Qualche
giorno fa in un programma radiofonico si discuteva su quali fossero le migliori
cover di canzoni italiane e straniere. Senza alcuna pretesa di esaustività e seguendo i miei gusti personali, anche io ho fatto una selezione, che riporto in
rigoroso ordine alfabetico per artista. Chi volesse ascoltarle, può fare un
salto su YouTube.
Affinity
– All along the watchtower. Come si può incidere una nuova versione di un brano di Bob Dylan, quando
è stato già reinterpretato da Jimi Hendrix? In pochi avrebbero accettato la
sfida di confrontarsi con due mostri sacri, eppure gli Affinity ci hanno messo
la faccia. Si tratta di una delle formazioni più esoteriche della scena inglese
dei primi anni Settanta, un quintetto prodigioso che proponeva un jazz-rock
colto, contaminato da venature progressive. La loro versione di All along the
watchtower è una cavalcata elettrica di oltre undici minuti, nove in più
rispetto all'originale. Tutto è magico: la voce eterea di Linda Hoyle, la
precisa sezione ritmica, le divagazioni alla tastiera di Lynton Naiff. In
parole povere, un viaggio d'altri tempi.
Blondie – Hanging on the telephone.
Uno di quei casi in cui la cover è più famosa dell'originale. In pochi
conoscevano i Nerves, seminale band losangelina a cavallo tra la psichedelia e
il punk. Pertanto, Hanging on the telephone era passata quasi sottotraccia,
finché non fu ripresa da Debbie Harry e soci, che la trasformarono in una
sorprendente hit.
Buffalo
Tom – Age of consent. Il
gruppo guidato da Bill Janovitz ha attraversato in punta di piedi e senza
grandi clamori la stagione del grunge e del rock alternativo dei primi anni
Novanta, producendo una manciata di ottimi album. Sebbene il loro sound sia
distante anni luce dall'algida wave a marchio New Order, hanno deciso di
cimentarsi in una cover di Age of consent. Nella sua versione originaria, il pezzo
viaggia su tonalità synth-wave, col basso di Peter Hook a reggere le fila. I
Buffalo Tom l'hanno rivisitato completamente, trasformandolo in una ballata
acustica e introspettiva impreziosita dalla voce “sporca” di Bill Janovitz. Da
brividi.
Andrea Chimenti – Vorrei incontrarti.
Una delle canzoni più ispirate degli ultimi cinquant'anni interpretata dalla
migliore voce della new wave italiana. Andrea Chimenti omaggia l'Alan Sorrenti
“progressivo” degli esordi con un arrangiamento in chiave rock. Meraviglioso il
videoclip, in cui Chimenti mostra i suoi mille volti.
Consorzio Suonatori Indipendenti – E
ti vengo a cercare. Ogni volta che si ascolta una cover viene da chiedersi se
sia migliore dell'originale. Quando però il pezzo è di Battiato, è un'eresia
persino porsi la domanda. Eppure i C.S.I. ci sono riusciti, e viene da dire che
solo loro potevano realizzare l'impresa. E ti vengo a cercare è una
potentissima gemma incastonata in quell'album epocale che è Linea gotica. Il
Consorzio rivisita a modo suo la canzone di Battiato, la rende solenne grazie
al canto salmodiante di Giovanni Lindo Ferretti e al controcanto di Ginevra Di
Marco. E nel finale, a suggellare il capolavoro, compare persino Battiato, che
presta la sua voce nel verso conclusivo.
Marlene Kuntz – Impressioni di
settembre. Ci sono opinioni contrastanti su questa cover. C'è chi la ama e chi
giudica inarrivabile l'originale e quasi un sacrilegio ogni tentativo di un
diverso arrangiamento. C'è chi ritiene migliore la versione di Battiato e chi
trova quella dei Marlene Kuntz troppo simile all'originale, quasi non fosse una
vera e propria cover. Eppure, ad ascoltarla bene, sembra cucita addosso a
Godano & co., come se fosse stata scritta per loro.
Miura – Il cielo in una stanza. È una delle canzoni italiane più celebri, oggetto di
innumerevoli rivisitazioni. La versione dei
Miura, tratta dal secondo album Croci, è forse la più originale. Il gruppo
guidato da Diego Galeri e Illorca ne fa una sorprendente rielaborazione dalle
tinte hard rock. Terminato l'ascolto, si rimane stupefatti e quasi increduli delle
potenzialità nascoste del capolavoro di Gino Paoli.
Neon
– Burning of the midnight lamp. I Neon sono uno dei (pochi) grandi nomi della dark-wave
italiana. Il loro album Rituals è un caposaldo del genere, grazie anche ai
richiami alla scena elettronica anglosassone. Tutti i brani sono originali,
eccezion fatta per questa cover di Jimi Hendrix. Stavolta siamo di fronte a una
vera e propria riscrittura secondo i canoni di una electro-wave fruibile eppure
avanguardistica. È come rileggere Hendrix attraverso un
filtro di sintetizzatori e drum machine: un'esperienza straniante ma di sicuro
fascino.
Ronnie
Spector e Joey Ramone – You can't put your arms round a memory. Impossibile fare meglio
dell'originale: è una delle canzoni più ispirate che siano mai state scritte,
perché c'è dentro tutto il dolore e il male di vivere dell'anima tormentata di
Johnny Thunders. Ci vuole rispetto per reinterpretare un brano così, bisogna
avvicinarsi con umiltà, in punta di piedi. Ronnie Spector realizza
l'impensabile grazie al vibrato tellurico della sua voce, che riveste ogni
parola di una potenza nuova. Commovente il cameo finale di Joey Ramone. Per me
è la migliore cover in circolazione. Ascoltatela qui.
Johnny Thunders – As tears go by. John Anthony Genzale è conosciuto prevalentemente come l'antesignano del punk, prima con le New York Dolls e poi con i compagni di eccessi degli
Heartbreakers. Eppure lui era molto di più, un'anima fragile e sensibile che si
illuminava negli arrangiamenti semplici voce e chitarra, come nello splendido
album Hurt me del 1984. C'è però una canzone, una cover per l'appunto, in cui
più che altrove viene fuori la sua sensibilità unica: As tears go by dei
Rolling Stones. Thunders non si limita a rivisitarla, il suo non è né un
omaggio né un compitino eseguito bene. Johnny prende il brano e se lo cuce
addosso, ci butta dentro il suo travaglio e il dolore di una vita vissuta senza
compromessi. Qui siamo oltre la cover, è come se questo pezzo non fosse mai
esistito prima che Johnny ci mettesse le mani sopra. L'esecuzione è commovente,
perfetta nella sua imperfezione.
Eddie Vedder – Girl from the north
country. Registrata in occasione del tour in solitaria del 2008, è una cover
intima e personalissima. Il merito di Vedder sta nell'essere rimasto fedele
alla versione originaria, arricchendola però della sua inconfondibile voce. Il
risultato è stupefacente: la poesia di Bob Dylan brilla di una nuova luce.
The
Voidoids – Walk on the water. L'originale dei Creedence Clearwater
Revival non mi ha mai entusiasmato, è come se il vero potenziale della canzone
non venisse fuori. La versione di Richard Hell e dei suoi Voidoids è invece
semplicemente spaziale. Il testo parla di
un tizio che di notte va a fare una passeggiata in riva al fiume e vede un uomo
camminare sulle acque e venirgli incontro. Al di là dei possibili simbolismi
religiosi o esoterici, sono parole visionarie e inquietanti, che solo le
chitarre lancinanti di Quine e Julian e la voce sgraziata di Hell hanno saputo
rendere al meglio.
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