26 febbraio 2023

"La cascata" di David Vogel: voci dal sanatorio

Il "romanzo da sanatorio" è un vero e proprio genere letterario che si affermò tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX, quando la tubercolosi, il "male sottile", mieteva ancora tante vittime. Chi se lo poteva permettere, ovvero i ricchi borghesi e gli ultimi relitti dell'aristocrazia, trascorreva lunghi periodi nei sanatori situati in alta montagna e in altri luoghi ameni, dove era possibile respirare aria buona. In parte alberghi e in parte ospedali, i sanatori erano luoghi cosmopoliti in cui si radunava un'umanità varia: lì sbocciavano amori, si consumavano scandali, si celebravano feste e lutti, nascevano solide amicizie e si sviluppavano idee destinate a diffondersi anche al di fuori. Molti romanzi europei sono stati ambientati in questi luoghi, fino a farne una sorta di genere a sé; La montagna incantata di Mann è sicuramente il più celebre.
La cascata, di David Vogel (1891-1944), pur non essendo altrettanto famoso, riprende tutti i tòpoi del genere: l'ambientazione di alta montagna, la natura selvaggia, l'isolamento dal resto della civiltà, il sanatorio come hortus conclusus e microcosmo, una sorta di prigione dorata che separa i degenti dal consorzio degli uomini liberi. Si tratta di un romanzo breve (o, se si preferisce, di un racconto lungo) che segnalò il giovane scrittore ebreo nato in Ucraina come una delle voci più interessanti del primo dopoguerra. Purtroppo la sua promettente carriera letteraria fu stroncata dalla barbarie nazista nel campo di concentramento di Auschwitz.
La cascata è prima di tutto un romanzo corale. Invano si cercherà un protagonista, né lo si può individuare nel pingue e ipocondriaco Ornik, che pure è il personaggio principale. Protagonisti sono tutti i malati, seguiti nelle loro futili occupazioni quotidiane dall'occhio puntuale del narratore onnisciente. Prevalgono le scene corali che si svolgono sulla terrazza del sanatorio, oppure nelle altre aree comuni come il refettorio e la sala della socialità. In un ambiente così angusto e isolato ogni fatterello si ingigantisce e suscita chiacchiere, persino un pettegolezzo diventa un evento. Vogel lascia parlare i suoi personaggi, ne riporta fedelmente i discorsi, vacui o profondi che siano. Soprattutto concentra la sua attenzione su due classi di rapporti: quelli tra i malati e quelli tra questi ultimi e i sanitari. Il nucleo del libro è proprio nello svolgersi dei rapporti umani; anzi, si può affermare senza tema di smentita che nel romanzo non succede praticamente nulla. Il sanatorio è un microcosmo in cui il tempo è scandito da eventi risibili: la siesta, i pasti, la passeggiata pomeridiana, le fugaci visite dei dottori. E tuttavia è un microcosmo che riproduce prepotenze, meschinità e contraddizioni della società dei sani.
Il sanatorio di Vogel è un'istituzione soffocante, retta da regole rigide, impermeabile a ogni interferenza esterna. Eppure persino in questo ambiente chiuso si insinua la passione, una forza irresistibile che stravolge il soggiorno degli ospiti. Vittima di questo scherzo del destino è proprio il pingue Ornik, l'ipocondriaco che trascorreva le sue giornate steso a letto o impegnato in misurazioni compulsive della temperatura. Ornik è investito dalla passione, una pulsione folle e quasi animalesca che lo travolge come una cascata, trascinandolo in un gorgo da cui è impossibile uscire.
«Qualcosa di ribelle, di affatto incomprensibile si rivoltava contro l'ordine quotidiano che egli aveva fissato dal giorno in cui si era ammalato e contro il regime imposto dal sanatorio. […] Non badava più a quello che accadeva nel suo corpo malato, la sua tabella della temperatura mostrava una notevole negligenza, parlava a voce alta senza rendersene conto e non rinunciava a una sola passeggiata. Quell'Ornik, si può dire, era diventato un altro Ornik.»

Copertina dell'edizione Passigli

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