14 aprile 2021

"Strade blu" di William Least Heat-Moon: la vita vera scorre ai margini

Prima o poi capita a tutti di provare l'impellente bisogno di sparire per un po' di tempo dalla circolazione, per fuggire dallo stress, dall'ansia, dai problemi familiari e di lavoro. Pochi lo fanno per davvero, il senso del dovere e le responsabilità bloccano i più. William Least Heat-Moon, invece, rimasto improvvisamente senza moglie e disoccupato, seppe cogliere la palla al balzo. Nel marzo del 1978, dopo aver appreso che la moglie intendeva chiedere la separazione, caricò l'essenziale sopra un furgone Ford e partì per un itinerario circolare di tre mesi. Da Columbia, nel Missouri, girò gli Stati Uniti in lungo e in largo, in completa solitudine. 
Strade blu è l'appassionante resoconto di quella irripetibile esperienza di vita. Il libro fu inizialmente rifiutato da nove editori, per essere infine pubblicato da Little Brown con grande successo. Si pensi che la prima edizione rilegata di duecentotrentamila copie andò in breve esaurita, al punto che il romanzo fu ristampato in edizione economica con oltre un milione di copie vendute. A distanza di quarant'anni, può essere considerato un classico contemporaneo della narrativa on the road
Il viaggio pianificato da Heat-Moon aveva un'unica regola: seguire esclusivamente le strade secondarie, evitando le cosiddette Interstate. Nel complesso sistema della viabilità statunitense, le Interstate sono le nostre autostrade: larghe, infinite e trafficate, hanno contribuito a costruire l'immaginario collettivo americano, grazie soprattutto al cinema. Al di fuori del circuito delle Interstate Highways, c'è una viabilità secondaria che attraversa il territorio statunitense tagliato fuori dalle grandi rotte del traffico, che per questa ragione ha mantenuto salda la propria identità. Nelle antiche cartine stradali d'America, le strade secondarie erano tracciate in blu, mentre le autostrade erano segnate in rosso: da qui il titolo del romanzo. Le strade blu sono le arterie, le vene e i nervi che percorrono il corpo di un'America periferica e dimenticata, ricca di paesaggi straordinari e di personaggi indimenticabili. Non c'è itinerario migliore per conoscere il vero volto degli Stati Uniti, per risalire quasi alle radici dell'appartenenza e di un senso di comunità che altrove va sparendo. 
«Per quanto mi riguardava, le 42.500 miglia di autostrade larghe e diritte potevano anche andare all'inferno; io preferivo viaggiare sui tre milioni di miglia costituite dalle strade rurali americane, strette, tortuose e a due sole carreggiate, quelle cioè che portano a Podunk e Toonerville, tra i campi, i boschi, i piccoli borghi, gli stagni, le stazioncine sperdute, i punti panoramici e i paesini.» 
La breve citazione contiene in nuce il senso profondo del libro, che è la trascrizione dei taccuini di viaggio che l'autore compilava la sera, prima di addormentarsi nel retro del suo furgone, ribattezzato Ghost Dancing. Quali che fossero le ragioni del pazzesco itinerario, Least-Moon le utilizza solo come pretesti, senza addentrarsi troppo (o per nulla) in considerazioni filosofiche o divagazioni intellettualistiche. A lui interessano le strade, i bar e le osterie, la storia dei luoghi che attraversa, i pensieri della gente che incontra, anche le chiacchiere e gli sproloqui delle persone semplici. Eppure, assemblando tutti i pezzi e le considerazioni sparse tra le pagine, si arriva a comprendere lo spirito di un'America pura e profonda, che cerca nei limiti delle sue possibilità di resistere alle sirene del progresso e della globalizzazione
William Least Heat-Moon intraprese il viaggio per scacciare il malessere e riordinare le idee, perché «un uomo che non riesce a far quadrare le cose può sempre levare le tende». La partenza come fuga, dunque, l'allontanarsi dalle ansie del quotidiano per ritrovare una parte di sé. Andando oltre, e senza il timore di dire una banalità, si potrebbe affermare che la scoperta di un Paese recondito segue di pari passo la scoperta di sé. Per lo scrittore statunitense, riprendere in mano la propria identità significa in primis ricalcare le orme dei suoi antenati, costretti a migrare verso Ovest a causa della cupidigia dei bianchi che avevano invaso le terre abitate da millenni dai nativi. Il romanzo non lesina amare riflessioni sulla condizione degli indiani, sul razzismo, sul consumismo sfrenato, sul mito della proprietà privata e sull'ansia del possesso. Ciononostante, la narrazione non cede a tentazioni politiche o ideologiche, mantenendosi anzi leggera e piacevole dall'inizio alla fine. 
La scrittura di Heat-Moon, densa e particolareggiata, calza perfettamente su un'opera che va gustata a tappe, con la giusta lentezza e disposizione d'animo. Talvolta le lunghe carrellate di luoghi e personaggi rendono monotoni alcuni capitoli; è questo forse l'unico difetto. Eppure, nonostante le quasi cinquecento pagine, il libro scorre agevolmente, come le ruote del Ghost Dancing sull'asfalto consunto delle strade blu d'America. Consigliato soprattutto in questo periodo di limitazione della mobilità.
Copertina dell'edizione Einaudi del 1995

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