Nessuna resa mai non è
solo il titolo del secondo album di Massimo Priviero, uscito nel 1990. È
piuttosto il manifesto di un artista che ha avuto la coerenza e il coraggio di
non conformarsi alle dinamiche del mercato e di seguire la propria strada,
anche a costo di rinunciare ad una più ampia popolarità. Nessuna resa mai è dunque prima di tutto uno slogan, divenuto negli
anni titolo onorifico, a garanzia di una musica indipendente e senza
compromessi.
Grande era l’attesa intorno a Priviero quando il disco uscì, dopo gli
ottimi riscontri di pubblico e di critica che aveva suscitato il lavoro
d’esordio, San Valentino (1988). Il
musicista si presentò alla seconda prova con il peso di una grande
responsabilità sulle spalle; basti pensare che l’etichetta discografica, la Warner,
si prodigò parecchio nella produzione e nella promozione del nuovo LP dello
“Springsteen italiano”. Non a caso, produzione e arrangiamenti furono affidati al
grande Little Steven, storico chitarrista della E Street Band, chiamato
direttamente dagli Stati Uniti per definire e perfezionare il suono. Little
Steven suonò anche le parti di chitarra acustica in diversi brani, assieme ad
una formazione di tutto rispetto che comprendeva, tra gli altri, Lele Melotti
alla batteria, Lucio “Violino” Fabbri e Flavio Premoli alla fisarmonica.
Nove le tracce. Apre Angel, una
classica ballata rock con le chitarre in evidenza, che fa da preludio all’incalzante
Dormirò (quando sarò morto), in cui Priviero
sfodera il suo piglio aggressivo. Un discorso a parte merita la celebre title-track, un vero e proprio inno che
incita a seguire la propria strada senza arrendersi. Egualmente ispirate le ballate
prevalentemente acustiche, come La storia
di Jerry e la conclusiva Un amico irlandese.
Priviero racconta la vita vera, non fa politica e non è il menestrello di
un’ideologia; nel solco della tradizione del rock di oltreoceano, la strada è
la vera protagonista del disco, crocevia di storie e abbandoni (Un amico irlandese), cornice di una vita
ai margini (Suonando sui marciapiedi)
o di vicende di emigrazione (La storia di
Jerry). Il suo è un rock senza fronzoli, ammansito dal gusto della melodia,
in cui predominano le chitarre acustiche ed elettriche. Il linguaggio,
essenziale e diretto, contribuisce a definire il quadro d’insieme del disco,
forse poco incisivo in alcuni punti, ma certamente coeso dall’inizio alla fine.
“Steven, non ho parole per dirti
grazie”, scrive Priviero nei ringraziamenti dell’album, a voler rafforzare
l’impronta decisiva del musicista e produttore italo-americano. Se certamente la
mano di Little Steven si fa sentire negli arrangiamenti, la buona riuscita del
disco è dovuta principalmente alle doti di scrittura di Priviero, capace di
allontanarsi dalla gabbia del cantautorato italiano per intraprendere una
strada innovativa e in salita. Nessuna
resa mai è un LP che in alcuni momenti risente un po’ del peso degli anni,
ma a distanza di quasi sei lustri resta uno dei pochi pilastri del rock cantato
in italiano, o meglio, di una certa canzone rock all’italiana.
La copertina dell'album
Massimo Priviero e Little Steven (foto tratte dalla busta interna del disco)
Nessun commento:
Posta un commento
Commenta l'articolo!