Fa riflettere che un libro così pieno di vita sia stato scritto quasi in punto di morte. Quando John Fante dettò alla moglie Joyce il suo ultimo romanzo, era ormai cieco e privo di una gamba a causa del diabete. Fu pubblicato nel 1982 e un anno dopo il più grande degli scrittori italoamericani lasciò questo mondo.
Sogni di Bunker Hill è il capitolo conclusivo della saga di Arturo Bandini, alter ego dell'autore e suo personaggio più amato. Può essere letto anche senza conoscere gli altri romanzi con il medesimo protagonista. Io stesso ricordo poco di Chiedi alla polvere e La strada per Los Angeles, letti da adolescente, mentre ancora non ho avuto occasione di leggere Aspetta primavera, Bandini. Nato a Boulder in Colorado e figlio di immigrati italiani, Bandini è un aspirante scrittore di dubbio talento e pressoché di nessun successo, salvo qualche breve racconto pubblicato su rivista. In questa sua ultima avventura è ancora un giovane squattrinato che approda a Los Angeles e si stabilisce in un alberghetto del distretto di Bunker Hill. Il libro narra le sue peripezie alla ricerca di un lavoro, o meglio, di un posto al sole in un mondo che arride a quanti hanno il coraggio di rischiare. La sua carriera sembra decollare quando un racconto viene notato da un agente letterario; da cameriere diventa così correttore di bozze, iniziando una rapida (ma effimera) scalata sociale, ottenendo infine un invidiabile contratto come scrittore di sceneggiature.
Fante conosceva bene il mondo di Hollywood, per avervi lavorato a lungo come sceneggiatore. Il romanzo, al di là di un apparente disimpegno, è una feroce critica a quel mondo falso, spietato e fondato sul culto dell'apparenza. Già negli anni Venti l'industria cinematografica muoveva in America un giro d'affari colossale e Hollywood era la Mecca di quanti ambivano anche solo ad accarezzare il successo. Arturo è uno di questi e in poco tempo capisce che la regola è una soltanto: adeguarsi o soccombere. Accettare di firmare col proprio nome pessime sceneggiature per un pubblico di stolti, oppure vedersi sbattere porte in faccia ed essere additati come ingrati. C'è un punto del romanzo, a mio avviso il più significativo, in cui Bandini si impegna per settimane per scrivere una sceneggiatura soddisfacente; ci mette tutto se stesso e alla fine la completa e ne è orgoglioso. Quando però la sottopone al suo supervisore, viene completamente stravolta e trasformata in un filmaccio western di terzo ordine. Arturo si ribella e non vuole che il suo nome sia associato a quell'obbrobrio. Il sistema allora lo punisce: il film sbanca i botteghini e a lui non spetta un centesimo di diritti d'autore. La Hollywood descritta da Fante è un leviatano che ammazza il talento, a cui è inane opporsi nell'illusione di preservare la propria integrità. Chi ci prova viene additato come l'ennesimo illuso, un Don Chisciotte che sacrifica gli agi del successo pur di non prostituirsi al mercato.
Sogni di Bunker Hill è un romanzo struggente come una lettera d'addio che conclude una lunga storia d'amore. Leggero nello stile ma profondo nei significati, fa sorridere e riflettere, sferrando poi un colpo inaspettato nell'amarissimo finale. A ragione viene considerato il testamento spirituale di Fante, il suo libro della maturità e della consapevolezza, un inno alla bellezza della vita e al disincanto. Non a caso nel finale assistiamo al ritorno di Arturo in seno alla sua famiglia; sono poche pagine, eppure restituiscono un commosso ricordo dell'infanzia di Fante. Il ritorno alle origini di Arturo è il ritorno alle origini di John, che si sentiva vicino alla morte e forse al ricongiungimento con i suoi amati genitori; non bisogna infatti dimenticare che la religiosità semplice e contadina della madre e della nonna è un tema ricorrente nei suoi libri. Così Arturo torna nella vecchia casa in Colorado che profuma di buon cibo, di infanzia, di una terra lontana. E lì, ancora una volta, il velo dell'illusione cade e gli viene amaramente ricordato che lui sarà sempre un diverso, un italiano, un minus, un figlio di immigrati.