Se compri un LP a due
euro, il rischio è maggiore del possibile beneficio. E non parlo della perdita
economica, ma dell’azzardo di poter esporre le orecchie ad una tortura
immeritata. Ho capito che quando un vinile si trova ad un prezzo irrisorio sui
banchi di un mercatino dell’usato, i casi sono tre. O si tratta della solita
spazzatura dance-soul-pop anni Settanta-Ottanta con copertine tra il pessimo e
l’ammiccante (nel 95% dei casi), oppure di una pietra miliare della storia
della musica, che l’incauto commerciante non è consapevole di svendere ad un
cinquantesimo del suo valore reale (2,5% dei casi). Residua un’ultima, sia pur
marginale, possibilità: quella di aver adocchiato in mezzo a tanto ciarpame, e per
giunta al prezzo di un astuccio di Big-babol, un decente disco di un artista
ignoto ai più, quasi nuovo perché suonato pochissime volte. L’album ti attira
perché, sebbene non hai la più pallida idea di quale sia il suo contenuto,
strizza l’occhio a qualcosa che conosci, ha un’aria familiare e rassicurante. E
quando lo ascolti, ti convinci definitivamente di aver fatto l’affare.
È quello che mi è
accaduto con questo primo, omonimo e unico LP dei Solid Senders, misconosciuta
(almeno per me) band inglese di fine Settanta. Mi sono imbattuto in una
copertina che ricorda molto Marquee moon dei Television: i quattro del complesso
in atteggiamento tra il serio e il minaccioso, con il leader in primo piano
che pare un Tom Verlaine meno emaciato e più incazzato, con uno sguardo folle
di sfida e tutto vestito di nero, dalla giacca alla camicia tutta abbottonata.
Poi vengo a scoprire che il tizio, che risponde al nome di Wilko Johnson, è una
celebrità nel Regno Unito, per essere stato il chitarrista dei leggendari Dr.
Feelgood. E proprio per i dissapori con gli altri componenti della sua vecchia
band, Wilko se ne andò sbattendo la porta e fondando nel 1978 i Solid Senders,
assieme ad Alan Platt (batteria), Steve Lewins (basso) e John Potter
(tastiere).
Quando il disco inizia
a girare sul piatto è subito chiaro che non si tratta di punk, né di nascente
new wave alla Television: è blues-rock, il primo amore di Wilko, quello mai
abbandonato. Il gruppo propone un suono contaminato in parte dal beat (Beatles,
Kinks) e, sia pure in misura minore, dal garage. È un lavoro onesto, che lascia
trasparire la tecnica cristallina di Wilko. Restano nella memoria specialmente i
pezzi della prima facciata, quali Blazing fountains, You’re in my way e First thing
in the morning (impreziosita dal sax).
Il disco scorre via nelle sue undici
tracce senza alti né bassi, sempre sulla stessa falsariga, senza raggiungere
picchi significativi ma lasciando soddisfatto l’ascoltatore. Insomma, se lo trovate
abbandonato e dimenticato sopra un polveroso banco dell’usato, ricordatevi
dell’immagine qui sotto e compratelo.
Copertina del disco. Foto tratta da vynilrock.net
Su YouTube ci sono
molti video per poter apprezzare la perizia tecnica di Wilko Johnson, coi suoi
completi neri, l’aria assonnata e spettinata, le smorfie continue e il celebre
incedere “da papera” sul palco. Uno fra i tanti è questo.
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