6 gennaio 2024

"Paso doble" di Giuseppe Culicchia: cronaca di un'Italia precaria

Paso doble (1995) è il seguito di Tutti giù per terra, fortunato esordio di Culicchia da cui fu tratto un film nel cui cast figuravano perfino i componenti del Consorzio Suonatori Indipendenti. Ciò tuttavia non significa che il romanzo non possa essere apprezzato da chi non conosce il precedente. È vero che la storia riprende da dove si era interrotta; tuttavia può essere letta in autonomia, senza che ciò ne pregiudichi la comprensione, anche perché i personaggi sono diversi. A dirla tutta, dalla lettura di Tutti giù per terra sono passati così tanti anni che non rammento quasi nulla, salvo il nome del protagonista e vaghi ricordi delle sue peripezie alla ricerca di un'occupazione, in un'Italia che iniziava a conoscere il dramma del precariato.
In Paso doble ritroviamo Walter alle prese col suo nuovo impiego di commesso in una videoteca/edicola di Torino. Il manager del punto vendita è un tipo ottuso, ossessionato dal bilancio e intimorito dai capi della sede centrale di Milano. Vorrebbe essere come i dirigenti d'azienda americani, rispetto ai quali è una misera macchietta, una copia riuscita male. Egli non ha reali competenze manageriali e crede di legittimarsi agli occhi dei dipendenti usando in continuazione parole e modi di dire anglosassoni. I colleghi di Walter sono invece dei personaggi strampalati usciti da un campionario di casi umani: Super Mario sogna di diventare un modello nonostante non ne abbia il fisico, mentre Egidio ha i modi di un lord inglese ma è un leghista convinto. La trama ruota intorno alle vicende umane, lavorative e sentimentali di Walter. La grigia routine delle sue giornate viene stravolta quando entra in scena Tatjana, una conturbante tedesca naturista, vegana ed ecologista, non si comprende bene se per moda o convinzione. Walter crede di trovare in lei il modo per uscire dal cerchio sempre uguale della sua esistenza, salvo doversi ricredere nell'amaro finale.
Culicchia si avvale del registro umoristico per raccontare una vicenda tragica, quella della prima generazione che si è trovata a fare i conti con il fantasma del precariato, abilmente mascherato dietro l'ipocrisia della "flessibilità" da chi detiene il potere e le redini dell'economia. La Torino in cui si muovono i personaggi di Culicchia è una città in stagnazione dopo la felice stagione del boom. In verità è lo stesso Paese a essere in profonda crisi, con tutte le avvisaglie dei problemi che esploderanno nel decennio successivo: la recessione, il lavoro sottopagato, i costi esorbitanti degli alloggi, la tv spazzatura, il regresso culturale, l'immigrazione. Culicchia coglie inoltre l'occasione per lanciare feroci strali contro quanti nascondono la propria ignoranza dietro l'uso di un inglese modaiolo e di circostanza; in particolare, contro quei manager che infarciscono i loro discorsi di parole come skills, problem solving, misunderstanding e simili.
Lo stile è semplice, immediato e scorrevole, diretto come il linguaggio di tutti i giorni. C'è una forte prevalenza dei dialoghi e ogni capitolo è suddiviso in brevi paragrafi numerati. Poco meno di centocinquanta pagine che si leggono d'un fiato in poche ore. Tirando le somme, si tratta di un romanzo gradevole, divertente, senza troppe pretese, che tuttavia stimola la riflessione offrendo un'accurata ricostruzione di un'età – la metà degli anni Novanta – che ci appare quasi preistorica, dati i rivoluzionari cambiamenti dell'ultimo ventennio. In verità, l'Italia raccontata in Paso doble non è il Paese aureo che spesso rimpiangiamo nostalgicamente, anzi non è poi così diversa da quella a noi contemporanea. L'ossessione per l'apparenza, le ingiustizie del quotidiano, lo sfruttamento del lavoro giovanile, la precarietà, l'avanzare di una tecnologia selvaggia col rischio dello smarrimento dei valori più profondi, l'ambizione di molti e il fallimento di altrettanti, sono aspetti quanto mai attuali. Ecco perché si potrebbe parlare di una valenza "archeologica" della rilettura di Paso doble a quasi trent'anni dalla sua pubblicazione: perché in fondo l'Italia ivi descritta è quella in cui è stato gettato il seme dello smarrimento e della miseria umana del presente.

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