Nel corso della Prima
guerra mondiale, uno squadrone di cavalleria viene inviato alle pendici dei
Carpazi ungheresi per una rischiosa missione ricognitiva. Scopo dell’operazione
è quello di rilevare la posizione dei russi, senza ingaggiare alcun
combattimento. Il comandante della spedizione, però, incurante del pericolo e
guidato soltanto da una smodata ambizione, disobbedisce agli ordini e manda lo
squadrone incontro al nemico. Giunti in prossimità di un ponte sul fiume
Ondava, i cavalieri si lanciano all’attacco contro la fanteria russa
asserragliata sull’altra sponda. Ed è a questo punto che gli eventi prendono
una piega inaspettata, di cui il lettore avrà contezza solo nelle ultime
pagine.
Questa, in sintesi, la
trama de Il barone Bagge, breve romanzo del 1936 di Alexander Lernet-Holenia
(1897-1976), scrittore austriaco molto celebrato in patria, meno conosciuto in
Italia. La sua produzione è stata molto varia, comprendendo romanzi, raccolte
di racconti, poesie, saggi, sceneggiature per il cinema e traduzioni; tra
queste ultime, famosa in particolare quella dei Promessi Sposi (Die Verlobten). Si deve alla casa
editrice Adelphi il merito di aver fatto conoscere anche nel nostro Paese il
suo nome.
Il barone Bagge è un
racconto che può essere diviso in due parti, antitetiche e speculari come lo
sono la vita e la morte, il sonno e la veglia. La prima si chiude proprio
nel momento in cui lo squadrone di cavalleria si lancia all’attacco suicida,
attraversando il ponte sull’Ondava sotto il fuoco dell’artiglieria russa. A
questo punto vi è una cesura, un taglio netto che non riguarda soltanto la
narrazione, ma coinvolge le stesse categorie dello spazio e del tempo,
destinate a trovare una composizione, sia pur precaria, soltanto nel sorprendente
finale.
Il libro condivide
diversi aspetti con le opere di un altro grande narratore austriaco, Arthur
Schnitzler. Rimane, tuttavia, una differenza di fondo: mentre in Schnitzler il
contrasto sogno/realtà è determinato dal disturbo psichico, ossia dalla
psicopatologia, in Lernet-Holenia vi è una piena compenetrazione tra le
due dimensioni, sì che non è possibile scinderle. Il sogno, cioè, ha la
medesima consistenza del reale, così come la stessa realtà non è altro che
sogno. L’ambiguità connota la stessa esistenza umana, sino a riflettersi sul
binomio vita/morte, che, ad avviso di Lernet-Holenia, sono concetti relativi, questioni
di punti di vista. La tesi dell’autore austriaco è tanto semplice quanto
paradossale: noi siamo abituati a chiamare morte ciò che per altri è vita, e
siamo soliti chiamare sogno ciò che per altri è realtà. D’altronde, il tema non
è nuovo nella letteratura: non era stato forse Shakespeare, già nel Seicento, a
sostenere che siamo fatti della stessa sostanza dei sogni?
La vicenda si dipana
tra acquitrini e insidiose nebbie, vulcani spenti e cittadine animate da un
lieve sentore di morte, il tutto con uno stile ottocentesco, corposo, vivido,
magnificamente suggestivo. Un’originale proposta di lettura, indispensabile per
chi ha già avuto modo di apprezzare un autore come Schnitzler.
Conosco abbastanza bene Schnitzler, per aver letto alcuni suoi libri, ma non avevo mai sentito parlare di questo autore di cui proponi la lettura in maniera così convincente. E' da tenere senz'altro in considerazione.
RispondiEliminaGrazie mille Remigio per la visita e il commento. Se avrai modo di leggerlo, saró felice di sentire le tue impressioni.
RispondiEliminaHo da poco pubblicato una recensione di un libro di Schnitzler (Therese) sul mio blog...terrò presente l'opera che proponi per le mie prossime letture. Grazie e un caro saluto
RispondiEliminaGrazie Gilda! Sono autori diversi, anche se con dei punti di contatto. Aspetterò un tuo commento quando avrai letto il libro.
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