29 marzo 2022

Il canto del cigno della commedia all'italiana: "Lo zio indegno"

Franco Brusati è stato un regista che ha attraversato senza grandi clamori la più feconda stagione del cinema nostrano. Tra gli anni Cinquanta e Ottanta ha diretto appena otto lungometraggi, sebbene la sua carriera di sceneggiatore sia stata molto prolifica. È ricordato principalmente per lo struggente Pane e cioccolata, inserito nella prestigiosa lista dei "100 film italiani da salvare". L'ultima sua fatica dietro la macchina da presa è stata invece una commedia solo all'apparenza leggera, Lo zio indegno, uscita nelle sale nel 1989.

Lo zio del titolo è Luca, interpretato da Vittorio Gassman. Luca è un professore in pensione, scapolo, indolente e guascone. Non ha perso la spensieratezza dei vent'anni e trascorre le giornate in compagnia di giovani amiche e amanti, oppure in solitaria nella sua disordinata mansarda da bohémien fuori tempo massimo, circondato dagli amati libri di poesia. Il nipote è il serioso Riccardo (Giancarlo Giannini), quasi cinquantenne, un facoltoso imprenditore sposato con prole. I due si erano persi di vista da decenni, ma il ricovero ospedaliero di zio Luca per un malore diventa l'occasione per riallacciare i rapporti. Riccardo si offre disinteressatamente di aiutare lo zio, fino a coinvolgerlo nuovamente e con esiti imprevedibili nella sua vita.
Brusati mette in scena la tematica del contrasto, vero filo conduttore della pellicola. Riccardo e zio Luca rappresentano due mondi opposti e apparentemente inconciliabili. Il primo è operoso, serio, rispettato e rispettabile, un self-made man ancorato alla solida realtà e al denaro. Il secondo è ozioso, buffonesco, screditato dai suoi simili, un Peter Pan ancorato all'evanescente sostanza di cui sono fatti i sogni.
Si potrebbe affermare che Lo zio indegno sia il canto del cigno della commedia all'italiana, uno spartiacque tra il cinema politico del passato e le pellicole disimpegnate degli anni a venire. È forse uno dei migliori resoconti di un'epoca più spensierata e felice dell'attuale, quegli anni Ottanta in cui un'Italia ottimista usciva dal tunnel del terrorismo e si scopriva nazione di successo all'apice del benessere. Riccardo è il simbolo di quella storia di successi: è titolare di una solida impresa, ha una villa zeppa di diavolerie elettroniche, guida l'ammiraglia Alfa 164, cena in ristoranti di lusso. Egli nasconde però un profondo male di vivere. Ecco perché il lungometraggio, pur non potendo definirsi "d'impegno", è solo all'apparenza leggero, come dimostra l'amaro finale. Non lo si può dunque completamente sciogliere da una connotazione, sia pur latamente, politica. Se infatti la politica è visione di vita e prassi dell'agire quotidiano, ne Lo zio indegno si contrappongono due punti di vista sul mondo, ciascuno portatore di una propria verità. Inevitabilmente l'antitesi è impersonata dai due granitici protagonisti, mentre gli altri personaggi si limitano a ruoli di contorno e quasi macchiettistici. La prospettiva da cui lo zio Luca guarda il mondo è teneramente anarchica, quasi innocente nel suo fantasticare. Viceversa, Riccardo è inquadrato negli schemi rigidi della rispettabilità borghese, che non ammette travalicamenti. Certo c'è il rovescio della medaglia: zio Luca è solo e quasi povero, costretto persino a illegali sotterfugi pur di tirare avanti, mentre Riccardo ha nella famiglia e nel denaro i monolitici punti di riferimento. L'occhio del regista indugia con delicatezza sui due caratteri, senza parteggiare per l'uno o per l'altro. Anzi, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, Brusati è indulgente specialmente con il nipote Riccardo, cui si deve la drammatica rivelazione finale durante una telefonata con la moglie.
«Mi piaci tu, la mia casa, la mia famiglia, la mia religione, il lavoro, i soldi, mi piace tutto. Solo che forse, di vita ce n'era anche un'altra, chissà»
Il nipote riconosce che esiste un'altra via, un'esistenza più libera e meno assillata dalle ansie del quotidiano, quella che i suoi genitori e parenti avevano liquidato come “indegna”, ossia la vita dello zio Luca.
Ho preferito concentrarmi sul profilo ideologico del film, non essendo un critico cinematografico. In merito agli aspetti tecnici, mi limito a segnalare la magistrale interpretazione di Gassman e Giannini, semplicemente perfetti nel ruolo: le smorfie e le risate di Gassman sono il contraltare della serietà e dei sorrisi trattenuti di Giannini. Lo zio indegno, nonostante la comicità forzata di alcune scene, è una pellicola piacevole, che fa sorgere nello spettatore un drammatico interrogativo: nella vita avrei potuto scegliere un'altra strada?
Copertina del DVD

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