Ci sono
libri volutamente ambigui, dal sapore incerto. Terminata la lettura, risulta
difficile esprimere un giudizio definitivo, si è dubbiosi sul come rispondere
alla domanda più classica e banale: mi è piaciuto oppure no? Coral Glynn (2012),
per quanto mi riguarda, rientra a pieno titolo nella categoria. Per giunta,
come ho avuto modo di verificare, la mia non è un'opinione isolata; i lettori sono
divisi e le recensioni oscillano tra recise stroncature, giudizi entusiastici,
valutazioni incerte e dubitative. Molti lo paragonano ad altri lavori dello
scrittore americano, giudicandolo inferiore. L'unico mio metro di paragone è
costituito da Un giorno questo dolore ti sarà utile, letto qualche anno fa e
presto dimenticato, nonostante sia considerato un libro di culto. Ritengo
invece che Coral Glynn mi abbia lasciato un segno più profondo, forse proprio
per la sua ambiguità, che lo rende difficile da classificare.
La trama in sé non è particolarmente originale, anzi ha quasi il sapore del melodramma o del romanzo d'appendice. Coral ha poco più di vent'anni e da due è infermiera a domicilio; non ha nessuno al mondo, eccetto una zia con cui non ha rapporti. L'unica persona che ha amato, il fratello, è morto in guerra. Nella primavera del 1950 accetta l'incarico di assistere la signora Hart, gravemente malata e prossima alla fine. L'anziana vive a Villa Hart, una sorta di claustrofobico mausoleo dove tutto sembra asettico e immoto, ma basta aprire i cassetti per cogliere le tracce di una vita amara e dolorosa. Nella magione dimora anche il figlio della padrona di casa, il maggiore Clement Hart, un uomo reso solitario e spigoloso dalle ferite rimediate in guerra. Sarà lui a chiedere a Coral di sposarlo, più per alleviare le reciproche solitudini che per reale sentimento. Da questa improvvida proposta si scateneranno una serie di eventi che stravolgeranno l'esistenza dei protagonisti, fino al sorprendente finale. Questo è in parole povere l'intreccio, senza voler svelare troppi particolari.
La trama in sé non è particolarmente originale, anzi ha quasi il sapore del melodramma o del romanzo d'appendice. Coral ha poco più di vent'anni e da due è infermiera a domicilio; non ha nessuno al mondo, eccetto una zia con cui non ha rapporti. L'unica persona che ha amato, il fratello, è morto in guerra. Nella primavera del 1950 accetta l'incarico di assistere la signora Hart, gravemente malata e prossima alla fine. L'anziana vive a Villa Hart, una sorta di claustrofobico mausoleo dove tutto sembra asettico e immoto, ma basta aprire i cassetti per cogliere le tracce di una vita amara e dolorosa. Nella magione dimora anche il figlio della padrona di casa, il maggiore Clement Hart, un uomo reso solitario e spigoloso dalle ferite rimediate in guerra. Sarà lui a chiedere a Coral di sposarlo, più per alleviare le reciproche solitudini che per reale sentimento. Da questa improvvida proposta si scateneranno una serie di eventi che stravolgeranno l'esistenza dei protagonisti, fino al sorprendente finale. Questo è in parole povere l'intreccio, senza voler svelare troppi particolari.
Cos'è allora che
rende memorabile il libro? La risposta è semplice: i personaggi. Tutti, dai
protagonisti alle figure di contorno, sono caratterizzati da una irresolutezza
profonda e invincibile, che impedisce loro di orientarsi verso il meglio negli
affetti, nelle scelte di vita, negli ideali. Sono figure tridimensionali, più
sfaccettate dei caratteri da feuilleton. Sebbene siano degli irrisolti, non
hanno la maturità di cercare una strada che li elevi, ma si arrendono
passivamente alla loro condizione (Coral), o al massimo cercano
artificiosamente e senza convinzione di mutarla (Clement). C'è poi chi arriva
finanche a forzare la propria natura (Robin), o chi nasconde il proprio
fallimento dietro un'esistenza di facciata (Dolly). Sono figure amare e grigie,
che non trovano nell'amore una forza consolante per andare avanti e dare un
senso all'esistenza; anzi, è proprio nel mettere alla prova i propri sentimenti
che sperimentano il senso profondo del fallimento. Coral è l'emblema di questa
triste condizione umana; è un personaggio novecentesco, che si lascia vivere
senza domandarsi le ragioni di ciò che le accade intorno, salvo qualche slancio
emotivo che non va al di là della sterile vendetta o della negazione immotivata
di una serenità a portata di mano, che tuttavia non sa comprendere né
afferrare. È dunque scontato che personaggi
così volubili e poco incisivi siano destinati a cozzare contro il muro di una
realtà spietata, che non ammette incertezze e disincanto. Il finale è all'apparenza
consolatorio, sembra volerci dire che il dolore è una tappa intermedia nel
tragitto per la realizzazione di sé. Ma è davvero così, oppure avanzano ombre
anche sull'apparente serenità infine raggiunta dai personaggi? La risposta non
è data, spetta a ciascun lettore cercarla.
Coral Glynn è un romanzo che si
legge tutto d'un fiato, soprattutto perché Cameron ha preferito i dialoghi
secchi alle lunghe descrizioni. E tuttavia non sfuggirà al lettore attento che
proprio nelle parti descrittive vengono raggiunti i punti più alti del libro,
mentre i discorsi dei personaggi hanno sovente accenti manieristici, quasi
grotteschi, che li rendono poco credibili. Una storia
del genere, dai marcati tratti drammatici, potrebbe rendere bene sul grande
schermo, e anzi forse ne guadagnerebbe in espressività. Un consiglio ai
registi: fateci un pensiero!
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