24 febbraio 2021

"La mente in musica" di Annalisa Balestrieri: le infinite potenzialità dell'ascolto

Qual è l'importanza della musica nella vita di ciascuno di noi? È una domanda semplice, dalla risposta intuitiva: difficilmente qualcuno risponderà “poco” o “nulla”, perché la musica scandisce ogni momento della giornata, o quasi. La ascoltiamo in auto, distrattamente come sottofondo al supermercato, come colonna sonora di un film, quando facciamo sport. Per qualcuno la musica è addirittura un lavoro, altri spendono cifre considerevoli per acquistare un disco raro o un impianto hi-fi degno di questo nome, altri ancora si limitano ad accendere la radio senza prediligere un genere particolare. Insomma, i modi, i tempi e le finalità della fruizione della musica sono innumerevoli e diversi da persona a persona, eppure ci sono degli aspetti comuni a tutti. L'agile saggio La mente in musica, di Annalisa Balestrieri, si propone l'ambizioso obiettivo di analizzare i processi mentali ed emotivi che si mettono in moto con la musica, o che l'ascolto di una melodia stimola e finanche accresce. 
Il sottotitolo del volume è esplicativo: Come reagisce il cervello all'ascolto della musica. Emozioni, mente e musica sono dunque le chiavi di lettura del libro, le tre parole che delineano i vertici di un ideale triangolo, i cui lati sono formati dalle connessioni esistenti tra le tre dimensioni. L'Autrice precisa in proposito di voler gettare «uno sguardo generale sul rapporto che lega l'uomo all'ascolto di una melodia, vuole mettere in luce le potenzialità dell'ascolto e dare delle risposte alle domande che possono insorgere». L'obiettivo che la Balestrieri persegue non è dunque semplicemente quello di rispondere alla domanda sul perché ci piaccia una melodia, ma indagare sulle reazioni che la musica produce nella sfera più intima dell'essere umano, quella psico-emotiva. Si legga in proposito il primo interessante capitolo, con un breve excursus sul rapporto tra uomini primitivi e musica. Ebbene, è straordinario scoprire come già agli albori della nostra specie il linguaggio musicale rispondesse a funzioni connotative dell'intera esperienza umana: il rapporto con la natura e le forze superiori, le emozioni basilari di paura, stupore, allarme, gioia.
Se dunque il codice musicale è produttivo di esperienze praticamente invariate nei secoli, c'è da chiedersi quale sia la ragione di una tale importanza. L'Autrice la identifica nel “linguaggio emozionale”, che connota il valore universale della musica. A differenza del “linguaggio razionale”, che può essere compreso soltanto da chi ne possiede le chiavi grammaticali/fonetiche, il linguaggio di tipo emozionale non è subordinato a regole immutabili, e soprattutto può essere decodificato senza bisogno di chiavi, persino in modo soggettivo e non univoco. È questa la ragione per cui, in parole povere, una ninna nanna produce la stessa sensazione di piacevole rilassamento a tutte le latitudini, oppure un pezzo punk trasmette energia e voglia di spaccare il mondo a persone appartenenti a contesti culturali e sociali eterogenei, se non addirittura antinomici. Il processo cosiddetto di “astrazione musicale”, che consente al nostro cervello di estrapolare un significato dal significante della melodia, ha dunque al tempo stesso un valore personale e universale. Ecco spiegato perché una stessa canzone può essere ascoltata nel chiuso di una stanza, ossia in una dimensione intima e crepuscolare, oppure cantata a squarciagola assieme a migliaia di altre persone allo stadio.
Le tematiche affrontate dal libro non sono sempre semplici, eppure la Balestrieri è abile nel tradurle in concetti alla portata di tutti, anche attraverso esempi concreti e rimandi a ricerche. La seconda parte del saggio affronta aspetti più pratici, egualmente interessanti: le preferenze musicali in ragione dell'età, della cultura, della confessione religiosa, dell'approccio all'ascolto. E ancora, il rapporto tra musica, sport, economia, scienza e marketing. Le argomentazioni squisitamente psicologiche cedono il passo a un'indagine di stampo sociologico, che è di particolare interesse perché pone l'accento sul quotidiano e sul presente, in cui si assiste a una sovraesposizione musicale, soprattutto in forza della portabilità del supporto (gli smartphone).
In conclusione, La mente in musica è una lettura agevole e interessante, che scorre piacevolmente – nonostante la specificità del tema – grazie a una scrittura di presa immediata, seppur sempre attenta al rigore scientifico. È
un lavoro di ricerca, ma non è destinato soltanto agli addetti ai lavori, perché la tematica affrontata si radica nell'esperienza quotidiana di ciascuno.

12 febbraio 2021

"Venti": l'annus horribilis secondo Giorgio Canali & Rossofuoco

Già il titolo dell'ultimo disco di Giorgio Canali & Rossofuoco richiama il 2020, anno di merda, per usare una parola cara all'ex chitarrista del Consorzio Suonatori Indipendenti. E in effetti, Venti (La Tempesta Dischi) è il suono e il linguaggio del nostro tempo, per quanto sgradevoli possano essere questo tempo e questo linguaggio. Venti è nato durante il lungo confinamento di marzo-maggio, quando i Rossofuoco hanno scambiato a distanza spunti e idee. È un album figlio del presente, concepito in smart working e non nell'immediatezza dello studio di registrazione. Come ha rilevato lo stesso Canali, è venuto fuori un disco doppio, «fra chitarre registrate da Stewie che era bloccato a Miami, batterie sarde riprese da Luca in studio e anche nell'orto, bassi bolognesi e parole e chitarre nate a Bassano del Grappa dove ho passato tutto il periodo di segregazione». Si potrebbe dire che è sviluppato sopra un paradosso, nel senso che si sente l'unità di fondo e il lavoro d'equipe, sebbene i musicisti non si siano mai ritrovati insieme a suonarlo. La formazione è quella consolidata: Giorgio Canali (voce e chitarra), Luca Martelli (batteria), Marco Greco (basso), Steve Dal Col (chitarra) e Andrea Ruggiero (violino). 
Il disco si apre con Eravamo noi, una tra le più intense canzoni scritte da Canali, da collocare in un'ipotetica top ten. È una ballata malinconica e amara, che in poco più di quattro minuti ripercorre magistralmente gli ultimi cinquant'anni di storia italiana, tra immagini forti e citazioni di cantautori dimenticati («eravamo noi a fare bella la luna»). La seconda traccia, Morire perché, è profondamente “canaliana”, come intuisce al primo ascolto chiunque conosca la discografia del chitarrista di Predappio. Si potrebbe dire, con le dovute differenze, che è una canzone a metà strada tra le dolorose divagazioni di Precipito e le accelerazioni di Ci sarà, per citare due classici del passato. Nell'aria, impreziosita dall'armonica, è una disincantata descrizione dei nostri giorni, del presente stravolto dalla pandemia e dalle sue conseguenze sociali, economiche e psicologiche. Canali non nasconde il suo punto di vista critico, come si evince in particolare dai seguenti versi: «nell'aria l'odore della paura / cancella il profumo dei fiori / e resta attaccato ai vestiti / una vita intera. / E si sa che a tarda sera / le storie dei mostri in tivù / spaventano di più». Si può discutere a lungo sulle sue posizioni, su quanto si avvicinino a certe visioni complottiste; difficile però negare la potenza, anche e soprattutto visionaria, di quando canta che «l'ultimo alito di disobbedienza civile / è sepolto con le museruole / in un unico grande funerale». La verve polemica prosegue con la tiratissima Inutile e irrilevante, che pure è attraversata da una sottile ironia; difficile non dare ragione a Canali quando ci avvisa che il «nemico un po' più grande» che abbiamo di fronte, rende per l'appunto inutile e irrilevante ogni altro mostro del passato, dal terrorista islamico al black bloc
Il disco prosegue con Acomepidì, una ballata semplice e d'effetto che a qualcuno ricorderà La solita tempesta, anche se manca la calda voce di Angela Baraldi; di certo, qualora l'avesse scritta un autore più in vista, oggi sarebbe in classifica. Si alternano poi brani combat-rock tra Bennato, Finardi e i Clash (Raptus e Circondati) e pezzi più malinconici e riflessivi (Meteo in cinque quarti e Vodka per lo spirito santo). D'altronde, Canali possiede una squisita vena poetica, che spesso nasconde dietro la maschera del polemista. Si ascolti in proposito la lenta ballata Requiem per i gatti neri, che in pochi minuti ci regala alcune immagini di devastante potenza: «e i turisti americani, / una birra in ogni mano / turbano il sonno dei poeti morti / con il loro accento osceno. / E la sirena dei pompieri / è un requiem per i gatti neri / che si portano sfortuna / e attraversano la strada / distratti dalla luna». Senza voler cadere nella trappola della recensione traccia per traccia, meritano però di essere citate almeno altre tre perle: Canzone sdrucciola, Come quando non piove più e Cartoline nere
Venti è la conferma delle doti di scrittura di Giorgio Canali, che tira fuori dal cilindro un album doppio con cinque o sei pezzi ai vertici della sua produzione. Il punto di forza è nella lucida capacità di raccontare il presente e il 2020 annus horribilis, senza abbandonare il riferimento della scuola cantautoriale italiana (e non solo); a riprova, il disco è infarcito di citazioni, da Lolli a Bennato, passando per Rino Gaetano, Finardi, Vasco Brondi e persino Bauhaus e Noir Désir. Inutile nascondere che non tutte le canzoni sono sullo stesso livello; a mio avviso ci sono episodi trascurabili, che danno l'impressione di essere un riempitivo (Dodici, Viene avanti fischiando, Raptus). Ritengo poi che la registrazione a distanza abbia un tantino penalizzato il suono; sarebbe interessante ascoltare le stesse canzoni suonate dal vivo, o comunque a studio in presa diretta, per scoprire particolari che altrimenti rischiano di passare sottotono. Di sicuro, Giorgio Canali e i Rossofuoco si confermano una delle realtà più solide del rock nostrano, tra i primi dieci per interpretazione della realtà e capacità di scrittura.
Giorgio Canali & Rossofuoco - Venti - La Tempesta Dischi (2020)