8 ottobre 2015

Alla scoperta di Wilko Johnson & The Solid Senders

Se compri un LP a due euro, il rischio è maggiore del possibile beneficio. E non parlo della perdita economica, ma dell’azzardo di poter esporre le orecchie ad una tortura immeritata. Ho capito che quando un vinile si trova ad un prezzo irrisorio sui banchi di un mercatino dell’usato, i casi sono tre. O si tratta della solita spazzatura dance-soul-pop anni Settanta-Ottanta con copertine tra il pessimo e l’ammiccante (nel 95% dei casi), oppure di una pietra miliare della storia della musica, che l’incauto commerciante non è consapevole di svendere ad un cinquantesimo del suo valore reale (2,5% dei casi). Residua un’ultima, sia pur marginale, possibilità: quella di aver adocchiato in mezzo a tanto ciarpame, e per giunta al prezzo di un astuccio di Big-babol, un decente disco di un artista ignoto ai più, quasi nuovo perché suonato pochissime volte. L’album ti attira perché, sebbene non hai la più pallida idea di quale sia il suo contenuto, strizza l’occhio a qualcosa che conosci, ha un’aria familiare e rassicurante. E quando lo ascolti, ti convinci definitivamente di aver fatto l’affare.
È quello che mi è accaduto con questo primo, omonimo e unico LP dei Solid Senders, misconosciuta (almeno per me) band inglese di fine Settanta. Mi sono imbattuto in una copertina che ricorda molto Marquee moon dei Television: i quattro del complesso in atteggiamento tra il serio e il minaccioso, con il leader in primo piano che pare un Tom Verlaine meno emaciato e più incazzato, con uno sguardo folle di sfida e tutto vestito di nero, dalla giacca alla camicia tutta abbottonata. Poi vengo a scoprire che il tizio, che risponde al nome di Wilko Johnson, è una celebrità nel Regno Unito, per essere stato il chitarrista dei leggendari Dr. Feelgood. E proprio per i dissapori con gli altri componenti della sua vecchia band, Wilko se ne andò sbattendo la porta e fondando nel 1978 i Solid Senders, assieme ad Alan Platt (batteria), Steve Lewins (basso) e John Potter (tastiere).
Quando il disco inizia a girare sul piatto è subito chiaro che non si tratta di punk, né di nascente new wave alla Television: è blues-rock, il primo amore di Wilko, quello mai abbandonato. Il gruppo propone un suono contaminato in parte dal beat (Beatles, Kinks) e, sia pure in misura minore, dal garage. È un lavoro onesto, che lascia trasparire la tecnica cristallina di Wilko. Restano nella memoria specialmente i pezzi della prima facciata, quali Blazing fountains, You’re in my way e First thing in the morning (impreziosita dal sax).
Il disco scorre via nelle sue undici tracce senza alti né bassi, sempre sulla stessa falsariga, senza raggiungere picchi significativi ma lasciando soddisfatto l’ascoltatore. Insomma, se lo trovate abbandonato e dimenticato sopra un polveroso banco dell’usato, ricordatevi dell’immagine qui sotto e compratelo.
Copertina del disco. Foto tratta da vynilrock.net
Su YouTube ci sono molti video per poter apprezzare la perizia tecnica di Wilko Johnson, coi suoi completi neri, l’aria assonnata e spettinata, le smorfie continue e il celebre incedere “da papera” sul palco. Uno fra i tanti è questo.

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