16 aprile 2017

I Diaframma tra punk e canzone d'autore: "Anni luce"

L’odore delle rose è una potenziale hit, una di quelle canzoni destinate ad essere canticchiate persino dal grande pubblico, se venissero passate in continuazione in radio o in televisione. Resta invece un gioiello per pochi e forse è meglio così. Sarebbe comunque riduttivo considerarlo solo un grande pezzo: è una dichiarazione di intenti, un’esplosione di energia e rabbia, un distillato di verità. Si ascoltino i primi, profetici versi: «l’odore delle rose è una reazione chimica, se un giorno lo scoprissi non lo ameresti più». La canzone apre Anni luce (Abraxas records, 1992), secondo disco dei Diaframma post-Sassolini, seconda prova di Fiumani alla voce. Del gruppo originario è rimasto solo lui, coadiuvato da Valter Poli al basso, Alessio Riccio alla batteria e Riccardo Onori alla seconda chitarra. Rispetto al precedente In perfetta solitudine (1990), Anni luce è un lavoro più meditato, di impatto quasi cantautoriale; se nel primo prevalgono urgenza, rabbia, voglia di riscatto e la dimostrazione di potercela fare anche da solo, nel secondo dominano i toni morbidi e si nota una maggiore consapevolezza delle proprie doti autoriali. Mancano forse i grandi inni (si pensi a Gennaio, Beato me, Verde, Trecento balene), ma ci sono pezzi più complessi, che necessitano di un livello superiore di elaborazione, come La mia vita con una dea, Ridendo e Le alpi.
La voce di Fiumani è la solita: ineducata, sofferta, strozzata, in una parola asimmetrica. Di certo chi lo apprezza non cerca la bella voce, eppure il suo canto-non canto, quasi recitato, possiede la capacità di inchiodarci a verità indiscutibili, con frasi semplici a cui riesce a dare un impatto di autorità e autenticità. E anche quando canta versi improbabili («andiamo ad immolarci nel centro di Sassari»), lo fa con naturalezza, senza la pretesa di nascondersi dietro frasi volutamente ambigue o incomprensibili. Fiumani non è un cantautore impegnato, non vuole redimere l’uomo o risolvere i problemi del mondo. Più semplicemente (ma semplice non lo è affatto), mette a nudo su disco le proprie emozioni, tira fuori dal cilindro storie malinconiche di donne o perverse di sesso, frammenti d’infanzia e mali esistenziali, racconti di una vita simile ad «una curva impazzita che mai retta sarà». La dimensione intima è stata sempre presente nei suoi lavori, sin dagli albori; si potrebbe però dire che in Anni luce viene fuori prepotentemente l’uomo-Fiumani, che senza infingimenti racconta storie sempre sofferte e conturbanti.
Il lato A contiene una sequenza formidabile. Dopo la morbida L’odore delle rose, viene rievocato un viaggio dell’adolescenza con la tiratissima Le alpi, che rispolvera le chitarre dure e il canto urlato. I toni si dilatano con la meravigliosa ballata La mia vita con una dea, una perfetta sintesi di ispirazione, testo e interpretazione, che da sola spiega perché Federico Fiumani vada adorato. Seguono due classici del repertorio, la ritmata La densità della nebbia e la divertente Palla di burro.
Il lato B si apre con Un’altra volta, forse il pezzo più duro dell’album. Nel tuo mondo, invece, è un compendio del Fiumani cantautore, grazie ad una chitarra morbida che non disdegna improvvise accelerazioni nel ritornello e con un’attitudine punk nella voce, che sa quando alzare i toni. Stessi elementi che ritroviamo nella successiva Guida tu, mentre Ridendo è una classica ballata "diaframmatica", che trasuda voglia di affrancamento da una vita balorda.
Fino a poco tempo fa il disco era praticamente introvabile; nel 2016 la benemerita Contempo records lo ha ristampato su vinile. Le dimensioni dell’LP consentono di ammirare meglio la deliziosa copertina, chiaro omaggio a The freewheelin’ Bob Dylan. Sono passati venticinque anni dal 1992, ma Anni luce mantiene ancora tutta la freschezza di una gemma rara nel panorama musicale italiano dei Novanta. D’altronde, «cambia forse lo scenario, cambia il gusto, ma che fa?».
 

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