«Tutte le volte in cui cercavo un album degli Smiths in un
negozio di dischi, inevitabilmente me ne capitava tra le mani uno degli Smithereens,
che scartavo senza appello». Così scriveva un commentatore su YouTube, biasimando la sua
fretta giovanile e affermando che, col senno di poi, non li avrebbe scartati a colpo sicuro; anzi, li
avrebbe di gran lunga preferiti agli Smiths. Al di là dell’evidente ironia,
l’anonimo commentatore non ha avuto torto nell’affermare che gli Smithereens
sono stati un valido gruppo. Certo, nulla a che vedere con i più quotati Smiths,
che sono riusciti ad inventare un genere e uno stile. Eppure, nel ristretto
recinto del power pop, anche agli Smithereens spetta un
posto d’onore.
Sono uno dei gruppi
minori della scena rock americana, ma ritengo sia erroneo definirli “sottovalutati”,
come scrivono in molti sulla rete. Prima di imbattermi in 11, il loro quarto lavoro in studio, non sapevo chi fossero; poi ho
scoperto che hanno avuto una discreta fama per tutto il corso degli anni
Ottanta, specialmente negli Usa. Ancora oggi sono un gruppo di piccolo culto,
che continua a girare in tour nella formazione originale, composta da Pat Di
Nizio (voce e chitarra), Jim Babjak (chitarra), Dennis Diken (batteria) e Mike
Mesaros (basso). Il Dizionario del pop-rock
di Tonti e Gentile ricorda che gli Smithereens, «da cover band con un amore particolare per il beat inglese e il R’n’R
classico americano», sono diventati uno dei principali gruppi di power pop, sfornando una serie impressionante
di validi singoli, come Behind the wall
of sleep, Blood and roses, Strangers when we meet, Lonely room,
House we used to live in, Drown in my tears e altri. Da ricordare
specialmente i primi tre album: l’EP di esordio Beauty and sadness (1983), Especially
for you (1985) e Green thoughts
(1988).
Il quarto LP (1989),
intitolato semplicemente 11, è stato un
punto di svolta nella loro carriera, perché ha segnato la fine della
fase più felice, o meglio, l’inaridimento della vena creativa di Pat Di Nizio,
leader indiscusso della band e autore di quasi tutti i testi e le musiche. Il
quartetto si dimostra affiatato e quadrato, proponendo dieci canzoni di un power pop sanguigno, che a volte strizza
l’occhio al rock americano più classico. É dunque un disco di transizione,
perché segna una svolta nello stile, orientato sempre più verso una proposta
marcatamente rock, sorretta dai riff
della Rickenbacker di Babjak e dal
basso potente e preciso di Mesaros.
Il lato A si apre con A girl like you, pimpante canzone
d’amore a lungo in classifica negli Stati Uniti e in Canada. Segue la vera e
propria gemma dell’album, l’intrigante ballata Blues before and after, con
un egregio lavoro al basso e un ritornello destinato a rimanere a lungo in
testa. Per comprendere quanto la band fosse quotata, si prenda in
considerazione la terza traccia, la fluida Blue
period, impreziosita addirittura
dalla voce di Belinda Carlisle, all’epoca una celebrità. La facciata si chiude con altri due pezzi quadrati,
Baby be good e A room without a view. Il secondo lato continua sulla falsariga del
primo, con un altro azzeccato singolo, Yesterday
girl, e proseguendo con uno dei pezzi migliori del disco, la decisa Cut flowers. Da ricordare William Wilson, omaggio ad un celebre
racconto di Edgar Allan Poe, che tratta il tema del doppelgänger.
Il disco si conclude con una lenta ballata pop decisamente radiofonica, Kiss your tears away.
11
non è un disco memorabile, ma è l’impronta di una band sempre coerente con se
stessa. The Smithereens meritano il nostro rispetto per questa ragione: stanno
portando avanti da più di trent’anni il discorso di un pop-rock sobrio, suonato bene, che rinuncia ai riff ruffiani in favore di una vena compositiva che si ispira ai Sixties, Beatles e Byrds su tutti. Anche
se i testi non sono sempre all’altezza, Di Nizio li carica di drammaticità
grazie alla sua intensa voce. 11 ha segnato
anche il passaggio dalla Enigma ad una major,
la Capitol; per questo dovrebbe essere di facile reperibilità anche nel Bel
Paese, per giunta a prezzi abbordabili, dato che il vinile è stato stampato in
concessione dalla Emi italiana. Ripeto che i primi tre lavori del gruppo americano
sono certamente i migliori. 11, come
tutti i dischi di transizione, vive di alti e bassi, ma porta comunque
l’inconfondibile marchio di fabbrica di Pat Di Nizio e soci.
La band (Babjak, Mesaros, Di Nizio e Diken) e la copertina di "11"
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!