I
sotterranei è un romanzo che va letto tutto d’un fiato, senza soffermarsi
tanto sul senso delle parole, quanto piuttosto assaporandone la musicalità, la
melodia che si sprigiona dalle pagine di un monologo denso e martellante. Non a
caso è il manifesto della prosodia bop, la tecnica di scrittura che cerca di
riproporre sulla carta l’ininterrotto flusso dei pensieri, lo stream of consciousness di joyciana
memoria, al ritmo della musica jazz. Si tratta di una fondamentale evoluzione
del percorso letterario di Kerouac, che soltanto otto anni prima aveva esordito
con un romanzo dall’impianto e dal linguaggio tradizionali, La città e la metropoli.
Il titolo non si riferisce ad un luogo: era
infatti chiamato “i sotterranei” un gruppo di giovani artisti, spesso di scarso
o nessun talento, che vivevano febbrili esistenze promiscue, trascinandosi
nella notte tra locali e abitazioni di una San Francisco vivida e frenetica. I
loro idoli erano poeti e musicisti, droghe e alcool la loro benzina.
C’è tanto di autobiografico in questo
romanzo: il protagonista, Leo Percepied, è lo stesso Kerouac, mentre la
seducente Mardou è Alene Lee, che fu unita allo scrittore da una breve e
tormentata relazione. Leo e Mardou si incontrano a casa di un amico comune e
vivono una veloce ma intensa stagione d’amore prima di separarsi,
apparentemente senza rimpianti. Il loro è un amore sconveniente per molte
ragioni, prima fra tutte il diverso colore della pelle: Mardou è infatti nera,
per giunta libera e anticonformista, in un’America ancora profondamente
razzista. La storia si dipana in un macchinoso monologo, ma soprattutto è un
arguto ritratto di quella gioventù beat
di cui Kerouac è stato il capostipite. I personaggi del romanzo sono dunque la
trasfigurazione di persone reali; ad esempio, Adam Moorad è Allen Ginsberg,
mentre Gregory Corso si nasconde sotto i panni dell’infido Yuri Gligoric.
Come ho già detto, il libro è importante più
per lo stile che per la trama. Henry Miller, che a sua volta fu un innovatore,
ne riconobbe immediatamente l’importanza, affermando con un’acuta metafora che I sotterranei avevano avuto la capacità
di violentare la lingua, al punto che la letteratura americana non sarebbe più
stata in grado di riacquistare la verginità perduta. In Italia il romanzo ha
avuto una vita editoriale tormentata, prima di affermarsi al pari di un
classico: è stato sottoposto a processo per oscenità, ma il collegio giudicante
non ha potuto che riconoscere la bellezza lirica del linguaggio, tale da
elevarlo ad opera d’arte, anziché degradarlo a sceneggiato pornografico come
reclamavano i detrattori.
Resta comunque un libro a tratti ostico,
proprio per le caratteristiche della scrittura bop. Probabilmente andrebbe
letto in lingua originale, per poterne apprezzare al meglio le sottili
sfumature. Ritengo sia adatto soprattutto a chi ha già una conoscenza
abbastanza approfondita dello scrittore statunitense; consiglio di acquistarlo
dopo aver letto i più celebri Sulla
strada, I vagabondi del dharma e Big Sur. Iniziare la conoscenza di
Kerouac partendo da I sotterranei potrebbe
infatti rivelarsi un pericoloso fraintendimento.
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