18 gennaio 2024

Uomini o lupi? Una pellicola dimenticata del cinema italiano

Il significato più profondo di Lupi nell'abisso, film del 1959 per la regia di Silvio Amadio, è riassunto già nei titoli di testa. Anzi, si può affermare che rappresentino una vera e propria lettera d'intenti.
«La vicenda che vedrete è assolutamente estranea alla cronaca. I personaggi sono di pura fantasia. L'equipaggio di questo sommergibile non appartiene ad alcuna marina del mondo, come è evidente dalle divise, dagli emblemi, dall'armamento, che sono del tutto arbitrari. Per lo stesso motivo i personaggi non hanno nomi, né si fa riferimento a località od epoca.»
L'intenzione del regista e degli sceneggiatori era quella di raccontare una vicenda umana a valenza universale che potrebbe accadere o essere accaduta a qualsiasi latitudine. Per questo motivo, Lupi nell'abisso è un film di guerra anomalo. La trama è tanto semplice quanto appassionante. Un sommergibile sta navigando a pelo dell'acqua per fare ritorno alla base dopo una pericolosa missione. Nulla di più ci è dato sapere: né quale guerra stia combattendo, né quale Paese stia servendo. All'improvviso viene attaccato da tre aerei nemici ed è colpito da una bomba nonostante la subitanea immersione. Seriamente danneggiato, si inabissa fino ad adagiarsi sul fondo del mare a centocinquanta metri di profondità. Una parte del sottomarino non è invasa dall'acqua grazie alle porte a tenuta stagna; è in questo angusto spazio che si trovano gli unici dieci superstiti, tre ufficiali e sette marinai. La situazione è drammatica, ma non senza speranze: il sommergibile è infatti dotato di uno scafandro di salvataggio che può tuttavia ospitare solo una persona alla volta. Sarebbe sufficiente organizzare dei turni per fuggire dalla trappola mortale, se non fosse per un terribile imprevisto. Il cavo di recupero è stato spezzato dall'esplosione; ciò significa che lo scafandro può essere utilizzato un'unica volta. Dopo l'emersione non sarà più possibile farlo rientrare nel sottomarino per salvare gli altri marinai. In parole povere, solo uno potrà salvarsi: gli altri dovranno morire.
Constatata l'impossibilità di riparare il cavo d'acciaio, il resto del film narra la guerra di nervi tra i membri dell'equipaggio per scegliere chi potrà salvarsi. È girato tutto in interni, nello spazio ristretto di un sottomarino mezzo allagato, con i dieci protagonisti che si muovono in pochi metri quadri. Il rischio era quello di una pellicola noiosa, e invece la storia avvince e non c'è neppure un momento di stasi. Il comandante e il nostromo, interpretati rispettivamente dai bravissimi Massimo Girotti e Folco Lulli, vorrebbero una scelta equa, fondata sulla solidarietà e non sull'egoismo. Gli altri marinai, tra cui spiccano attori del calibro di Piero Lulli, Alberto Lupo e Jean-Mark Bory, sono in preda alla paura, accecati dal risentimento verso gli altri e dalla meschinità. Nessuno è disposto a morire lasciando vivere un unico fortunato. La situazione a un certo punto sfugge di mano e il film si trasforma in un thriller con finale a sorpresa.
Il punto di forza della pellicola è nella capacità di generare nello spettatore un sentimento di viva partecipazione rispetto agli eventi, nonché una grande tensione emotiva senza l'uso di effetti speciali. L'avessero fatto gli americani, un film del genere sarebbe stato probabilmente un kolossal, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Amadio invece ha confezionato un ottimo esempio di cinema "artigianale" che si regge solo sulla bravura di un grande cast, senza necessità di ricorrere a espedienti spettacolari. La pellicola fu presentata al Festival di Berlino del 1959 ed ebbe una buona accoglienza da parte della critica. E invero, come ho detto, Lupi nell'abisso non è solo una storia di guerra, è qualcosa di più. È un film sulle tendenze bestiali che albergano nel cuore dell'essere umano, tendenze ferine e istintive che emergono prepotentemente quando sono in gioco interessi fondamentali. Nella drammatica lotteria su chi debba salvarsi, sorge la necessità di una scelta più profonda: siamo uomini o lupi? Questa è la domanda che il coraggioso comandante rivolge ai suoi marinai impauriti.
Qualcuno ha accusato la pellicola di nazionalismo, se non addirittura di vuoto sciovinismo. Mai critica fu più ingenerosa. Se esiste un film anti-retorico, questo è proprio Lupi nell'abisso. Al regista e agli sceneggiatori interessava raccontare una vicenda umana e non italiana, una vicenda che sarebbe potuta accadere a qualsiasi equipaggio. Di qui la scelta, precisata nei titoli di testa, di non dare bandiera, nazionalità e neppure nomi ai sommergibilisti. I marinai non hanno alcuna cadenza dialettale e non vengono mai menzionati luoghi reali, proprio per dare valenza universale al racconto. Certamente alcune scene (e dialoghi) risentono un po' degli anni – si pensi alla preghiera finale –, ma questo è un film intelligente e toccante da riscoprire senza indugio.
Massimo Girotti (il comandante) e Folco Lulli (il nostromo)

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