Con gli anni è cambiato decisamente il modo di acquistare i dischi.
L’avvento di internet ha semplificato le cose, annullando tuttavia la magia e
l’ansia della scoperta che provavo quando portavo a casa un
album solo perché mi aveva ispirato la copertina, senza sapere nulla del gruppo
o del genere suonato. Lo smartphone consente
di sapere tutto in pochi secondi: se ti imbatti in un disco sconosciuto, basta
digitarne gli estremi su Google o Discogs per avere giudizi, recensioni e tutte
le informazioni di cui hai bisogno. Prima non era così; se non avevo già
programmato un acquisto, spesso mi affidavo al fiuto, o meglio alla vista. Sono
molti i dischi che ho comprato perché ispirato dalla copertina. A volte si
è trattato di una piacevole rivelazione, altre un fallimento. Questi sono i
casi a cui sono più legato.
Affinity – Affinity – 1970
Anche a distanza di
anni, la meravigliosa copertina apribile del primo, omonimo e unico LP degli
Affinity mantiene la medesima suggestione che mi spinse a comprarlo. Non avevo
mai sentito parlare di questo gruppo minore della scena prog-jazz inglese degli anni Settanta, ma rimasi praticamente
folgorato dall’immagine di copertina. Ritrae uno scorcio autunnale di campagna
inglese, di una bellezza placida e malinconica. Una ragazza (forse la cantante
Linda Hoyle?) è seduta in primo piano sul bordo di uno stagno, in atteggiamento
cogitabondo e con un ombrellino cinese a proteggerla dalla pioggia sottile. Non
vediamo il suo viso, non sappiamo se piange o è semplicemente assorta.
Dispiegando l’immagine completa, appaiono a sorpresa due cigni che beccheggiano
placidamente nell’acqua, attenuando il senso di solitudine che la scena ispira.
Pura poesia.
[I credits riportano “Album designed and photographed by Sandy
Field and Keef”]
Biglietto per
l’inferno – Live 1974 – 2003
Avevo diciannove anni e
non so dire se a colpirmi fu più l’immagine o il nome del gruppo. All’epoca mi
sembrava strano che una band nostrana avesse avuto l’ardire di chiamarsi
Biglietto per l’inferno. Doveva trattarsi di qualcosa di particolare, a
giudicare anche dalla foto di copertina, uno scatto rubato durante un concerto,
dal retro del palco. È un’immagine di spontanea immediatezza, che restituisce
il clima di un’epoca purtroppo lontana, l’età d’oro del progressive nostrano. Una forte luce dal fondo nasconde il pubblico
e illumina due membri del gruppo. In primo piano il tastierista, impegnato al
sintetizzatore. Oltre un intrico di cavi si intravede la batteria, mentre sulla
destra c’è il cantante Claudio Canali, seduto sopra una bassa seggiola. Niente
lustrini o effetti speciali: solo musica e sudore.
[I credits non riportano l’autore della
fotografia]
Japan – Tin drum – 1981
I Japan li conoscevo
superficialmente per averne ascoltato qualcosa alla radio. Il loro synth pop non mi aveva entusiasmato,
così come lo stile dell’efebico David Sylvian. Quando però mi sono imbattuto
nella copertina di Tin drum ho
accantonato le prime superficiali impressioni e ho acquistato il disco. Si
tratta di un’immagine evocativa, perfetta nella sua costruzione. Un azzimato e
platinato Sylvian è seduto al povero desco di una casa della campagna cinese.
Una nuda lampadina illumina debolmente lo spazio, evidenziando gli altri
oggetti: una scodella di riso, un tipico cappello a cono di paglia, il Libretto
Rosso, pochi essenziali utensili. Appesa malamente al muro, un’immagine del
Grande Timoniere Mao sorveglia la scena, conferendole un senso straniante di
paradossale solennità e mestizia. Resta aperta la domanda: cosa ci fa un
occidentale vestito di tutto punto, per giunta a capo di un gruppo chiamato
Japan, a mangiare riso con le bacchette in una misera casupola cinese, guardato
a vista da Mao? Uno straordinario gioco degli opposti, che stupisce e incuriosisce.
[I credits riportano “Cover concept D. Sylvian, Design Steve Joule, Photography Fin Costello”]
Rare Earth – The collection – 2004
Avete presente quei
cestoni negli ipermercati pieni di cd in ordine sparso, buttati confusamente come
se fossero stati rovesciati da un tir in corsa? Difficile trovare qualcosa di
decente, ma vale sempre la pena dare un’occhiata distratta. La roba buona viene
fuori da sé, magari rimestando con violenza senza farsi vedere dai commessi. Così
ho trovato questa compilation dei Rare Earth, spinto da una copertina forse non
bellissima, ma sicuramente curiosa. Si tratta di una soluzione grafica di
matrice folk, con le teste dei sei
membri del gruppo che spuntano dalle radici di un grosso tronco. Può piacere o
meno, ma a me ha dato un’impressione esoterica, di un gruppo ancestrale e
misterioso. L’ascolto del disco ha mutato la prima idea, in quanto i Rare Earth
erano una validissima band di soul bianco
sotto contratto con la Motown. In ogni caso, una piacevole scoperta casuale.
[I credits non riportano l’autore del disegno
di copertina]
Solid Senders – Solid senders – 1978
Obiettivamente non è
una copertina “bella”, nè originale o suggestiva. Un livido sfondo da periferia
industriale e la band in primo piano. Eppure mi ha colpito perché l'unico e omonimo LP dei Solid Senders era buttato alla rinfusa in uno scatolone di
dischi usati pieno di ciarpame, soprattutto dance
e pop di bassa lega. Questo disco
era invece diverso da tutti gli altri, mi ricordava vagamente Marquee moon dei Television. L’ho dunque
acquistato alla cieca, senza avere la più pallida idea di chi
fosse il chitarrista e leader Wilko Johnson, che dalla copertina ti fissa con
uno sguardo folle di sfida e un atteggiamento tra il serio e il minaccioso, una sorta di
Tom Verlaine meno emaciato e più incazzato.
[I credits riportano “Sleeve design Andrew Judd”]