6 agosto 2017

"I sotterranei" di Jack Kerouac: un linguaggio febbrile come il jazz

I sotterranei è un romanzo che va letto tutto d’un fiato, senza soffermarsi tanto sul senso delle parole, quanto piuttosto assaporandone la musicalità, la melodia che si sprigiona dalle pagine di un monologo denso e martellante. Non a caso è il manifesto della prosodia bop, la tecnica di scrittura che cerca di riproporre sulla carta l’ininterrotto flusso dei pensieri, lo stream of consciousness di joyciana memoria, al ritmo della musica jazz. Si tratta di una fondamentale evoluzione del percorso letterario di Kerouac, che soltanto otto anni prima aveva esordito con un romanzo dall’impianto e dal linguaggio tradizionali, La città e la metropoli.
Il titolo non si riferisce ad un luogo: era infatti chiamato “i sotterranei” un gruppo di giovani artisti, spesso di scarso o nessun talento, che vivevano febbrili esistenze promiscue, trascinandosi nella notte tra locali e abitazioni di una San Francisco vivida e frenetica. I loro idoli erano poeti e musicisti, droghe e alcool la loro benzina.
C’è tanto di autobiografico in questo romanzo: il protagonista, Leo Percepied, è lo stesso Kerouac, mentre la seducente Mardou è Alene Lee, che fu unita allo scrittore da una breve e tormentata relazione. Leo e Mardou si incontrano a casa di un amico comune e vivono una veloce ma intensa stagione d’amore prima di separarsi, apparentemente senza rimpianti. Il loro è un amore sconveniente per molte ragioni, prima fra tutte il diverso colore della pelle: Mardou è infatti nera, per giunta libera e anticonformista, in un’America ancora profondamente razzista. La storia si dipana in un macchinoso monologo, ma soprattutto è un arguto ritratto di quella gioventù beat di cui Kerouac è stato il capostipite. I personaggi del romanzo sono dunque la trasfigurazione di persone reali; ad esempio, Adam Moorad è Allen Ginsberg, mentre Gregory Corso si nasconde sotto i panni dell’infido Yuri Gligoric.
Come ho già detto, il libro è importante più per lo stile che per la trama. Henry Miller, che a sua volta fu un innovatore, ne riconobbe immediatamente l’importanza, affermando con un’acuta metafora che I sotterranei avevano avuto la capacità di violentare la lingua, al punto che la letteratura americana non sarebbe più stata in grado di riacquistare la verginità perduta. In Italia il romanzo ha avuto una vita editoriale tormentata, prima di affermarsi al pari di un classico: è stato sottoposto a processo per oscenità, ma il collegio giudicante non ha potuto che riconoscere la bellezza lirica del linguaggio, tale da elevarlo ad opera d’arte, anziché degradarlo a sceneggiato pornografico come reclamavano i detrattori.
Resta comunque un libro a tratti ostico, proprio per le caratteristiche della scrittura bop. Probabilmente andrebbe letto in lingua originale, per poterne apprezzare al meglio le sottili sfumature. Ritengo sia adatto soprattutto a chi ha già una conoscenza abbastanza approfondita dello scrittore statunitense; consiglio di acquistarlo dopo aver letto i più celebri Sulla strada, I vagabondi del dharma e Big Sur. Iniziare la conoscenza di Kerouac partendo da I sotterranei potrebbe infatti rivelarsi un pericoloso fraintendimento.

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