31 gennaio 2023

"Una passeggiata nei boschi" di Bill Bryson: a spasso nel cuore dell'America

«Allora per esempio c'era un libro che si chiamava "Sulla strada" di Jack Kerouac ed era bellissimo: tutti a fare l'autostop. Ed era molto bello letto in italiano, però con i nomi americani. Dice "quella sera partimmo John, Dean e io sulla vecchia Pontiac del '55 del babbo di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson". E poi lo traduci in italiano e dici: "quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant'Anna Pelago". Non è la stessa cosa! Gli americani ci fregano con la lingua.»
Così ironizzava Guccini nell'introduzione alla sua Statale 17, nel celebre Album concerto del 1979 registrato assieme ai Nomadi. In queste parole è racchiusa l'idea che romanzi, film e fumetti ci hanno trasmesso degli Stati Uniti, la terra del viaggio e dell'avventura più di ogni altra al mondo. Tutti abbiamo sognato almeno una volta di fare un viaggio coast to coast attraversando cittadine sonnolente e grandi metropoli, deserti e boschi, percorrendo lingue di asfalto che sembrano voler raggiungere l'orizzonte; insomma, il mito di Kerouac, Chatwin e Least Heat-Moon è più che mai vivo nell'immaginario collettivo. La narrativa di viaggio è un genere tradizionale e ben più antico degli autori che ho citato; e se il Novecento è il secolo dei nuovi mezzi di trasporto, i viaggiatori del passato si muovevano confidando principalmente nelle proprie gambe.
Nel 1996 lo scrittore e giornalista statunitense Bill Bryson, all'epoca quarantacinquenne, decise di cimentarsi in un'avventura dal sapore classico: l'attraversamento a piedi dell'intero Sentiero degli Appalachi, da sud a nord. Sebbene fosse fuori forma e praticamente digiuno di escursionismo, non si scoraggiò di fronte alle evidenti difficoltà: si informò adeguatamente su dozzine di volumi e guide, acquistò l'attrezzatura essenziale e trovò persino un alleato disposto a seguirlo, un vecchio amico di nome Stephen Katz. Il Sentiero degli Appalachi (in inglese, Appalachian Trail) è uno dei percorsi escursionistici più celebri del mondo. Collega la Georgia con il Maine, dalla Springer Mountain fino al Mount Katahdin, attraversando ben quattordici Stati. È lungo oltre 3.400 chilometri e ogni anno centinaia di escursionisti tentano di percorrerlo impiegando quattro o cinque mesi di marcia serrata. Gli inverni rigidi degli Appalachi suggeriscono di partire agli inizi di aprile, ma c'è chi si muove alla fine dell'inverno per evitare l'altrettanto insidioso caldo torrido di luglio e agosto. La pista è larga in media un metro e attraversa principalmente aree demaniali: poco meno dell'un per cento del percorso corre su terreni privati su cui insistono servitù di passaggio. Le aree attraversate sono selvagge: colline, montagne, oscure foreste, forre, crinali scoscesi, cime e valloni. Ogni tanto si superano dighe, ponti o strade secondarie che tagliano gli Appalachi da est a ovest e consentono agli escursionisti di raggiungere qualche sparuto centro abitato per riposarsi o acquistare i generi necessari al tragitto.
Una passeggiata nei boschi (1998) è il brillante resoconto di quell'impresa. Bryson non era un esordiente della narrativa di viaggio, avendo già dato alle stampe il celebre America perduta (1989) e Notizie da un'isoletta (1996) sul suo viaggio in Gran Bretagna. È una banalità affermare che un libro faccia viaggiare col pensiero; eppure non c'è frase più efficace di questa per rendere l'idea. Bryson e Katz camminano per giorni nei boschi, dormono all'addiaccio tra bufere di neve e orsi affamati, soffrono e faticano per erte infinite, scambiano pensieri e impressioni con quanti incontrano lungo la pista, gioiscono per una cena più sostanziosa o per una mezz'ora di insperato riposo. E a noi lettori sembra di essere con loro, come se fossero davvero compagni di viaggio e non semplici personaggi di un romanzo.
La scrittura di Bryson è arguta e brillante, lo stile spazia sapientemente dal registro umoristico a quello scientifico, senza tuttavia cadere mai nel nozionismo o nello sterile enciclopedismo. Come aveva già fatto in America perduta, lo scrittore americano arricchisce il racconto con tante informazioni di carattere storico, politico, etnografico e naturalistico. La descrizione di un'autostrada che costeggia per un tratto la pista, diventa ad esempio l'incentivo per una divagazione di più ampio respiro sul processo di motorizzazione di massa negli Stati Uniti. O ancora, la vista di alcuni alberi caduti dà il via a un'amara riflessione sulle piogge acide e sul disboscamento selvaggio. Bryson è prima di tutto un acuto osservatore che in ogni situazione sa cogliere uno spunto di riflessione o anche semplicemente l'abbrivio per qualche considerazione semiseria o umoristica. L'ironia e l'autoironia sono sicuramente il registro prevalente della narrazione: tanti sono i siparietti che strappano un sorriso e a volte si ride davvero di gusto. Ci sono poi digressioni colte e considerazioni polemiche, nonché pagine di pura narrativa d'avventura. Tutti questi elementi sono perfettamente dosati, sicché Una passeggiata nei boschi è appassionante come un romanzo d'avventura, interessante come un saggio, arguto come una raccolta di aforismi, "cinematografico" come un documentario. Senza tema di smentita si può dunque affermare che l'equilibrio tra le diverse componenti sia il pregio più evidente del romanzo.

21 gennaio 2023

Ancora sui quarant'anni di Martin Mystère

Torno a parlare di Martin Mystère a distanza di tre mesi dal precedente articolo sul volume speciale dedicato a Mister Jinx. L'occasione è data dalla presenza nelle edicole di un albo celebrativo di 224 pagine che festeggia i quarant'anni della serie. Persino i sassi sanno che il primo numero della testata diretta da Alfredo Castelli, intitolato Gli uomini in nero, è apparso nell'aprile 1982. La lunga cavalcata prosegue con il numero 395 attualmente in edicola, nell'imminente attesa dello straordinario traguardo delle quattrocento uscite. C'è da dire che il quarantennale era già stato celebrato sulla serie regolare col numero 386 dello scorso aprile. Questa nuova iniziativa editoriale si inserisce invece tra i volumi fuori serie che si avvalgono del collaudato formato "magazine" della Bonelli. Si intitola Martin Mystère 40 – 1982/2022 La grande avventura ed è composto da tre storie a fumetti, due brevi e una di 96 tavole, nonché articoli e dossier a colori. La copertina, piuttosto classica come si conviene a un volume celebrativo, è opera dello storico disegnatore Giancarlo Alessandrini e raffigura Martin, la moglie Diana e il neandertaliano Java. In basso fa capolino una figura umana sghemba che sembra opera di un fumettista alle primissime armi: chi ha confidenza con la storia del fumetto italiano riconoscerà l'Omino Bufo, altra creatura partorita dalla fantasia di Castelli. Il volume diventa così l'occasione per festeggiare contemporaneamente gli otto lustri di Mystère e i cinquant'anni dell'Omino Bufo, apparso per la prima volta nel 1972 sul Corriere dei ragazzi.
L'editoriale che apre il volume è a firma di Graziano Frediani con illustrazioni di Aldo Di Gennaro e ripercorre le origini del personaggio, compresa la travagliata vicenda della scelta del nome. Per chi non lo sapesse, infatti, il personaggio doveva chiamarsi Doc Robinson, sennonché la contemporanea uscita nelle edicole di una rivista chiamata proprio Robinson costrinse Castelli e Bonelli a cambiare in corsa nome e logo della testata.
Segue una prima storia a fumetti, Lasciate fare a Java, per la sceneggiatura di Carlo Recagno e i disegni di Alfredo Orlandi. È un piacevole divertissement con protagonista Java alle prese con la preparazione di una torta per festeggiare i quarant'anni di carriera dell'amico Martin. La sua pazienza è messa a durissima prova da una sequela di eventi assurdi, scatenati dall'ingresso della prorompente Angie con un coniglio gigante. Sebbene si sviluppi su poche tavole, nella storia ci sono brevi camei di tantissimi personaggi della serie, tra cui anche i maldestri Dee e Kelly.
La vita segreta di Martin Mystère è il secondo corposo editoriale. Trentadue pagine splendidamente illustrate con immagini classiche e inedite che ripercorrono tutta la storia della famiglia Mystère, partendo dal Docteur e arrivando fino agli sfortunati genitori di Martin. Ampio spazio viene dedicato alla collaborazione di Mark Mystère con gli Uomini in nero, compresa la sua eroica ribellione dopo il massacro dei Kundingas che gli costò la vita. L'articolo prosegue con brevi ritratti di Diana, Java, Orloff e altri amici, antagonisti e comprimari. I lettori di vecchio corso conoscono bene le vicende, per cui si tratta più che altro di un utile ripasso. L'articolo è in ogni caso interessante perché non si limita a riassumere eventi noti, ma approfondisce i legami umani, familiari e amicali di Martin, aiutando a fare luce sulla complessa psicologia del personaggio.
La parte centrale e più corposa del volume contiene invece la ristampa di una storia epocale per l'evoluzione della continuità della serie, Vent'anni di Mysteri (Castelli/Alessandrini), pubblicata nel 2002. È la storia del tanto atteso annuncio del matrimonio (per la verità avvenuto nel 1995) tra Martin e Diana. Si tratta sicuramente di un tassello importante specie per i nuovi lettori o per chi vuole ripercorrere le tappe principali della serie.
La terza sezione è invece dedicata ad Alfredo Castelli, con una panoramica a tuttotondo della sua lunghissima carriera. I mille volti di Alfredo Castelli, a cura di Gianmaria Contro, è un editoriale ricco di informazioni, curiosità e immagini. Si accenna a riviste che hanno fatto la storia, come Il Giornalino, il Corriere dei ragazzi, Horror, Tilt e altre. Ci sono inoltre approfondimenti su alcuni tra i personaggi ideati da Castelli, come Gli Aristocratici e Scheletrino, nonché sulla collaborazione con testate bonelliane quali Zagor e Mister No. Alfredo Castelli compare pure nell'ultima breve storia a fumetti, La gatta di Schroedinger, su disegni di Marco Foderà. Come ho anticipato, le ultime pagine si occupano del cinquantenario dell'Omino Bufo, con la ristampa di alcune brevi strisce uscite negli anni Settanta o apparse negli anni Novanta sulla rimpianta testata Cattivik.
In conclusione, Martin Mystère 40 è un magazine fatto bene, una vera e propria enciclopedia che celebra Castelli e il suo più fortunato personaggio. Ritengo sia un volume che può essere un punto di riferimento essenziale per chi si appresta a conoscere Martin o vuole approfondire la sua storia.

10 gennaio 2023

"Il piccolo campo" di Erskine Caldwell: la tara dell'atavismo

Libro scandaloso all'epoca della sua pubblicazione (1933), a distanza di novant'anni non si è affievolita la dirompente forza letteraria che lo ha reso un classico del Novecento. E se certamente sono lontani i tempi dei processi per oscenità e del ritiro delle copie dalle librerie, indubbiamente un'opera del genere alimenterebbe tutt'oggi un fecondo dibattito. Ne Il piccolo campo Caldwell descrisse una comunità arcaica e quasi ferina, quella delle campagne della Georgia e della Carolina, nel cosiddetto Profondo Sud degli Stati Uniti. Inevitabilmente le tematiche trattate erano d'impatto e divisive: l'incesto, la febbre dell'oro, il primato del senso sulla ragione, la seduzione del denaro, le lotte sociali e politiche, lo scontro tra il mondo contadino e quello operaio. Caldwell lanciò con questo romanzo feroci strali contro la gretta provincia americana, immiserita dalla crisi economica, razzista, legata a riti arcaici, tenacemente avvinghiata alle proprie contraddizioni e incapace di evolvere.
Il piccolo campo è la storia della famiglia Walden. Ty Ty ne è il capo. Vedovo e anziano, da quindici anni scava profonde buche nel suo terreno alla ricerca dell'oro. Nonostante abbia rivoltato da cima a fondo i campi, di filoni o pepite nemmeno l'ombra. Ty Ty ha la febbre dell'oro, che per sua stessa ammissione quando prende un uomo non lo lascia più, sì che egli non può far altro che scavare, se necessario fino all'inferno. Nella sua ricerca ossessiva Ty Ty coinvolge quattro dei suoi figli, ad eccezione del ribelle Jim Leslie che ha metaforicamente trovato l'oro sposando una ricca donna di città. Il terreno dei Walden sembra un campo di battaglia, disseminato com'è di buche che minacciano di inghiottire persino la casa. Una piccola porzione di terra viene però dedicata al Signore e non è toccata dagli scavi febbrili: è il "piccolo campo di Dio" che dà il titolo al romanzo. Ty Ty è religioso e non vorrebbe lambirlo; eppure la febbre dell'oro è più forte della fede e il campo del Signore viene continuamente spostato a seconda della direzione degli scavi.
Il capofamiglia, i figli Shaw e Buck, le figlie Rosamond e Darling Jill, la nuora Griselda e il genero Will sono, sia pure a diversi livelli, personaggi elementari, rozzi, guidati da istinti primordiali. Sensualità e cupidigia sono le uniche forze che orientano le loro esistenze, prevalendo sul raziocinio e sulla morale. Ty Ty, ad esempio, sostiene di lavorare con metodo scientifico, sebbene tale presunto sapere soccomba a credenze magiche e convinzioni mistiche. Non esita pertanto a rapire un albino, convinto che sia dotato di poteri divinatori per individuare i filoni auriferi. E ancora, nonostante cerchi con tutte le sue forze di tenere unita la famiglia, non nasconde i pensieri sconci all'indirizzo della nuora. Finanche il "civile" Jim Leslie non è immune da questa tara familiare; anzi, è proprio il suo incontenibile desiderio di possedere la cognata a innescare la miccia che conduce al tragico finale. Tutti i personaggi del romanzo sono monolitici, come se fossero tagliati con l'accetta; Caldwell esaspera di ciascuno un unico aspetto del carattere, senza che per questo il racconto perda credibilità. Buck è il sanguinario, Shaw l'idiota, Jim Leslie il piccolo borghese, Will l'ottuso socialista, Darling Jill la svampita, Griselda l'oggetto del desiderio, Rosamond la moglie devota e tradita.
In generale non amo le opere disturbanti, si tratti di film o libri. La violenza e l'estremo non mi appassionano, così come non sono attratto dalle storie al limite o dal turpiloquio. Per tale motivo mi sono avvicinato con circospezione a questo romanzo che tratta tematiche per l'appunto disturbanti come le relazioni incestuose. Sono invece rimasto piacevolmente sorpreso. La grandezza di Caldwell risiede a mio avviso nel saper dosare vari registri, dall'ironico al tragico, dal grottesco al popolare, senza che l'uno domini sull'altro. Prevalgono i dialoghi e il narratore onnisciente si limita a brevi interventi; è dunque evidente che Caldwell non abbia voluto scandalizzare a ogni costo, né provocare la reazione indignata del lettore. Egli si è limitato a descrivere la miseria umana e l'ignoranza, lasciando a noi ogni possibile conclusione.
Vecchia edizione Bompiani