Tra tutte le figure di “briganti”
che la storia e le narrazioni popolari ci hanno tramandato, quella di Giuseppe
Tardio da Piaggine occupa un posto particolare, per almeno due ragioni. La
prima riguarda il suo status sociale: mentre la maggior parte dei briganti proveniva
dagli strati più miserabili della società – poveri braccianti, fittavoli
analfabeti, pastori, criminali comuni, soldati sbandati del disciolto esercito
borbonico – Tardio era un avvocato. Laureatosi in Legge nel 1858, decise, dopo
una parentesi antiborbonica, di aderire alla causa dei legittimisti, fondando
una delle bande più temute della Provincia di Principato Citra (l’attuale
Cilento e Vallo di Diano). Anziché sfruttare il proprio ruolo sociale e intraprendere una carriera, quella forense, che gli avrebbe garantito successi
e agiatezza, preferì rintanarsi sui monti e sostenere la causa antiunitaria.
Già questo aspetto contribuisce a sfatare un’inesattezza storica, delineando il
ruolo che le classi più elevate e le persone istruite ebbero nella lotta che
maturò dopo il 1860. Il secondo elemento di sicuro interesse è rappresentato
dalla natura eminentemente politica dell’azione rivoluzionaria di Tardio.
Ricevuto il grado di Maggiore direttamente dal Governo borbonico in esilio, il
piagginese agì al solo scopo di restaurare la legittima monarchia sul trono di
Napoli. Ogni sua azione venne presentata sotto le insegne di Francesco II, di
cui Tardio si qualificava come emissario ufficiale. L’aspetto eminentemente politico
dell’attività dell’avvocato cilentano porta a riconsiderare lo stesso termine
“brigantaggio”, che in tale ipotesi appare decisamente improprio, trattandosi
più che altro di un’azione legittimista e non di criminalità comune. Resta
quindi aperta una domanda: si può definire “brigante” un uomo le cui gesta, sia
pure contra legem, erano munite di legittimazione sovrana?
Tutti questi aspetti sono
chiaramente messi in luce nel saggio di Antonio Caiazza. Giuseppe Tardio.
Brigantaggio politico nel periodo postunitario in Provincia di Salerno è stato
pubblicato per la prima volta nel 1986, per poi essere ristampato, in edizione
riveduta, nel 2015 dalle Edizioni dell’Ippogrifo. Si tratta di un’opera
fondamentale per conoscere una vicenda forse poco nota a livello nazionale, ma
che cambiò profondamente il volto e la storia del Cilento. L’autore
ricostruisce con esattezza e ricchezza di dettagli l’impresa legittimista del
Tardio, dallo sbarco di Agropoli fino alla battaglia di Magliano Grande del
giugno del 1863, che di fatto pose termine alle scorrerie. Il resoconto di
tutte le azioni “brigantesche” è dettagliato e attento; Caiazza si avvale di
una mole sterminata di documenti, privilegiando soprattutto le fonti
giudiziarie, quali gli atti processuali: interi stralci di sentenze e di
verbali di udienza sono infatti riportati in nota e in appendice. L’autore
riesce abilmente ad evitare toni apologetici, mantenendo uno stile neutro e
distaccato, che non dà giudizi e lascia al lettore ogni valutazione in merito.
La figura di Tardio che emerge dal libro appare così bifronte: da un lato, ci
appare come il paladino degli oppressi contro gli oppressori; dall’altro, però,
non si possono tacere le violenze e le grassazioni che avvennero in nome del Re
considerato legittimo.
Il libro, inoltre, è arricchito da
foto e documenti dell’epoca (anche autografi dello stesso Tardio), tabelle e schemi
riassuntivi. Ma non è semplicemente un lavoro sull’operato del legale
piagginese; il libro è un quadro vivido del Cilento (e, più in generale,
dell’Italia meridionale) negli anni che seguirono l’unificazione, un resoconto
puntuale che consente al lettore di comprendere le ragioni dei vincitori e dei
vinti, nonché il modus operandi – egualmente spietato e contrario alla legge –
degli uni e degli altri. Lo si può leggere, dunque, secondo due prospettive: o
come biografia di un personaggio a suo modo eccezionale, oppure come completamento
di uno studio di più ampia portata sul cosiddetto brigantaggio postunitario.
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