Le storie di rock and roll, inutile nasconderlo, possiedono sempre un certo
fascino. La sete di aneddoti sulla vita dei musicisti è tale da sconfinare nel
feticismo. Sarà che è diffusa la convinzione che le rockstar siano tali anche giù dal palco, nel quotidiano che si
pensa non possa essere banale come quello di noi comuni mortali. “Iggy Pop è sempre Iggy Pop, anche quando si
gratta le palle”, diceva un mio amico, riassumendo efficacemente il
concetto.
Lo scrittore irlandese Joseph O’Connor ha
trasformato questa passione in un avvincente romanzo. Ha inventato un gruppo,
gli Ships in the night, e ne ha raccontato l’ascesa e la caduta. Questa, in
sintesi, la trama. I quattro musicisti, Rob, Fran, Sean e Trez, partono dalla modesta
periferia di Luton, per scalare le classifiche mondiali vendendo milioni di
dischi. La vicenda è di fantasia, ma O’Connor è riuscito a darle
verosimiglianza, soprattutto per aver miscelato sapientemente i personaggi
inventati con quelli reali: Patti Smith, John Peel, Elvis Costello e altri
fanno infatti capolino tra le pagine. Il libro può essere letto secondo una
duplice prospettiva. Da un lato, è una rievocazione dell’Inghilterra thatcheriana
degli anni Ottanta, stremata dalle lotte di classe e dalla mai risolta
questione irlandese. D’altro canto, è una sorta di antologia del rock
britannico di quegli anni gloriosi. La storia degli Ships è simile a quella di
una miriade di gruppi del periodo post-punk, famosi o sconosciuti. O’Connor
ricostruisce umori e suoni della grande stagione della new wave inglese, riprendendone
inquietudini e riti ad uso di chi non ha avuto la fortuna di viverla.
La lenta scalata al successo degli Ships e la
repentina caduta sono i temi centrali del libro, che non a torto è stato
inquadrato nel genere dei romanzi di formazione. E in effetti O’Connor non si
dilunga tanto sulla descrizione della fase finale della band, quella del
successo. La parte più luminosa della carriera del gruppo viene liquidata
in poche pagine, poiché all’autore interessa soprattutto indagare il percorso
umano ed esistenziale dei personaggi, la loro crescita emotiva e professionale.
Ma Il gruppo è anche una commovente storia
di amicizia e redenzione, un’invettiva contro la seduzione del denaro e la
spietatezza del mercato discografico, nonché un ammonimento sulla pericolosità
del successo, capace di alterare gli equilibri delle persone più fragili.
La psicologia dei personaggi è sufficientemente
approfondita, anche se alcuni passaggi risultano un po’ frettolosi. Si pensi a Fran,
l’ambiguo e carismatico leader degli Ships, una sorta di icona glam punk a mezza strada tra Bowie e
Morrissey. O’Connor è abilissimo nel tratteggiarne la personalità nella prima
parte del volume, quella dell’inquieta adolescenza; il successivo profondo
cambiamento, che porterà il cantante a scelte dolorose e discutibili, non è
invece analizzato con la perizia che sarebbe stata necessaria.
Il gruppo è una
lettura piacevole e agevole, ma ritengo non sia adatta a tutti. I romanzi che
parlano di musica condividono la medesima sorte, ovvero di essere apprezzati
soprattutto dagli appassionati, gli unici in grado di cogliere i tanti
riferimenti a gruppi o dischi disseminati qui e lì. Ne consiglio pertanto la
lettura a chi ha amato la new wave inglese o a chi, più semplicemente,
si è immedesimato almeno una volta nelle vicende dei propri beniamini fino a
volerne incarnare le sorti.
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