12 febbraio 2020

Bere l'amaro calice: la poesia di Georg Trakl

La breve esistenza di Georg Trakl (1887-1914) è una fedele trasposizione dei canoni che l'immaginario collettivo associa ad un certo tipo di poeta. Basterebbero poche parole significative per riassumerla: il multiculturalismo, l'incesto, l'abuso di sostanze, la guerra. Trakl nacque da padre ungherese protestante e madre slava cattolica, a Salisburgo, in quel crogiolo di etnie e religioni che era l'Impero asburgico. Nutrì un amore indiscusso, platonico e persino carnale, per la sorella minore Grete, morta suicida nel 1915. Studiò da farmacista e questo gli consentì di accedere facilmente a sostanze stupefacenti, per cui maturò dipendenza. Allo scoppio della Prima guerra mondiale venne inviato in prima linea a curare i feriti e ad alleviare le sofferenze dei moribondi; traumatizzato dalla vista di tanto dolore, tentò una prima volta il suicidio, per poi morire la sera del 3 novembre 1914 per overdose di cocaina, secondo alcuni biografi procurata volontariamente. Vicende scarne, dunque, ma estremamente significative. Si aggiungano le poche ma fidate amicizie, che lo introdussero nel vivace clima culturale dell'epoca: lo scrittore Karl Kraus, l'architetto Adolf Loos, il pittore Oskar Kokoschka.
In mezzo a tutto questo c'era la poesia, che i critici definiscono espressionista. Sono liriche cupe, melanconiche, ossessive, in cui predominano i mezzitoni. I suoi paesaggi sono immoti, eppure dilaniati da brevi esplosioni di luce, da apparizioni umane agonizzanti, da cambiamenti climatici lenti ma inflessibili. Quando parla di uomini, Trakl ricorda la sorella, i commilitoni, gli avventori di un'osteria, una donna amata e perduta (Sonja), pescatori, ammalati, defunti. Ma è il paesaggio, specialmente autunnale o invernale, su cui concentra maggiormente l'attenzione; eppure non c'è niente di bucolico nei suoi versi, perché persino la natura emana un gelido respiro di morte. Leggendoli ho pensato ai nostri poeti crepuscolari, Corazzini su tutti. Eppure c'è una differenza, non di poco conto: mentre i Crepuscolari vivevano di malinconia cercata, riportando sul foglio immagini velate di pianto, Trakl vi riversava un dolore inconsolabile, un senso apocalittico di vuoto che va oltre il semplice rimpianto di gozzaniana memoria. Leggere le sue poesie è come bere un distillato di dolore, equivale ad abbeverarsi alla fonte stessa di un invincibile malessere fisico e psicologico.
La prima raccolta in italiano delle sue opere uscì nel 1949 presso l'editore Enrico Cederna di Milano, tradotta dal germanista Leone Traverso. Nel 1992 Passigli Editore ripropose questa antologia, arricchita dalla esaustiva prefazione di Italo Alighiero Chiusano, che riassume in poche pagine il senso profondo di un uomo caratterizzato da «nevrosi, introversione, cupezza e mutismo, ipersensibilità patologica, proclività a una violenza anarchica, peraltro raffrenata da una grande gentilezza di cuore, che lo portava ad avere ottimi rapporti con la gente semplice e coi bambini».
Le poesie che riporto sono tratte proprio da quest'ultima edizione, con traduzione di Leone Traverso.

In un album antico 
Sempre ritorni tu, malinconia,
dolcezza dell'anima solitaria.
Alla fine arde un giorno d'oro.
Umile si piega al dolore il paziente,
risonante d'armonia e di molle delirio.
Vedi! Scende ormai il crepuscolo.
E ritorna la notte e si lamenta un mortale,
e soffre un altro con lui.
Rabbrividendo sotto le stelle autunnali
si piega ogni anno più profondo il capo.

Canti del Rosario
Dove tu avanzi scende autunno e sera,
azzurra fiera, che tra gli alberi risuona,
solitario stagno nella sera.
Sommesso il volo degli uccelli suona,
la tristezza sugli archi dei tuoi cigli.
Il tuo tenue sorriso suona.
Dio ha distorto le tue palpebre.
Stelle cercano a notte, figlia del Venerdì Santo,
l'arco della tua fronte.

Sonja 
Sera torna nel vecchio giardino;
vita di Sonja, azzurra calma.
Uccelli selvaggi migranti;
albero spoglio in autunno e calma.
Girasole, soavemente curvo
sulla bianca vita di Sonja.
Piaga, rossa, mai mostrata
lascia vivere in oscure stanze,
dove suonano le azzurre campane;
passo di Sonja e dolce calma.
Moribondo animale saluta scivolando via,
albero spoglio in autunno e calma.
Sole d'antichi giorni riluce
sulle bianche ciglia di Sonja,
neve che le sue guance inumidisce,
e il selvaggio folto delle sue ciglia.

Il sonno
Maledetti voi, veleni oscuri,
bianco sonno!
Lo stranissimo giardino
di alberi che affondano in crepuscolo,
pieno di serpi, farfalle,
ragni, pipistrelli.
Straniero! La tua ombra perduta
nel rosso tramonto,
tenebroso corsaro
nel mare di sale dell'affanno.
Balzano svolazzando bianchi uccelli
lungo l'orlo della notte
su precipiti città
di acciaio.
Copertina dell'edizione Passigli (1992)

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