché “the future is unwritten”, come diceva Joe Strummer. Finora i segnali sono molto positivi, a partire dal prossimo futuro della periodicità mensile, che se non altro manterrà viva la suspense e raddoppierà il piacere delle visite in edicola.