31 ottobre 2023

"Parole e musica" di Annalisa Balestrieri: l'effetto del testo nella canzone

Pensieri e parole è il titolo di un celeberrimo singolo di Lucio Battisti del 1971. Un titolo semplice che tuttavia racchiude il senso stesso dello scrivere canzoni; d'altronde, cos'è un testo se non un insieme di pensieri tradotti in parole? Il tema è al centro di Parole e musica: l'effetto del testo nella canzone, saggio di Annalisa Balestrieri di recentissima pubblicazione, che segue di qualche anno La mente in musica, già recensito su questo blog. Se col precedente saggio l'autrice ha voluto analizzare i processi mentali ed emotivi che si mettono in moto con la musica, il nuovo lavoro si occupa di indagare il rapporto tra tali processi e i testi delle canzoni. Un'analisi originale e si potrebbe dire persino necessaria, dato l'esiguo numero di pubblicazioni in materia.
Le tematiche affrontate nel libro sono di sicuro interesse per gli studiosi di psicologia, ma la Balestrieri è abile nel tradurle in concetti alla portata di tutti. Un'opera che non è dunque destinata soltanto agli addetti ai lavori, ma può essere agevolmente compresa e apprezzata anche da chi è semplicemente un appassionato di musica. Saper esporre concetti complessi attraverso un linguaggio comprensibile è il principale pregio dei saggi che si propongono un fine divulgativo, come in questo caso. Si consideri in proposito un estratto.
«Fate un esperimento: chiedete a un amico di ripetere una parola e di continuare a pronunciarla per un paio di minuti. Mentre lo starete ascoltando vi accorgerete che a poco a poco vi troverete a separare i suoni dal loro significato. Questo effetto si chiama sazietà semantica (un fenomeno che a causa della ripetizione ininterrotta di una parola, provoca la sensazione che quest'ultima abbia perso del tutto il suo significato) ed è stato documentato più di cento anni fa. Mano a mano che il significato della parola si perde, certi aspetti del suono (un tipo di pronuncia, una certa lettera), diventano stranamente importanti. La ripetizione consente di sperimentare un nuovo tipo di ascolto che conferisce una maggiore qualità sensoriale alle parole. Quando un suono viene ripetuto più volte la sensazione che ne deriva è che sia legato a quello successivo. Appena sentiamo “Yesterday” ci viene in mente “all my troubles seemed so far away”».
Apprezzabile è inoltre la soluzione di inserire una serie di brevi interviste ad autori e musicisti come Mico Argirò e Massimo Priviero, che raccontano il loro professionale punto di vista sul rapporto tra testo e musica. È un racconto a più voci, in cui le parole della studiosa si alternano a quelle degli artisti. Il libro segue pertanto un approccio multidisciplinare: si occupa di poesia, musica, psicologia, fisiologia, analisi del comportamento. Al tempo stesso le varie materie sono poste in connessione tra loro, per cui si può parlare più correttamente di un'attitudine interdisciplinare. A tal proposito è molto interessante la parte in cui l'autrice si occupa del rapporto tra testi "aggressivi" e apprendimento di condotte devianti e finanche violente. Ne riporto un breve estratto.
«Alcune ricerche si sono concentrate su come il testo di una canzone possa indurre specifici comportamenti, come il consumo di alcolici. Diffondendo nei bar musica con testi che facessero esplicito riferimento all'alcol, a distanza di alcune settimane si è notato un duplice effetto sui clienti: un maggior consumo di alcolici e una permanenza più prolungata nel locale (che a sua volta ha incrementato i consumi). Allo stesso modo in cui il testo di una canzone può indurre comportamenti legati all'aggressività o all'uso di alcolici, così può funzionare in senso opposto, favorendo comportamenti positivi.»
Di particolare rilievo è l'ultimo capitolo, in cui l'autrice chiarisce con esempi pratici quanto esposto in via teorica. Si avvale a tal proposito degli assiomi della psicologia positiva, un approccio scientifico allo studio dei pensieri, dei sentimenti e del comportamento umano che si focalizza sui punti di forza anziché sulle debolezze, ponendosi come obiettivo quello di costruire il bene e non semplicemente di riparare il male. Sulla base degli assunti della psicologia positiva, e in particolare del cosiddetto modello P.E.R.M.A., l'autrice analizza alcuni testi del celebre cantautore Massimo Priviero.
In conclusione, si tratta di un saggio breve ma denso di informazioni e intuizioni, dedicato soprattutto a quanti ancora oggi percepiscono la musica come una delle ragioni per cui vale la pena vivere. In calce al volume è riportata un'ampia sitografia per chi volesse risalire alle fonti e saperne di più sull'argomento.

21 ottobre 2023

Due carogne, una cassaforte e un tradimento

Quando una nave militare li riporta a Marsiglia, Dino Barran e Franz Propp hanno obiettivi opposti. Il primo, interpretato da Alain Delon, è un ombroso medico che vuole lasciarsi alle spalle gli orrori della guerra d'Algeria e riprendere una tranquilla e agiata vita borghese. Charles Bronson veste i panni del secondo, un mercenario americano che invece non sa rinunciare al brivido del combattimento e vuole partire per il Congo infiammato dalla guerra civile. Il francese detesta l'americano e non perde occasione per dimostrarglielo; ciononostante, quest'ultimo tenta egualmente ma senza successo di convincerlo a tornare in Africa. I loro destini sembrano dividersi, fin quando Dino viene assunto come sanitario in una multinazionale parigina, grazie all'intercessione dell'intrigante Isabelle. La donna racconta al medico di aver sottratto dalla cassaforte dell'azienda alcuni importanti documenti, che intende restituire prima di essere scoperta. Chiede così a Dino di aiutarla nell'operazione, dato che lo studio del medico è nella stanza adiacente al caveau. La rischiosa operazione è programmata per Natale, quando la ditta rimane chiusa per tre giorni. Sennonché, a sorpresa, nella cassaforte altrimenti vuota viene depositata un'ingente somma di denaro per la tredicesima dei dipendenti. Il mercenario Franz, che teneva d'occhio Dino dallo sbarco a Marsiglia, viene a sapere del piano e si intrufola di nascosto nel palazzo della multinazionale per appropriarsi del denaro. Quando la ditta viene chiusa per le vacanze natalizie, i due ex commilitoni si incontreranno proprio lì dentro.
Questa la trama di Due sporche carogne – Tecnica di una rapina, film francese del 1968 diretto da Jean Herman. Apparentemente le due "carogne" del titolo sono la coppia di protagonisti, ma nel colpo di scena finale si scoprirà che non è così, perché i due saranno vittime e pedine di un gioco perverso orchestrato a loro insaputa. Si tratta di un film a tratti claustrofobico, girato quasi integralmente in interno. I protagonisti sono tre: Delon, Bronson e la cassaforte, chiusi per tre giorni in un grattacielo di trenta piani protetto da sofisticati e avveniristici (per l'epoca) sistemi di allarme. Ogni dodici ore l'isolamento e la solitudine sono interrotti dal passaggio di un gruppo di silenziose guardie giurate. Nessun effetto speciale, nessuna violenza di troppo, nessuna esplosione o inseguimenti spericolati: al regista non sono servite forzature per rendere la pellicola memorabile.
Intendiamoci, Due sporche carogne non è un capolavoro; eppure, ci insegna cosa significhi saper scegliere gli attori giusti per interpretare una pellicola. Bronson e Delon sono assoluti mattatori e si percepisce una rivalità che probabilmente non era solo di scena. Questa rivalità, o forse sarebbe meglio definirla tensione, contribuisce in buona parte alla riuscita del film. Anzi, ritengo che l'evoluzione del rapporto tra i protagonisti, da ostili a complici e quasi amici, non sia per nulla forzata. Come noto, quando in un'opera ci sono due personaggi principali che nascono nemici, far evolvere o persino rivoluzionare il loro rapporto non è semplice, perché si rischia di cadere nella forzatura o addirittura nel ridicolo. Di questo lungometraggio mi ha invece colpito la naturalezza con cui Herman ha saputo raccontare il cambiamento, rendendolo credibile. La rivalità tra i due è palpabile sin dalle prime scene, così come il disprezzo che il dottor Barran nutre verso Propp, da lui considerato solo un violento mercenario. Eppure, il fatto di essersi cacciati nel medesimo guaio e di dover trovare un modo per uscirne li unisce, portandoli persino a confidenze intime. In proposito è memorabile la scena in cui Dino racconta a Franz un episodio della guerra d'Algeria che l'ha segnato profondamente.
Molte produzioni thriller contemporanee cercano di impressionare lo spettatore con infiniti colpi di scena e l'uso di effetti speciali esagerati, fini a se stessi, persino poco funzionali alla trama. Gli sceneggiatori di oggi dovrebbero invece imparare da pellicole come questa, per comprendere che a volte per intrattenere il pubblico è sufficiente chiudere due uomini e una cassaforte dentro una stanza. Purché si tratti di due attori di razza.
La locandina italiana

8 ottobre 2023

"Due Sicilie" di Alexander Lernet-Holenia: il mondo è un garbuglio

Sgombero subito il campo da qualsiasi possibile equivoco: il romanzo non ha nulla a che vedere con lo Stato preunitario. Il "Re delle Due Sicilie" è infatti il nome che Lernet-Holenia dà all'immaginario ottavo reggimento ulani dell'esercito dell'Impero austro-ungarico, i cui reduci sono i protagonisti della vicenda. Era infatti usanza degli antichi eserciti quella di omaggiare i sovrani stranieri attribuendo il loro nome a intere unità militari.
Secondo la trama, il reggimento Due Sicilie è stato sciolto alla fine della Prima guerra mondiale, dopo aver valorosamente combattuto nelle trincee fangose del fronte orientale. Tra morti, dispersi e altri che hanno fatto perdere le tracce, sono rimasti solo in sette: il colonnello Rochonville e altri sei tra ufficiali e sottufficiali. Un reggimento svanito nel nulla, dissoltosi nelle nebbie del tempo come il glorioso Impero che rappresentava. I sette superstiti oramai conducono una tranquilla e neppure troppo agiata esistenza borghese, sebbene qualcuno cerchi di preservare l'antica, marziale dignità di un tempo. Hanno mantenuto un flebile legame: ogni tanto si incontrano in qualche ricevimento, rammentando con nostalgia la vita del reggimento. Durante una di queste occasioni mondane, l'ex ulano Engelshausen viene ucciso misteriosamente, ritrovato con il collo spezzato come se fosse stato aggredito da un mostro dalla forza sovrumana. Uno alla volta anche gli altri superstiti del reggimento sono vittime di incidenti, malattie e inspiegabili sparizioni. Eventi apparentemente slegati tra loro, eppure uniti da un vincolo inestricabile.
Chi si aspetti di leggere un giallo puro, rimarrà deluso. Nei gialli prevale la razionalità, la logica quasi matematica dell'intreccio; ogni elemento è al suo posto e il mistero si dipana pagina dopo pagina, fino alla soluzione finale. In Due Sicilie non c'è nulla di tutto questo: Lernet-Holenia ha costruito una labirintica vicenda di scambi di persona, morti apparenti, identità in continuo cambiamento. Lo scrittore austriaco sembra volerci dire che nulla è come sembra e ciò che appare non è che un'illusione destinata a naufragare alla prova dei fatti.
Due Sicilie è un romanzo che non può essere inquadrato in un genere. Gli omicidi e l'indagine che ne segue sono un mero pretesto, utilizzato da Lernet-Holenia per raccontare il tramonto di un mondo e di un'epoca, vero e proprio nucleo della narrazione. I commilitoni del disciolto reggimento sono uomini ancora vivi, eppure già morti, mesti spettri illusi di contare ancora qualcosa, in verità irrisoluti viandanti alla ricerca di una tomba in cui seppellirsi. Il crollo dell'Impero austro-ungarico, emblema della fine di un'epoca aurea, è una sorta di ossessione per gli scrittori viennesi, come ben sa chi ha letto Joseph Roth oppure Arthur Schnitzler. Anche la Vienna del 1925 di Lernet-Holenia è una città depressa, l'ombra della metropoli multiculturale di un tempo, un luogo decadente che vive di ricordi e pettegolezzi.
Le parti più riuscite sono indubbiamente quelle in cui lo scrittore austriaco si diffonde in lunghe riflessioni che toccano i temi più vivi e sentiti dell'esperienza. L'intreccio invece mi è stato di difficile comprensione. Non so se ciò sia dipeso da una lettura superficiale, oppure se sia intenzionale. Come ho già scritto, Lernet-Holenia voleva farsi portavoce di una corrente di pensiero secondo cui la realtà è indecifrabile, poco chiara persino a chi la vive. I continui colpi di teatro, gli scambi di identità e le morti vere o presunte sono così tanti che è facile perdere il filo della narrazione. L'autore sembra volerci avvisare che il mondo è imperfetto e non ha senso cercarvi un ordine. Resta comunque (o forse proprio per questo) una grande prova letteraria, pagine dense di immagini e suggestioni in cui ogni singola parola ha un suo peso specifico.