6 giugno 2023

"La voce delle onde" di Yukio Mishima: la poetica dei semplici

Negli anni Cinquanta del Novecento il Giappone non era ancora la potenza economica che conosciamo. Il Paese era uscito devastato e sconfitto dalla guerra, conclusasi col disastro atomico di Hiroshima e Nagasaki. E se nelle grandi città si iniziavano a vedere i primi segni del miracolo economico, nelle campagne si conduceva ancora un'esistenza agra, legata a cicli naturali e riti arcaici. In quei luoghi il benessere cittadino era un miraggio, a maggior ragione nelle tante piccole isole dell'arcipelago. In una di queste è ambientato il romanzo di Mishima, edito nel 1954.
A Uta-jima, un'isoletta del Pacifico, tutto è immutato da secoli: gli uomini ogni notte escono a pesca di polipi, le donne si tuffano alla ricerca delle ostriche perlifere, i ragazzi seguono le orme dei padri senza alcuna possibilità di scalata sociale. Tutte le case si assomigliano, persino quelle dei notabili del villaggio: un atrio in terra battuta su sui si appoggiano le stuoie, la cucina a destra e il gabinetto a sinistra che emana un puzzo stantio a causa dell'assenza delle fognature. Le uniche modeste attrazioni sono i bagni pubblici, l'Associazione giovanile, un tempio in collina e un cumulo di pietre che si dice essere la tomba di un antico principe. In una casupola dell'unico villaggio vive Shinji, assieme alla madre e al fratellino. Ha solo diciannove anni, ma dopo la morte del padre è diventato il capofamiglia. Grazie all'ingaggio su un battello impiegato nella pesca dei polipi, riesce a mantenere i suoi cari, conducendo un'esistenza grama ma dignitosa. La sua è una condizione di quieto immobilismo, sennonché il ritorno a Uta-jima di Hatsue, figlia dell'uomo più ricco dell'isola, cambia un destino che sembra già scritto. I due si innamorano e tuttavia non possono vedersi liberamente, a causa delle maldicenze e della decisa contrarietà del padre di lei.
La trama è classica, forse persino banale, eppure La voce delle onde è un romanzo capace di imprimersi nella mente del lettore. È una storia minima raccontata con grande partecipazione e delicatezza; la penna di Mishima accarezza i personaggi, empatizza con loro e sembra volerli difendere dalle avversità della vita. Nulla è tragedia in questo libro: persino la miseria e la morte sono descritte con tocco leggero, senza enfasi. Le onde di Uta-jima nel loro moto sempiterno lambiscono le spiagge e rincuorano gli abitanti del villaggio, ricordando che c'è speranza oltre la tragedia e che dopo la tempesta torna sempre il sereno. Il romanzo trasmette questo senso consolatorio, come se il lieto fine fosse preannunciato già dalle prime pagine.
Con questo romanzo Mishima dà voce agli ultimi. La sua è la poetica dei semplici, gli eroi del quotidiano che lottano per conquistare il proprio posto nel mondo, oppure semplicemente aspirano a una modesta felicità. La storia d'amore di Hatsue e Shinji è una tra le tante, né straordinaria né particolarmente contrastata; eppure il semplice fatto di venir narrata dalla penna delicata ed evocativa di Mishima, la rende degna di essere raccontata, conferendole una straordinaria potenza lirica. Al tempo stesso, il romanzo è un elogio degli antichi valori della società tradizionale giapponese, cui lo scrittore era profondamente legato: l'amore esclusivo per la propria terra, il culto degli avi, l'abnegazione, lo spirito di sacrificio, il rispetto dei vincoli familiari. Shinji è un giovane pescatore, eppure incarna perfettamente tutti questi immutabili principi.
In parte favola e in parte romanzo di formazione, La voce delle onde occupa un posto speciale nella produzione di Mishima, autore spesso accusato di cieco nazionalismo, se non addirittura di sciovinismo. Quando però scriveva di sentimenti comuni a ogni latitudine, come in questo racconto, la sua prosa riusciva a superare ogni barriera culturale, diventando voce dell'universale.

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