L’odore delle rose è una
potenziale hit, una di quelle canzoni destinate ad essere canticchiate persino
dal grande pubblico, se venissero passate in continuazione in radio o in
televisione. Resta invece un gioiello per pochi e forse è meglio così. Sarebbe
comunque riduttivo considerarlo solo un grande pezzo: è una dichiarazione di
intenti, un’esplosione di energia e rabbia, un distillato di verità. Si
ascoltino i primi, profetici versi: «l’odore
delle rose è una reazione chimica, se un giorno lo scoprissi non lo ameresti
più». La canzone apre Anni luce
(Abraxas records, 1992), secondo disco dei Diaframma post-Sassolini, seconda
prova di Fiumani alla voce. Del gruppo originario è rimasto solo lui,
coadiuvato da Valter Poli al basso, Alessio Riccio alla batteria e Riccardo
Onori alla seconda chitarra. Rispetto al precedente In perfetta solitudine (1990), Anni
luce è un lavoro più meditato, di impatto quasi cantautoriale; se nel primo
prevalgono urgenza, rabbia, voglia di riscatto e la dimostrazione di potercela
fare anche da solo, nel secondo dominano i toni morbidi e si nota una maggiore
consapevolezza delle proprie doti autoriali. Mancano forse i grandi inni (si
pensi a Gennaio, Beato me, Verde, Trecento
balene), ma ci sono pezzi più complessi, che necessitano di un livello
superiore di elaborazione, come La mia
vita con una dea, Ridendo e Le alpi.
La voce di Fiumani è la solita: ineducata, sofferta, strozzata, in una
parola asimmetrica. Di certo chi lo apprezza non cerca la bella voce, eppure il
suo canto-non canto, quasi recitato, possiede la capacità di inchiodarci
a verità indiscutibili, con frasi semplici a cui riesce a dare un impatto di
autorità e autenticità. E anche quando canta versi improbabili («andiamo ad immolarci nel centro di Sassari»),
lo fa con naturalezza, senza la pretesa di nascondersi dietro frasi volutamente
ambigue o incomprensibili. Fiumani non è un cantautore impegnato, non vuole
redimere l’uomo o risolvere i problemi del mondo. Più semplicemente (ma semplice
non lo è affatto), mette a nudo su disco le proprie emozioni, tira fuori dal
cilindro storie malinconiche di donne o perverse di sesso, frammenti d’infanzia
e mali esistenziali, racconti di una vita simile ad «una curva impazzita che mai retta sarà». La dimensione intima è
stata sempre presente nei suoi lavori, sin dagli albori; si potrebbe però dire
che in Anni luce viene fuori
prepotentemente l’uomo-Fiumani, che senza infingimenti racconta storie sempre sofferte
e conturbanti.
Il lato A contiene una sequenza formidabile. Dopo la morbida L’odore delle rose, viene rievocato un
viaggio dell’adolescenza con la tiratissima Le
alpi, che rispolvera le chitarre dure e il canto urlato. I toni si dilatano
con la meravigliosa ballata La mia vita
con una dea, una perfetta sintesi di ispirazione, testo e interpretazione,
che da sola spiega perché Federico Fiumani vada adorato. Seguono due classici
del repertorio, la ritmata La densità
della nebbia e la divertente Palla di
burro.
Il lato B si apre con Un’altra
volta, forse il pezzo più duro dell’album. Nel tuo mondo, invece, è un compendio del Fiumani cantautore, grazie
ad una chitarra morbida che non disdegna improvvise accelerazioni nel
ritornello e con un’attitudine punk nella voce, che sa quando alzare i toni.
Stessi elementi che ritroviamo nella successiva Guida tu, mentre Ridendo
è una classica ballata "diaframmatica", che trasuda voglia di affrancamento da una
vita balorda.
Fino a poco tempo fa il disco era praticamente introvabile; nel 2016 la benemerita
Contempo records lo ha ristampato su vinile. Le dimensioni dell’LP consentono di
ammirare meglio la deliziosa copertina, chiaro omaggio a The freewheelin’ Bob Dylan. Sono passati venticinque anni dal 1992,
ma Anni luce mantiene ancora tutta la
freschezza di una gemma rara nel panorama musicale italiano dei Novanta.
D’altronde, «cambia forse lo scenario, cambia il gusto, ma che fa?».
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