8 agosto 2023

Le vecchie estati

«Fui giovane e felice un'estate, nel cinquantuno. Né prima né dopo: quell'estate.»
Così scriveva Gesualdo Bufalino, condensando in poche e semplici battute il senso di un'intera stagione di vita.
«Summer's gone, a summer song,
you've wasted every day, every day.
Summer's gone, can't wipe it off my hands,
write it in the sand, in the sand.»
Così cantavano i Buffalo Tom in Summer, la canzone che più di tutte racchiude il senso di quei giorni felici e malinconici dei lontani anni Novanta.
Trascorro ogni estate alla ricerca di qualcosa che ricordi le vecchie estati: immagini, profumi, volti, percezioni. Frammenti del passato, scampoli di vita vissuta, rimembranze di giornate lunghissime e spensierate mi vengono a trovare quando ripercorro a piedi, in auto o in bicicletta, le stesse vecchie strade di quindici o vent'anni fa. C'è qualche buca in più, altrove l'asfalto è stato rifatto, lunghe cicatrici segnano la posa di nuovi cavi, eppure mi sembra che tutto sia immobile. Strade da muli, deserte di gente e di macchine. Ogni tanto una curva, un albero o un ponte ridestano un ricordo di giorni lontani. Pomeriggi di sole infiniti, senza ansie o preoccupazioni, quando settembre era una minaccia lontana e le vacanze si srotolavano lente e serene.
L'estate perduta è un topos nella poesia, musica e letteratura. Gli artisti spesso rievocano le estati della prima adolescenza: una perduta età dell'oro, stagione dei giochi ma anche delle prime brucianti delusioni e sofferenze. Mi vengono in mente Agostino di Moravia, Estate al lago di Vigevani, nonché un meraviglioso romanzo per ragazzi, Quell'estate al castello della Solinas Donghi. Ci dev'essere un motivo se tanti scrittori hanno voluto rammentare i giorni delle ferie estive, un motivo che va al di là delle mere ragioni narrative. L'estate richiama con ogni evidenza l'età verde della vita, l'idea che tutto si incastri perfettamente e che nulla possa inceppare il meccanismo. Anche le nuvole e le piogge sono passeggere. Non a caso, in alcuni dialetti meridionali l'estate è chiamata genericamente "la stagione", a volerle riconoscere un primato ontologico sulle altre.
C'è un momento nella vita in cui matura l'amara consapevolezza che tutte le estati che verranno non avranno più la poesia del passato. Alla "vacanza", che dà l'idea del vuoto, succedono le "ferie", un'effimera parentesi nell'infinito scorrere dei doveri. Subentra una vaga nostalgia, saudade la definirebbero i lusofoni. Eppure, per quanto si possano tendere le mani, ciò che è andato non potrà mai essere nuovamente afferrato.
E allora, rimangono i ricordi spensierati delle estati che furono: le porte con le chiavi attaccate; i libri del Battello a vapore; i muri scrostati; le case abbandonate; gli speciali della Bonelli; i Grandi Classici Disney; i gelati Gis; i gelati Eldorado; quelli che non ci sono più; quanti sono partiti e non sono tornati; chi mi aspettava davanti alla porta; i gonfiabili a forma di coccodrillo; l'Alfa 33 col motore boxer; la Fiat 131 arancione; le automobili senza aria condizionata; la Laverda Lesmo; la Cagiva Mito; lo stereo Aiwa; le telefonate dalla cabina; la mountain bike blu; le tasche senza telefonini; cinquemila lire in tasca; gli anziani seduti sulle panchine; gli anziani seduti davanti casa; le "piazzette" la sera; la Teneré della Yamaha; gli 883; Radio Monte Gelbison; gli Oasis e gli Smashing Pumpkins; i vecchi cilentani; le vecchie nel lutto sempiterno; l'acqua che mancava per giorni; i treni coi finestrini abbassati; gli intercity con gli scompartimenti a sei; gli acquazzoni pomeridiani; i flipper; i cabinati da bar; la cedrata Tassoni; le lucertole al sole; le Olimpiadi in televisione; le passeggiate nei boschi; giocare a Forza 4; le spiagge deserte; i ricordi svaniti; tutto quello che c'è ancora, ma allora aveva un altro sapore.

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