25 aprile 2024

"Atti impuri" di Goffredo Parise: un'invettiva a metà

Sebbene la critica lo consideri un romanzo minore, nelle intenzioni di Parise doveva avere ben altra importanza, tanto che gli dedicò addirittura due stesure, la seconda a quasi vent'anni di distanza dalla prima. Il titolo del 1958 era infatti Amore e fervore, laddove Atti impuri ne è la riscrittura del 1973 per Einaudi. Nei propositi dell'autore doveva chiudere l'ideale trilogia iniziata con Il prete bello e proseguita con Il fidanzamento. Con l'edizione del 1973, peraltro, venne recuperato il titolo originariamente scelto e il finale fu ampiamente rimaneggiato.
A costo di esprimere un giudizio tranchant, ritengo che Atti impuri trasmetta al lettore un'impressione di incompiutezza, in primis per il finale frettoloso che lascia in sospeso molte domande. A ben vedere, però, è il libro nel complesso a essere adombrato da un velo di difetto. È come se Parise avesse voluto lanciare un j'accuse contro certa borghesia cattolica italiana, ma con le armi spuntate, perché la critica sociale è stata trasfigurata in resoconto grottesco. Ciò non è un male in sé, lo è nella misura in cui il racconto non spinge decisamente neppure nella direzione comica; aleggia, per così dire, in un limbo tra la sferzata polemica e la satira.
Come si evince dal titolo provocatorio, al centro della vicenda c'è una relazione peccaminosa, quella tra Marcello e Gianna. Il primo è segretario di un piccolo comune della provincia veneta, nonché ultimo rampollo di una famiglia di industriali, i Lazzarotto, titolari dell'omonima cereria "pontificia" che rifornisce di candele le chiese e i conventi del circondario. Marcello è stato educato a una religiosità opprimente e al tempo stesso infantile: persino l'amore coniugale gli appare peccaminoso, al punto da respingere con terrore gli approcci della moglie. Responsabili di questa educazione castrante sono gli anziani zii che lo hanno allevato dopo la morte dei genitori. L'incontro casuale in un parco con l'infermiera Gianna, però, è fatale al suo mondo di granitiche certezze: il desiderio della carne prevale sulle convinzioni di fede e sgretola il castello di sabbia delle convenzioni e della rispettabilità. Ecco il paradosso: pur rifiutando di fatto ogni relazione coniugale, Marcello si trova a viverne una extraconiugale. Sono questi gli atti impuri del titolo.
Ho esordito parlando di incompiutezza, con riferimento alla verve polemica del romanzo. Si consideri il protagonista, Marcello Lazzarotto. È come se l'aspetto macchiettistico del suo carattere svalutasse in qualche modo la critica sociale che Parise voleva lanciare. Di fronte a un giovane che si confessa per ogni piccola manchevolezza e che trascorre le sue giornate nel terrore di commettere peccati irreparabili, viene spontanea una risata di scherno, se non addirittura una smorfia di insofferenza. Il modo in cui Marcello vive la propria religiosità è così ottusamente evirante da essere esso stesso una punizione, senza che sia necessario aggiungervi una dose di polemica. Paradossalmente si finisce quasi per empatizzare con lui, o comunque per non biasimarlo per la sua fede bambinesca e ingenua. Personaggi ancora più grotteschi sono poi gli zii di Marcello: strambi, bizzarri, carnevaleschi, una sorta di famiglia Addams all'italiana.
Dove invece il bisturi di Parise incide maggiormente è nello scoperchiare la grettezza e la meschinità della provincia veneta, che poi non è altro se non un piccolo spaccato della provincia italiana. Nella cittadina in cui è ambientato il romanzo, gli abitanti sono ammantati da una rispettabilità fittizia, destinata a cadere sotto la scure delle chiacchiere non appena un sospetto aleggi su di loro. È il caso proprio di Marcello, universalmente riconosciuto come uomo pio e timorato di Dio, salvo poi venire additato come il peggiore peccatore per il solo fatto di essere visto in compagnia di Gianna Ciriaci. E a maggior ragione è il caso della Ciriaci; di lei sappiamo solo che è un'infermiera e che non vuole legarsi a un uomo, come la morale corrente imporrebbe. Ciò basta per qualificarla come prostituta agli occhi maligni dei suoi concittadini. Su questo aspetto, più che su quello del bigottismo, Parise sembra cogliere il segno e lasciare una traccia nel lettore, che altrimenti ben difficilmente ricorderebbe a lungo questo romanzo.
Edizione Einaudi 1973, la prima col nuovo titolo

12 aprile 2024

Il secondo battesimo rock di Eugenio Finardi

Intitolato semplicemente Finardi, il sesto album in studio del rocker milanese uscì nel 1981. Ascoltandolo, viene da chiedersi se sia stato l'ultimo della prima fase della sua carriera, oppure il primo di una nuova era. Roccando rollando (1979) aveva un nome tipicamente seventies, e infatti aveva chiuso quel decennio. Intitolare il disco successivo Finardi tradiva la volontà di ripartire da capo, o comunque di intraprendere una coraggiosa inversione di marcia. Ingaggiato il celebre produttore Angelo Carrara, l'album fu registrato nei mesi di novembre e dicembre 1980 nei gloriosi Stone Castle Studios al castello di Carimate. In origine il cantautore avrebbe voluto utilizzare l'inglese, anche per via dell'ottima padronanza della lingua (la madre era americana), ma la casa discografica si oppose e i testi furono tradotti in italiano. L'idea originaria venne tuttavia concretizzata l'anno successivo con Secret streets.
La copertina, realizzata graficamente dal grande Mario Convertino, mostra il viso di Finardi trasfigurato da una chitarra elettrica trasparente, una Exile custom realizzata dalla Glass Master che è possibile ammirare in uno speciale registrato per la Rai. In questo album sono tre gli indici di un cambio di direzione rispetto al passato. Il primo è nella scelta di farsi affiancare da un paroliere, il "quinto Pooh" Valerio Negrini. Quasi tutti i testi sono scritti in collaborazione con quest'ultimo, la cui mano si sente sia nei pezzi arrabbiati che in quelli più lirici (si pensi a Oltre gli anelli di Saturno), nonché nella distopia di Prima della guerra.
«Dicono di un congegno che sparava gli occhi sulle stelle,
che potevi guardare in un uomo attraverso la sua pelle,
e la gente accendeva certi specchi intelligenti
e arrivavano immagini e voci dai posti più distanti.»
La seconda novità riguarda i musicisti. I precedenti due album, Blitz e Roccando rollando, erano suonati dai Crisalide, band di supporto con il compianto Stefano Cerri, Mauro Spina, Luciano Ninzatti ed Ernesto Vitolo. In Diesel e Sugo, invece, suonavano il fido chitarrista Alberto Camerini, nonché musicisti del laboratorio Cramps come Tavolazzi e Fariselli degli Area. Per Finardi invece si optò per turnisti di rilevanza internazionale: Ray Fenwick alle chitarre (The Syndicats, The Spencer Davis Group), John Gustafson al basso (Quatermass, Roxy Music), Derek Austin e Mike Moran (poi con gli Heart) alle tastiere, nonché il mitico Les Binks (Judas Priest) dietro le pelli. Da ricordare anche il cameo di Lucio Dalla, clarinettista in Valeria come stai?
La terza novità rispetto ai precedenti lavori è nel suono. Sotto questo profilo, Finardi è un disco "ottantiano"; si potrebbe persino azzardare che sia figlio del punk e della nascente new wave, con accenni elettronici mai invasivi. Senza voler fare l'analisi traccia per traccia, le canzoni possono essere suddivise in tre gruppi. Nel primo ci sono dei pezzi rock tiratissimi: l'incalzante Trappole, la furiosa Mayday e l'incazzata F104, riproposta recentemente da Giorgio Canali. Valida anche Computer, che sembra anticipare l'attuale perniciosa moda degli influencer.
«Con il mio calcolatore abbiam capito com'è,
il segreto del successo è programmarsi da sé,
doppiarsi nello specchio e pettinarsi la grinta.
La gente si innamora solo della gente convinta.»
Poi ci sono le ballate d'amore; in primis il reggae di Valeria come stai?, nonché la dolcissima Patrizia, forse la canzone che tutti vorrebbero aver scritto per la donna amata. Degna di nota anche l'invettiva di Piccola stupida, con un testo tra l'ironico e l'irriverente che oggi verrebbe messo all'indice. Vanno infine menzionati tre brani di eccellente fattura, a metà strada tra il soft rock e il cantautorato più raffinato: Prima della guerra, Oltre gli anelli di Saturno e Le stelle stanno ad aspettare, con la seconda una spanna sopra le altre.
La mia opinione è che il disco avrebbe avuto ben altri riconoscimenti qualora l'avesse partorito un altro artista. Cercherò di spiegarmi meglio. Quando uscì il 33 giri, Finardi era in trincea da più di dieci anni, avendo realizzato due tra i migliori album italiani degli anni Settanta, Diesel e Sugo. Era stato un assoluto protagonista del decennio, al punto che brani come Musica ribelle e La radio erano inni del movimento studentesco. Inevitabile pertanto il confronto, che ha fatto passare sotto traccia questo disco del 1981, così diverso dai precedenti. Eppure dentro ci sono tante idee e il suono è più internazionale di molti lavori coevi. Sono sicuro che, qualora lo avesse pubblicato una band sconosciuta o un nuovo cantautore, avrebbe avuto maggiori riconoscimenti. Forse oggi sarebbe entrato di diritto in una classifica dei cento migliori dischi di rock italiano. Se non è così, è solo perché gli anni Settanta di Finardi sono talmente grandi da mettere in ombra ciò che è venuto dopo.