12 febbraio 2024

"La fonte ai confini del mondo" di William Morris: dove tutto è cominciato

Quando si parla di generi letterari o correnti artistiche, c'è sempre divergenza di opinioni circa l'individuazione dell'artista capostipite o dell'opera archetipica. Ciò vale anche per la letteratura fantastica, specialmente per il suo sottogenere noto come fantasy. Se infatti la storia del fantastico è antica quanto l'uomo, come ci insegna Todorov in un suo celebre saggio, il fantasy è invece relativamente recente, risalendo alla seconda metà dell'Ottocento. Sia pure con le dovute cautele, molti concordano che La fonte ai confini del mondo (1896) dell'inglese William Morris possa essere considerato il primo romanzo fantasy della storia, tanto che fu di ispirazione per i grandi maestri del genere, Tolkien e Lewis. Morris nacque a Walthamstow nel 1834 e morì nel 1896; fu scrittore di prosa, poeta, architetto, editore e pittore legato al movimento preraffaellita, nonché attivista politico vicino al socialismo. La fonte ai confini del mondo è stata a lungo inedita in Italia; la prima edizione Fanucci è infatti del 2005, poi ristampata nel 2019.
La trama riprende pedissequamente alcuni tòpoi della letteratura cortese e cavalleresca. In un'epoca che somiglia al Medioevo c'è una terra immaginaria su cui regnano diversi sovrani. Uno di questi è Peter, un regulus che regna sulla felice Upmeads. Peter ha quattro figli e i tre maggiori lasciano la terra dei padri per fare fortuna nel mondo. Il più piccolo, Ralph, è destinato a rimanere a Upmeads; tuttavia il suo temperamento temerario lo spinge ad allontanarsi di nascosto dagli amorevoli genitori. Così un bel giorno parte senza una meta precisa. Inizialmente segue un indefinito desiderio d'avventura, fino a quando viene a conoscenza di una miracolosa fonte che dona eterna giovinezza, salute, felicità e avvenenza a chiunque riesca a bere le sue acque. Senza esitazioni Ralph parte alla ricerca della sorgente, tra mille peripezie che gli faranno acquisire fama, sapere e gloria.
Il tema centrale del romanzo è proprio il viaggio; in ciò si ravvisa l'influenza maggiore che Morris ha avuto sugli altri maestri del genere. Il suo protagonista è perennemente in movimento, a piedi o a cavallo; egli visita città e castelli, attraversa boschi e deserti, valica montagne e supera colline, guada torrenti e fiumi impetuosi, conosce uomini e donne di ogni risma. Le descrizioni delle peregrinazioni di Ralph sono a mio avviso il punto forte del romanzo; forse soltanto Tolkien riuscirà a rendere con maggiore realismo e vividezza lande selvagge e paesaggi immaginari. Morris è, sotto questo aspetto, uno scrittore "ottocentesco", minuzioso nelle descrizioni e attento nei particolari; molte pagine offrono davvero un'esperienza immersiva, sicché sembra di camminare assieme ai suoi personaggi in terre lontane e amene. I dialoghi invece sono spesso verbosi, oltre che improntati a un tono moraleggiante che appesantisce la lettura. Tutti i personaggi, anche i più umili, sfoggiano un linguaggio forbito da poeta cortese che appare poco credibile, rendendo indistinguibile il misero bracciante dal potente abate, il rozzo guerriero dal letterato.
Un altro aspetto poco convincente è che i personaggi sono stereotipati secondo una rigida visione manichea che esaspera gli aspetti buoni e quelli cattivi, senza vie di mezzo. Mi duole dire che in alcuni frangenti ho trovato insopportabile il protagonista. Ralph è l'emblema dell'eroe senza macchia e senza paura: bello, coraggioso, saggio, giusto, in una parola perfetto. A tratti tracotante, non ha l'ingenuità della giovinezza che me l'avrebbe reso più simpatico; nessun dubbio lo sfiora, nessuna difficoltà sembra insormontabile per lui. Per queste ragioni diventa difficile immedesimarsi o anche solo empatizzare con lui, in quanto Morris non instilla mai il dubbio che Ralph possa fallire nella sua missione, per cui l'esito della vicenda appare scontato già dalle prime pagine. Anche gli altri personaggi hanno una psicologia poco approfondita e risultano appiattiti su un'unica dimensione: Ursula è l'incarnazione del bene, il signore di Utterbol quella del male, e così via.
La vera originalità dell'opera, quella che ci fa dire che con Morris "tutto è cominciato", è il perfetto assemblaggio di miti, leggende, tradizioni orali, poemi epici e amor cortese in una storia complessa e abbastanza avvincente. Lo scrittore inglese comprese prima di ogni altro il grande potenziale racchiuso in queste storie tramandate da secoli, purché venissero rielaborate in chiave più moderna per adattarsi ai gusti del pubblico. L'apprezzamento dei suoi colleghi conferma la validità dell'intuizione di Morris.
Mi sono approcciato alla lettura del libro con grande entusiasmo, memore delle piacevoli ore trascorse in compagnia di Tolkien. Le mie aspettative sono rimaste parzialmente deluse per le ragioni anzidette. Non sono un esperto di letteratura fantasy, eppure ritengo che la mancanza di elementi quali la magia, il soprannaturale e l'orrido non consenta di ascrivere completamente il libro al genere. Peraltro il volume è ricco di riferimenti al cristianesimo, per cui il mondo inventato da Morris non è poi così diverso dal nostro Medioevo. La fonte ai confini del mondo è un racconto d'avventura, o meglio un romanzo cavalleresco dalle tinte fantastiche, ma non un fantasy a tuttotondo. Se si accetta questa premessa, resta un libro godibile perché narra una storia senza età che sa accendere la fantasia dei lettori.

Nessun commento:

Posta un commento

Commenta l'articolo!