L’anno scorso Giorgio Canali ha dato alle stampe un album di cover,
reinterpretando a suo piacimento alcune canzoni italiane poco conosciute e spesso dimenticate,
che avrebbero meritato sorte migliore. Per gioco ho voluto
ripetere l’operazione secondo il mio gusto, scegliendo alcune canzoni italiane meno note, da scoprire o riscoprire.
Lucio Battisti – No dottore
(da La batteria, il contrabbasso,
eccetera, 1976). Spulciare nel patrimonio che Battisti ci ha lasciato
significa trovare canzoni meno o per nulla note, forse poco radiofoniche, ma
che testimoniano la poliedricità di un cantautore che non deve e non può essere
accostato unicamente a La canzone del
sole. No dottore è il monologo,
reso di fronte ad uno psichiatra o ad un giudice (non ci è dato saperlo), di un
“pazzo” accusato di aver ucciso la propria fidanzata. Tra numerosi non ricordo
e scampoli di lucidità, la canzone lancia domande che non avranno una risposta,
insinua dubbi che non possono essere sciolti. Sofferto il cantato, che si apre nel
ritornello in ampi spazi di luce.
Bluvertigo – Ebbrezza totale (da Metallo non metallo, 1997). Trovare le giuste parole per descrivere
un brano dei Bluvertigo non è facile. Ebbrezza
totale ti assale dalla prima nota, ti sconvolge dal primo verso («Questi fiori blu ci deviano») e quando
ti lascia vorresti che ricominciasse immediatamente da capo. Elettronica e
chitarre in giuste dosi, voce sopra la media.
I Califfi – Madre domani (da Fiore di metallo, 1973). Non poteva
mancare un pezzo sentimentale e strappalacrime, nella più pura tradizione italica.
Ho scelto questa canzone dei Califfi, appartenente al periodo della loro svolta
progressiva. Madre domani, però, non ha nulla a che vedere con il prog,
è una piacevole ballata dalla struttura tradizionale “strofa-ritornello-strofa-ritornello”, che tuttavia ha dalla sua parte
un testo che mi ha sempre sinceramente emozionato.
Giorgio Canali &
Rossofuoco – Orfani dei cieli (da Rojo, 2011). Canali è arrivato tardi
alla carriera solista, dopo aver militato per anni nei CSI con la sua chitarra
distorta. Assieme ai Rossofuoco ha tirato fuori dal cilindro canzoni
meravigliose, in cui mette a nudo un’anima tormentata e una rabbia covata sin
dalla nascita. In Orfani dei cieli, però,
mette da parte l’incazzatura e i watt per raccontarci l’amore dal suo punto di
vista: «come se non avessimo modi più
letali di farci male / di innamorarci delle ragazze che dietro il bancone di un
bar / ci danno da bere. / Come se fosse la prima volta che ci si innamora, /
come se avessimo bisogno di imparare ancora, ancora, ancora».
Circo fantasma – Vecchi amanti (da Ninna nanna per la classe operaia, 1997). Gruppo poco conosciuto
dell’ondata rock italiana degli anni Novanta, i Circo fantasma hanno dato alle
stampe un intenso album di impegno sociale, tra pezzi originali e cover (De
Andrè, Springsteen). Vecchi amanti
racconta di due persone che si erano amate durante la guerra e si incontrano di
nuovo dopo decenni. Un testo ispirato e un’originale e struggente fisarmonica
ne fanno un brano che avrebbe meritato ben altra fortuna.
Consorzio Suonatori Indipendenti – L’ora
delle tentazioni (da Linea gotica,
1995). Uno di quei pezzi che necessitano di più ascolti per essere compresi,
assimilati ed infine amati. Nove minuti pazzeschi, che iniziano in sussurro e
terminano in un'orgia di chitarre distorte, con due voci stupende che si incrociano. Il
testo, poi, è tra i più suggestivi scritti da Ferretti: «la casa, la chiesa a modo e per bene /
campana che suona, la notte che viene, / cattolico decoro, cattolico decoro, cattolico
decoro, / la luce si spegne. / Scaldano le braccia del peccato, / scaldano il
freddo del firmamento, / che fredda è la notte».
Diaframma – Io amo lei (da In perfetta solitudine, 1990). Federico
Fiumani è uno di quei cantautori dal repertorio vastissimo, praticamente
sconosciuto al grande pubblico. Sceglierne soltanto una è un’ingiustizia, ma Io amo lei resta una delle canzoni
migliori, imprescindibile in ogni concerto dei Diaframma. Dentro c’è la summa
dell’arte del Fiumani: un testo mai banale che racconta una storia intrigante,
la voce asimmetrica che si spinge fino all’urlo e un giro di chitarra che
riconosceresti tra mille.
Marlene Kuntz – Infinità (da Ho ucciso paranoia, 1999). «La
cosa più speciale / che mi potessi offrire / è un lampo di infinità, / che non
mi fa dormire / e non mi fa vegliare. / Ora è per sempre ora». Bastano
queste eteree parole a dire tutto. Un pezzo lieve ma intenso, quattro minuti
perfetti.
Moda – Polvere (da Senza rumore, 1989). Una precisazione è d’obbligo: sto parlando
dei Moda, gruppo culto della new wave italiana
degli anni Ottanta, e non dei contemporanei Modà. Polvere non ha nulla a che vedere con i suoni cupi della new wave, ma è un perfetto gioiellino
pop, arricchito dalle tastiere e da un’ottima interpretazione vocale di Andrea
Chimenti. Radiofonico com’è, farebbe tuttora impallidire molti attuali
singoli di successo.
Claudio Rocchi – Ho girato ancora
(da A fuoco, 1977). È la canzone del
riflusso, l’amaro resoconto della fine delle utopie, delle lotte e dei sogni.
La generazione che voleva cambiare il mondo è finita annegata nella droga,
nella violenza, nel terrorismo mascherato da lotta di classe. L’unità è
diventata divisione e nessuno avrebbe saputo raccontarla con parole migliori di
queste: «anche se in una foto / scattata
un momento potrebbe sembrare / che noi tutti insieme siamo un esercito grande /
che può se lo vuole riuscire a cambiare. / Ma dentro le tasche degli stessi
vestiti / che tutti vestiamo, oggetti diversi ci dicono / la vera realtà che
viviamo. / La pistola o la lira, la siringa o la mala, / la tessera o il fumo,
la chiave di ferro, / il fumetto di sesso, la Gita, il Vangelo, / la bottiglia
di whisky, il pane integrale. / E in un solo momento un esercito grande /
diventano gruppi che guardando più in fondo / si scopron diversi, si scopron
lontani, / si scopron nemici».
Alan Sorrenti – Vorrei incontrarti
(da Aria, 1972). Quando uscì Aria, Alan Sorrenti era un cantautore
quasi sconosciuto, ancora lontano dal successo di pubblico che avrebbe costellato
la sua carriera a partire dalla fine degli anni Settanta. Il primo LP seguiva
però una direzione precisa lungo la strada del sogno, trainato da una
straordinaria prima facciata, in cui si dipanava una delle suite più riuscite
del panorama progressivo nazionale. Il lato B si apriva invece con un breve
gioiello, la delicata Vorrei
incontrarti, canzone d’amore che profuma di Oriente e misticismo, viaggi in
luoghi lontani e respiri d’incenso. Poesia pura i versi: “vorrei incontrarti fuori i cancelli di una fabbrica, / vorrei
incontrarti lungo le strade che portano in India”.
La copertina di Aria di Alan Sorrenti, grande disco da riscoprire
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