Lo scrittore nordirlandese Bernard
MacLaverty non ha raggiunto una grande popolarità in Italia, sebbene i suoi
romanzi brillino per capacità introspettiva e profondità di analisi su
argomenti spinosi. Ciò in parte è dipeso dallo scarso interesse mostrato dalla
nostra opinione pubblica verso i cosiddetti Troubles, come viene chiamato in
gergo il conflitto combattuto in Irlanda del Nord tra il 1969 e il 1998. I
romanzi che affrontano il conflitto dell'Ulster non hanno mai avuto grande
seguito in Italia, sebbene si tratti di vicende solo all'apparenza lontane.
D'altro canto, MacLaverty sconta il
fatto di non essere uno scrittore molto prolifico: quattro romanzi appena e una
manciata di raccolte di racconti. Esordì con Lamb (1980), seguito da Cal (1983)
e da un lungo periodo di silenzio editoriale, interrotto nel 1997 con la
pubblicazione di Donna al piano, edito in Italia da Guanda. Si tratta di un romanzo
profondo e finanche "difficile", una storia amara attraversata da un dolore
strisciante che fuoriesce quasi dalle pagine, insinuandosi nell'animo del
lettore. MacLaverty racconta l'inquietudine, il male di vivere, l'innominato
dolore esistenziale. Lo fa attraverso una vicenda minima e claustrofobica che
si dipana quasi integralmente nella mente della protagonista. Lei è Catherine
McKenna, una compositrice originaria dell'area di Belfast, trasferitasi a
Glasgow per affinare la sua preparazione musicale. Più che un trasferimento, la
sua è stata una fuga dalle convenzioni sociali, dalla mentalità ristretta
dell'Ulster e dalle spire di un cattolicesimo opprimente incarnato dai
genitori, con cui ha infine tagliato i contatti. Il romanzo si apre con il
ritorno di Catherine a casa, in occasione della morte del padre. Nella città
natale nulla o quasi è cambiato: Belfast è ancora divisa in fazioni e la sua
famiglia è una gabbia forse addirittura più soffocante. Quando Catherine svela
alla madre di aver partorito da poco una bambina, la frattura diventa un abisso.
Si apre così la seconda parte del romanzo, che ripercorre le vicende che
precedono il ritorno a Belfast.
MacLaverty fa uso di una particolare struttura narrativa: il tempo del
romanzo non segue l'ordinario andamento cronologico, insegue piuttosto il
flusso incoerente dei pensieri di Catherine. Ogni tanto emergono flashbacks,
ricordi di quando era ancora bambina ma già sentiva i prodromi dei pensieri
ossessivi e colpevoli. Passato e presente si inseguono e si alternano, il tempo
si capovolge e si riavvolge senza una regola unitaria. Anche le due parti
simmetriche di cui si compone il libro seguono un ritmo inverso: la prima parte
narra eventi successivi alla seconda, mentre il finale si ricongiunge idealmente
alle pagine iniziali. È in questo
continuo gioco di rimandi che sta l'abilità del grande narratore; MacLaverty
non si fa sopraffare dal meccanismo, che anzi conduce magistralmente,
aggiungendo a ogni pagina nuovi pezzi che si vanno a incastrare nella complessiva
tessitura del romanzo.
Ho già accennato alla grande capacità di approfondimento psicologico
dell'autore. In effetti la sua penna scava nella psiche della protagonista, mettendo
in luce paure, ossessioni e pensieri che Catherine fatica persino a riconoscere
come propri. Donna al piano è un romanzo sulla depressione, anzi su quella
forma estrema e devastante di depressione che colpisce alcune madri dopo il
parto. É come un pugno nello stomaco, la stessa sensazione che si prova
leggendo Cal, l'altro bel romanzo di MacLaverty. Diverse sono però le
ragioni. Cal è un atroce resoconto dei Troubles, dell'odio feroce che in
Irlanda del Nord ha visto contrapporsi cattolici e protestanti. In Donna al
piano, invece, la vicenda politica è solo una cornice: le bombe ci sono, ma
sembrano più che altro uno sbiadito ricordo del passato. Il dolore di Catherine
non ha nulla a che vedere col dramma collettivo di un'intera nazione: è strettamente
personale, è il pozzo nero della disperazione in cui può cadere una donna dopo
aver partorito. Anche in questo romanzo c'è dunque una guerra, non meno
dolorosa: è la lotta di una giovane madre contro i pensieri ossessivi e ansiosi
che le avviluppano l'anima come un rampicante. È come se
Catherine avesse interiorizzato le contraddizioni, i conflitti e la confusione
della sua terra martoriata.
Al tempo stesso, Donna al piano è un manifesto sul
potere salvifico della musica. Sono arrivato alla conclusione di questa
recensione e mi sorprendo di non averne ancora parlato. La musica è per
Catherine l'altra forza dirompente della sua vita, stavolta positiva e creatrice.
E sarà proprio la musica a salvarla infine, insegnandole che la mente umana non
è solo una forza distruttiva, ma ha in sé un potere immenso, quello di saper creare
armonia e bellezza.
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