25 settembre 2019

"Inveni portum", il blog cambia nome!

Quando ho aperto il blog, nel gennaio 2011, pensavo ad uno spazio virtuale in cui promuovere la mia attività letteraria, avendo da poco pubblicato Percezione dell'inverno. Per questa ragione l'avevo chiamato semplicemente “Alfonso Cernelli blog”. Col tempo le cose sono cambiate e il blog ha assunto un'altra fisionomia, diventando un contenitore di recensioni, interviste e articoli: “Letteratura, Musica, Scrittura, Cinema, Arte & altri argomenti”, come recita la descrizione.
Pertanto, ho deciso di dargli un vero nome. Dopo molte indecisioni la scelta è caduta su “Inveni portum”, ossia “ho trovato l'approdo”. Si tratta dell'incipit della celebre locuzione latina «Inveni portum. Spes et fortuna valete! Sat me lusistis; ludite nunc alios!». È l'affermazione di chi, dopo tante peregrinazioni fisiche ed emotive, ha finalmente trovato l'agognato porto in cui approdare, e può dunque dire addio al Fato e alla Speranza, che tanto l'hanno ingannato e crucciato negli anni.
La locuzione ha incontrato grande successo nel corso dei secoli e può essere interpretata variamente. In tutte le varianti ermeneutiche, però, “inveni portum” significa aver raggiunto uno stato di equilibrio, nella felicità o nella perenne malinconia; potremmo affermare che sottintenda l'aver trovato qualcosa che si cercava da tempo. E poiché il blog spesso tratta temi lontani dalle mode letterarie e musicali del momento, proponendo itinerari per un pensiero non allineato, la mia speranza è che anche il lettore possa ritrovare tra queste pagine virtuali un sicuro e desiderato approdo.
Gli emigranti, di Angiolo Tommasi (1858-1923), celebre dipinto di "vita portuale" 

14 settembre 2019

"Filippo Patella e i cento preti ribelli del Cilento" di Clodomiro Tarsia: una pagina poco nota del Risorgimento

Filippo Patella e i cento preti ribelli del Cilento, di Clodomiro Tarsia, è un libro destinato principalmente a due categorie di lettori: i tuttologi del Risorgimento e gli appassionati di storia cilentana. Solo questi, e in particolare la seconda categoria, possono avere lo spirito giusto per addentrarsi nella miriade di vicende e cronache raccontate con dovizia di particolari dal bravo giornalista, già nella redazione del Mattino.
La pubblicazione, datata 2011, è stata curata dal Centro di Promozione Culturale del Cilento, in occasione dei festeggiamenti organizzati dal Comune di Agropoli per i 150 anni dall'Unità d'Italia. Di Agropoli era Filippo Patella, a cui il libro è intitolato; già presbitero, smise l'abito talare e fu uno dei Mille partiti da Quarto alla volta della Sicilia con Garibaldi. L'autore tratteggia gli eventi principali della vita dell'illustre agropolese, dal seminario di Novi all'impegno politico, fino agli ultimi giorni. Eppure la parte più interessante del saggio è un'altra, come si evince dal titolo. Il libro infatti racconta le sconosciute vicende dei “cento preti ribelli del Cilento”, ovvero i frati e i sacerdoti che si opposero alla monarchia borbonica dalla Repubblica Napoletana al 1861, passando per i moti cilentani degli anni 1820-21 e 1848.
Due sono gli aspetti che mi hanno colpito leggendo il breve saggio. Il primo è certamente l'aver scoperto l'esistenza di un clero liberale, ostile ai Borbone, con la parola, l'esempio e finanche l'estremo sacrificio. La storiografia tradizionale ci ha sempre descritto un clero reazionario e retrivo, filoborbonico perché legato ad antichi privilegi negati dai Savoia. Tarsia ha avuto il merito di aprire uno scrigno segreto, da cui emergono nomi e storie di preti combattivi, repubblicani e mazziniani o anche semplici amanti della libertà, che hanno partecipato con i sermoni e le armi alle rivolte che infiammarono il Cilento negli anni precedenti l'Unità, pagando anche con i ferri e la morte.
Il secondo pregio dell'opera sta nella capacità dell'autore di ricostruire con pochi cenni il clima socio-politico dell'epoca, così fecondo persino nel periferico Cilento, definito con sprezzo “la terra dei tristi”. Leggendo il saggio scopriamo un territorio ricco di fermenti emotivi e politici, popolato di sette segrete, pieno di cospiratori. Un popolo ribelle a cui mancò solo un leader carismatico, come precisa Tarsia con una felice intuizione.
Un plauso infine allo stile, che è asciutto e sobrio, come si conviene ad un libro di storia. Tarsia ha scritto un'opera sul Risorgimento che non è imbevuta di sterile retorica risorgimentale; anzi, descrive le vicende con il giusto distacco del cronista. Pur emergendo tra le pagine una certa simpatia verso Patella e gli altri preti ribelli, Tarsia non cade nella facile equazione “Borbone = Male assoluto”, peraltro smentita dalla storiografia più recente, non solo di stampo revisionista.
È dunque un saggio interessante, anche se di nicchia, peraltro corredato da un valido apparato fotografico.