6 febbraio 2018

Gli esoterici della new wave: "Fiction" dei Comsat Angels

Nel sottobosco della new wave in terra d’Albione troppi erano gli orfani del punk: formazioni più o meno note, talentuose o da dimenticare, con un’attitudine dark o votate all’elettronica. In parole povere, un mare in cui è difficile orientarsi. In quel di Sheffield si muovevano i Comsat Angels di Stephen Fellows (voce e chitarra), Mik Glaisher (batteria), Kevin Bacon (basso) e Andy Peake (tastiere). Esordirono nel 1980 con il sorprendente Waiting for a miracle, seguito a ruota dal claustrofobico Sleep no more (1981) e da Fiction (1982), dall’attitudine meno oscura. Album tutti pubblicati dalla Polydor, segno del credito di cui godeva la band.
I Comsat Angels, che avevano preso il nome da un racconto di fantascienza (edito in Italia nella collana Urania), volevano affermare un suono diverso dagli altri gruppi della medesima corrente. Meno cupi dei Joy Division, meno elettrici dei The Sound, proponevano atmosfere dilatate, di stampo quasi psichedelico. Il terzo LP, intitolato Fiction, chiude il loro periodo migliore. Registrato nei mesi di maggio e giugno del 1982, è stato, per ammissione dello stesso Fellows, un lavoro meno meditato dei precedenti, a causa della stanchezza accumulata dopo lunghi ed estenuanti concerti. Cupezza, malinconia e attitudine new romantic sono i tratti principali del disco, che si dipana in canzoni non sempre di facile presa. Bandita la rabbia, predomina l’inquietudine.
Si ascolti la prima traccia, After the rain. Strumentazione ridotta all’osso, poche note di tastiera ripetute all’infinito, a dare l’idea della pioggia che cade. Una canzone-gioiello, che immerge l'ascoltatore in un’atmosfera soffusa di campi nebbiosi bagnati dall’inverno. Quasi un intermezzo la successiva Zinger, che lascia spazio alla meravigliosa Now I know. Qui i nostri si cimentano nella più classica delle ballate darkwave: il basso a reggere le fila del discorso, echi lancinanti di tastiere provenienti da altri mondi e chitarre a tentare di forzare uno scenario altrimenti desolante. Un pezzo suggestivo, forse l’apice dell’album. Segue Not a word, il brano più elettrico della facciata, dall’incedere post-punk; è un’atipica canzone d’amore, dedicata alla «strangest girl I have ever known». Ju ju money chiude la facciata con un’invettiva contro il dio denaro riuscita solo a metà.
Il lato B è aperto da More, che riprende l’essenzialità di After the rain, con una batteria incalzante e la voce di Fellows a raccontarci quanto siano effimeri i sogni: «more things than you’ve time for / more dreams than you can use / they fill up all the sky / and fall into your eyes». Si torna a viaggiare alti con Pictures, soffusa canzone che si esalta in un ritornello di strisciante malinconia. Purtroppo la chiusura del disco non è all'altezza del resto: Birdman è un mero riempitivo senza un’idea portante, mentre Don’t look now e What else!? non lasciano traccia nella memoria. È proprio nella chiusura che si sentono la stanchezza e la carenza di idee di cui parlava Fellows.
Dimenticato dai più, è un album tutto sommato buono, con almeno quattro gemme da ricordare. Qualche caduta di tono, ma i Comsat Angels si confermano un gruppo con una propria identità, al di là dell’inquadramento in un genere. Il vinile è reperibile a prezzi contenuti, ma il disco è stato ristampato anche in cd. Due parole sulla grafica: copertina semplice ma d’impatto con schegge vaganti di colori e, nella busta interna, una simpatica foto del gruppo che non si prende troppo sul serio.
La band nella busta interna del vinile
La copertina di Fiction

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