«Ecco / io e te, Meridione, / dobbiamo parlarci una volta, / ragionare
davvero con calma, / da soli, / senza raccontarci fantasie / sulle nostre
contrade. / Noi dobbiamo deciderci / con questo cuore troppo cantastorie». Così
scriveva il poeta calabrese Franco Costabile, e non è un caso che Vito Teti
abbia utilizzato le sue parole in chiusura dell'interessante saggio Maledetto
Sud, edito nel 2013 per Einaudi. Si potrebbe sostenere che la lirica di
Costabile riassuma magistralmente la tesi portata avanti dal professor Teti: i
meridionali non potranno mai affrancarsi dai pregiudizi fin quando non
abbandoneranno l'atteggiamento ambivalente e ondivago di contemporaneo
autocompiacimento e autocommiserazione. Bisogna dunque sedersi e saper
guardare in faccia la realtà, andare oltre le immagini edulcorate di un
Meridione mitico, che forse non è mai esistito, saper ragionare, per l'appunto,
togliendosi la maschera.
«Per sfoltire, sfrondare, attenuare, annullare, rovesciare le immagini negative costruite contro i meridionali è necessario andare dentro di noi. È necessario guardare nelle nostre profondità. Non possiamo tollerare pregiudizi e stereotipi, ma non possiamo sopportare gli imbrogli, le menzogne, gli inganni perpetrati in nome di un “noi” nel quale non vogliamo riconoscerci.»Maledetto Sud è un saggio breve, di agevole lettura, che si propone di affrontare con obiettività, e magari smontare, tutti i pregiudizi antimeridionali che si sono sedimentati nei secoli. Oziosi, lenti, sudici, maledetti, pittoreschi, briganti, mafiosi, camorristi sono solo alcune delle espressioni ingiuriose, a cui l'Autore dedica capitoli specifici. Oppure ancora l'onnipresente melanconia, un misto di dolore, rassegnazione e rimpianto che assume valenza quasi patologica nei giudizi impietosi di “nordici” e stranieri. La validità culturale e scientifica dell'opera sta nel tono complessivo: Teti si guarda bene dall'assumere l'atteggiamento tra il piagnucoloso e il revanscista che caratterizza gran parte della letteratura neomeridionalistica degli ultimi anni, da lui biasimata e liquidata con poche righe sibilline. Il professor Teti dimostra di essere un profondo conoscitore della materia, circostanza che gli consente di non indulgere nel pietismo; è proprio questa visione partecipe e al contempo distaccata ad offrire una difesa adeguata e a rendere giustizia al Meridione.
Si pensi al meraviglioso capitolo in cui viene affrontato uno dei più antichi pregiudizi, secondo cui i meridionali sarebbero “oziosi e lenti”. L'Autore dimostra che la verità è un'altra; la civiltà contadina era una realtà in perpetuo movimento, fatta di gente dinamica e operosa, che usciva di casa all'alba e tornava al crepuscolo, portando con sé soltanto un tozzo di pane nero, magari condito con grasso di maiale, ché l'olio era roba da ricchi. «Davvero era tutta una corsa quella che vivevano le figure di un universo errante», scrive Teti, riassumendo in modo esemplare il discorso. La stessa parola “terrone”, pur avendo un senso spregiativo, rivela un attaccamento industrioso ad una terra dura, amara, resa fertile dalle lacrime e dal sudore della fronte.
Oppure, si leggano le pagine dedicate al tentativo post-risorgimentale di costruire, accanto ad «un Sud criminale e maledetto», l'immagine opposta «di un Sud pittoresco da inserire in una cornice nazionale». Anche qui l'Autore calabrese oppone una visione critica, ricordando come l'idea del Mezzogiorno quale luogo magico, naturale e selvaggio, opposto al Nord industrializzato e razionale, abbia di fatto aperto la strada ad una “etnicizzazione del folclore”. Ciò ha fatto prevalere nell'immaginario collettivo gli elementi essenzialmente pittoreschi di un territorio in realtà molto più complesso, fatto di particolarismi culturali, storici e geografici, ricco di città, rovine, castelli, monumenti, arricchito da un rapporto sempre fecondo con il mare.
Il merito del professore calabrese sta nella capacità di rovesciare molti stereotipi, senza tuttavia diffondersi in elogi o retoriche celebrative, guardandosi bene dall'esaltare un presunto passato mitico o dal cavalcare la vulgata neoborbonica. Se dovessi individuare il maggiore pregio del libro, direi che è la lucidità dell'analisi; Teti scruta la materia con lo sguardo obiettivo dello scienziato, indaga le ragioni profonde di ogni stereotipo, evidenziando ciò che è veritiero e quanto è tendenzioso. Dove può, oppone le buone pratiche e gli esempi contrari, ma non nega mai i problemi reali. È per l'appunto il sapersi guardare dentro, di cui ragionava il poeta Franco Costabile. Un suggerimento prezioso e ancora attuale, che Vito Teti ha saputo cogliere perfettamente.
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